Fra governo, "disciplina" di partito e volonta' di non adeguarsi: quali ragioni possibili?

Creato il 25 febbraio 2014 da Alessandro @AleTrasforini
Dopo la presentazione di una mozione di fiducia conseguente ad un piano di intenti che richiederebbe spese prossime a 100 miliardi di Euro senza adeguate coperture economiche, il Governo Renzi inizierà presto il suo operato.
Di fronte a tante (ennesime) promesse, nonostante tutto, si attende una prova dei fatti che potrebbe essere davvero l'ultima occasione per la politica per provare a raddrizzare la propria "barra" di credibilità.
Condizionