Nella situazione di stallo e crisi attuale sembrano essere troppe le condizioni capaci di porre vincoli pesanti e prepotenti alla ricerca di soluzioni adeguate a fronteggiare il tracollo socio-economico fino ad oggi maturato.
Alla crisi finanziaria si va sostituendo, lentamente ma non troppo, un momento nel quale l'economia è fortemente ( ed irrimediabilmente) incrinata nelle sue componenti " reali": dalla disoccupazione all'assenza di inflazione, dal credito concesso ad imprese e persone fisiche, possono essere davvero troppe le conseguenze a cui questa prolungata " febbre" può condurre il " corpo" del malato-Italia.
Parte dei rimedi finalizzati ad una miglior ripresa vanno condivisi ed applicati su scala nazionale, laddove altr( ettant)i provvedimenti dovrebbero essere invece concertati prevalentemente su scala continentale: è ormai ( pur)troppo evidente che il perdurare di questo declino sia un fattore attribuibile ad alcune prese di posizione assunte dalla politica. Politica a cui, inevitabilmente e senza colpo ferire, la tecnica è andata rigidamente dietro.
Mitigando, ove possibile ed ove concesso, i margini di questo aspro agire. Quali potrebbero essere le soluzioni ulteriori da adottare per alimentare una fuoriuscita dal contesto di crisi che pare attualmente non conoscere fine? A questa domanda, purtroppo ma anche per fortuna, non tutti possono rispondere con esattezza e competenza: per discuterne adeguatamente serve un'attenta ed approfondita conoscenza della materia economico-finanziaria, parimenti ad una rigida competenza nel definire condizioni al contorno e di possibile fuoriuscita.
Le misure da applicare per fronteggiare l'attuale periodo dovrebbero essere così innovative e cervellotiche da trovare?
In un contesto nel quale tecnica e competenza economico-finanziaria sembrano essere schiave della politica ( integralmente votata a valutazioni sul breve termine), una domanda come questa potrebbe anche avere una risposta non complessa: non basta dire/scrivere che è semplicemente necessario rivedere ed applicare con intelligenza (?) i margini del Patto di Stabilità e Crescita imposti e sottoscritti dagli Stati Europei.
Non basta neppure ( promettere di) proporre l'abolizione del pareggio di bilancio in Costituzione ( dopo averla già in precedenza votata troppo frettolosamente), in quanto tale soluzione rischia di essere un tanto inutile quanto indigeribile palliativo per migliorare in positivo una situazione disastrosa. Non serve neppure affermare che le soluzioni sono facili da trovare e perseguire, smentendo a più riprese qualsivoglia tentativo di taglio allo stato sociale e/o alle condizioni di benessere ( reale e percepito): è ( pur)troppo evidente che, in condizioni di ( imposta) rapidità politica, la spesa pubblica debba essere tagliata senza poter essere razionalizzata.
Questo è un aspetto su cui troppi filosofi del#cambiaverso di turno sembrano non aver riflettuto consapevolmente ed adeguatamente: la spesa pubblica, soprattutto in un'Italia che ha da sempre vincolato il " posto pubblico" alla ricerca di consenso politico, deve poter essere riorganizzata al dettaglio sul lungo termine. Tutto questo, ovviamente, per ( provare ad) impedire che tagli fatti oggi possano far sentire i loro tremendi effetti nel domani.
La questione è tanto semplice quanto, inevitabilmente ( e forse irrimediabilmente) sottovalutata.
Parimenti alle ipotesi fatte, lo stallo e la crisi rimangono. Rimangono rischiando di innescare un circolo vizioso da cui è tanto difficile quanto complesso uscire. Difficile e complesso sicuramente, anche se non certo impossibile.
La ricerca delle soluzioni è un argomento complicato, specialmente per una politica nazionale che ( come la nostra) sembra avere le "mani" legate da una serie di lacci che si è ( auto)imposta di applicarsi: servono " riforme" per rassicurare investitori e stakeholders vari, servono politiche differenti di respiro tanto nazionale quanto continentale. Parte di questa tematica è stata affrontata, in maniera abbastanza pragmatica, da un'intervista recentemente concessa dal Governatore della Banca d'Italia Vincenzo Visco al giornalista de La Repubblica Federico Fubini.
Il margine di incertezza entro cui ancora sembra " ballare" lo Stato italiano è delineato dalle cosiddette " riforme", da condurre in porto ( teoricamente) nel più breve tempo possibile ( evitando di effettuare ennesimi compromessi votati a ribasso ed incuria, se possibile).
L'opinione del Governatore sembra essere a questo proposito tanto chiara quanto trasparente nella propria urgenza:
"[...] C'è una parte d'incertezza che dipende da noi [...] e riguarda lo stato delle riforme. Bisogna che la progressione sia compresa e che l'insieme crei quella visione che serve per ancorare le nostre aspettative. [...]"
L'insieme di " riforme" da perseguire deve essere promosso provando ad innescare un circolo vizioso che conduca vari " utenti" a vedere migliorate ( anche tangibilmente) le condizioni su una svariata serie di argomenti: dal lavoro alla giustizia, dal contesto infrastrutturale a quello della mobilità, dall'argomento burocratico a quello riguardante la flessibilità positivamente intesa, dalla progettazione industriale al rispetto delle regole in fatto di prevenzione da fenomeni legati a corruzione, [...].
Sono veramente tante ( senza mai però diventare troppe) le " voci" su cui l'Italia potrebbe far sentire la propria voce.
Fare le " riforme" non deve significare, però, procedere a tentoni o copiare modelli da Paesi che hanno compiuto certe scelte con condizioni interne radicalmente differenti dalle nostre ed in contesti storici assolutamente differenti da quelli attuali.
Preliminarmente all'approvazione delle " riforme", dovrebbe essere opportuno discutere di obiettivi e limiti a cui far tendere il raggiungimento del risultato finale: questo aspetto, specialmente nel contesto italiano, sembra mancare da troppo tempo.
L'applicazione di una " riforma" deve essere impostata per migliorare le condizioni nel domani, non certo per ridurre i " cunei" di carenza di credibilità ed imbarazzanti condotte odierni.
Analizzate e pensate per il domani, appunto.
Esulando da un fronte la cui discussione sembrano essersi tanto incancrenite quanto radicalizzate alla ricerca degli untori di turno, è lecito porsi qualche altra domanda per innalzare un pò più la complessità degli argomenti sul tavolo della discussione: quali misure può essere opportuno applicare in sede continentale per ( provare a) innescare miglioramenti su dimensione nazionale?
Quali politiche di ampio respiro può promulgare una tecnica con le mani legate da una politica anestetizzata? L'intervista con il Governatore fa riferimento, in questa direzione, alle mosse promulgate dalla Bce in questo momento di stallo:
"[...] La Bce ha appena tagliato i tassi, ai minimi di quota zero, e varato un piano di acquisti di Abs, attività finanziarie basate su pacchetti di prestiti che le banche hanno esteso a famiglie e imprese. [...]"
Si sta quindi provando a riequilibrare le sorti dell'economia reale, perseguendo provvedimenti finalizzati al far riprendere consumi ed attività nella realtà odierna dei fatti? Domanda tanto complessa quanto forse impossibile da risolvere esaurientemente, per non competenti e non addetti ai lavori.
Quali fenomeni passati in sordina e nel silenzio collettivo potrebbero avere, in questa estate ma non solo, gettato qualche ( ulteriore) ombra sulla sostenibilità delle attuali situazioni?
A questa domanda sembra rispondere, in maniera eloquente, il Governatore Visco:
"[...] Prima di tutto le informazioni di quest'estate. La continua discesa del tasso d'inflazione ha convinto dei rischi anche coloro che in passato erano rimasti scettici, non solo all'interno della Bce ma anche tra gli analisti privati. In buona parte dipende dalla discesa dei prezzi dell'energia, è vero. Ma è divenuto evidente il rischio che le aspettative d'inflazione cedessero, in risposta [...] alla debolezza dell'economia reale. [...]"
Da questo punto si dirama, inevitabilmente, il secondo punto oggetto delle attuali discussioni socio-economiche: l'azzeramento su scala sia nazionale che continentale dei livelli di inflazione. Tale problema si aggiunge ad un'economia già pesantemente incrinata fra recessione e stagnazione, causando un ulteriore aggravamento dello " status quo".
I tempi di fuoriuscita dalla crisi potrebbero essere tanto allungati quanto aggravati, qualora le situazioni continuassero a mantenersi sui livelli attuali. Le parole del Governatore non indirizzano certo verso una sotto-stima del fenomeno che già attualmente sembra essere in fase di maturazione e consolidamento:
"[...] Le stime ricavabili dagli strumenti finanziari suggeriscono che l'inflazione risalirà su livelli vicini al 2% solo in un orizzonte di sette o otto anni. [...] Bisogna tenere conto che la debolezza della domanda non riguarda solo i paesi più coinvolti nella crisi, ma è diffusa. Colpisce la Francia, la Germania stessa mostra difficoltà. Le previsioni di inflazione per il 2014 pubblicate dalla Bce a dicembre scorso indicavano per l'area dell'euro un valore dell'1,1%. [...] Ora le previsioni aggiornate dicono 0,6%, sempre per il 2014. [...]"
Qualora non fossero per tempo innescate certe prese di consapevolezza tanto radicali quanto ormai inevitabili, l'intero continente potrebbe precipitare in una ( ulteriore) crisi dettata sostanzialmente dall'incapacità di agire. Crisi dettata da immobilismi vari e stalli imbarazzanti, purtroppo.
Il sostentamento dell'offerta di credito è un'attività da perseguire inaugurando politiche di " quantitative easing", già parzialmente sperimentate in altri Paesi in contesti sempre vincolati all'attuale crisi strutturale.
Per realizzare questa svolta servirebbero, però, una conoscenza ( pro)positiva ed un'azione politico-tecnica condivisa e votata alla rapidità di manovra per scongiurare nuovi tracolli:
"[...] La decisione di accelerare e ampliare il programma di acquisto di Abs va nella direzione decisa a giugno di sostenere con forza l'offerta di credito. Ma come mostra anche il lancio di un nuovo programma di acquisti di obbligazioni garantite, non dovremo esitare a intraprendere altre azioni, se necessarie per garantire la stabilità monetaria. [...]"
La tematica è tanto complessa quanto impossibile da affrontare con giudizi sommari e con irrigidimenti " muscolari" nei confronti delle decisioni da prendere: le difficoltà sembrano essere veramente ingenti e ormai radicalizzate.
Lotta alla deflazione, ripresa dell'economia reale e garanzia della stabilità monetaria: sono questi i tre punti su cui pare lecito ( e necessario) concentrare sforzi ed azioni per raddrizzarsi dal baratro? Domanda tanto giusta quanto incompleta, per una lunga serie di ragioni.
In questo fronte, inevitabilmente, ogni " attore" deve essere chiamato a fare la sua parte:
"[...] Le misure che abbiamo preso mirano a facilitare il finanziamento dell'economia, e gli acquisti di attività finanziarie basate su pacchetti di prestiti bancari alle imprese o alle famiglie vanno in questa direzione. Ma dobbiamo guardare anche alla domanda complessiva: questa va stimolata con un uso più accorto degli strumenti nelle mani delle autorità. La politica monetaria per quanto ci riguarda, la politica di bilancio e le riforme per quanto riguarda i governi. [...]"
La " palla" deve dunque passare ai Governi dei singoli Stati, indaffarati e/o impantanati in una crisi dalla complessità senza precedenti.
Su questo fronte, pertanto, è tanto necessario quanto doloroso analizzare i problemi che sembrano caratteristici del contesto italiano: esistono elementi che possono confermare uno stato di crisi che ha aggravato quella economica attualmente in corso d'opera?
Le colpe dell'attuale status quo sono tanto gravi quanto diffuse e vincolate a precedenti questioni non risolte. A questa questione sembra rispondere in maniera esauriente il Governatore Visco:
"[...] noi abbiamo un trend negativo più forte già da prima della crisi. Abbiamo un grave ritardo nell'aggiustamento ai grandi cambiamenti degli ultimi 20 o 25 anni: l'apertura dei mercati e la globalizzazione, la demografia, la tecnologia.
L'Italia ha fatto pochi investimenti per tener conto di tutto questo. Troppe imprese sono rimaste ferme nei vecchi modi di produrre.
Non tutte, ovviamente, non dobbiamo generalizzare. Ma il ritardo non è stato recuperato.
Poi si è sovrapposta la crisi del debito sovrano e i rischi connessi, ridotti anche con un aggiustamento di bilancio, severo, che ha contenuto il disavanzo e mirato a ripristinare la fiducia. A questo punto ci si poteva attendere una sorta di premio per i sacrifici, con il ritorno della fiducia e degli investimenti. [...]"
I mali italiani che hanno causato la crisi ed il suo perdurare sembrano essere anche ( o soprattutto?) di matrice interna, affondando le proprie radici in anni di gran lunga "estranei" alla presente crisi. Gli elementi di incertezza e la lunga serie di mancanze italiane derivano da problemi strutturalmente diffusi su cui, in tempi non sospetti ma utili, nessuno pare aver voluto cercare rimedio alcuno. Indizi di questa tendenza provengono ancora dalle parole del Governatore Visco:
"[...] C'è un insieme di fattori: il livello del capitale umano nel Paese, insufficiente per cogliere il cambiamento, e le difficoltà di migliorare il sistema dell'istruzione; le carenze nella dotazione di infrastrutture; le forti inefficienze nell'amministrazione pubblica; le rigidità nella struttura produttiva. In un contesto economico-istituzionale inefficiente tutti rischiamo di finire per adeguarci [...] alla lentezza degli adempimenti burocratici. Anche quando sarebbe necessario muoversi in fretta. La diffusione della criminalità e della corruzione, l'evasione, la pressione fiscale elevata sono condizioni di fondo che scoraggiano dall'investire e aprire un'impresa. [...]
È un insieme di questioni che si riassumono in una sola: serve una chiara percezione del bene comune e una visione nitida del futuro del Paese, che riduca lo stato di incertezza.[...]"
Un tasto dolente su cui si è soffermata la precedente analisi riguarda, inevitabilmente, il livello di conoscenza ed approfondimento delle tematiche economico-sociali posseduto dall'italiano medio: sembriamo assolutamente inadeguati ed impreparati ( seppur non nella totalità) a cogliere l'importanza e l'urgenza dell'attuale momento socio-economico, in quanto priv( at)i della necessaria dose di conoscenze e competenze funzionali alla definizione di politiche urgentemente votate alla ripresa. Da questo fronte, pertanto, emerge come la crisi attuale abbia ( anche, non solo) una radicale ed incancrenita componente culturale.
Sullo sfondo concettuale restano, invece, tutti quei problemi a cui una politica vergognosa ed una tecnica derubricata ad esecutrice d'ordine non hanno saputo disarticolare per tempo: carenze infrastrutturali, lacune ambientali, rigidità nella struttura produttiva, inefficienza di economie ed Istituzioni, burocrazia lancinante e disastrata, [...]. Quali provvedimenti si potrebbero discutere in sede nazionale, esulando di affrontare nei dettagli quel " disegno organico" di riforme e ( inevitabile) cessione di ( ulteriore) sovranità nei confronti delle autorità europee?
E' su queste questioni che si gioca il futuro di un'Italia che deve forzatamente ritrovare (anche) da sola la forza per rialzarsi e fuggire da questo perdurante momento misto a stallo e declino. La sfida più grande e grave si gioca su questi binari.
Con o senza Euro( pa), i problemi radicalizzati ed incancreniti di questo Paese rimarranno tali.
Rimarranno tali anche senza analisi semplificatorie e semplificatrici, resteranno lì.
Fermi, immutati anche se non certo immutabili.
Italia ed italiani sembrano essere, su questo fronte, cause del loro stesso male e declino socio-economico. Per una lunghissima serie di cause che è impossibile sintetizzare.
Immagine tratta da: temi.repubblica.it - Micromega online
Intervista al Governatore Visco, La Repubblica, F.Fubini -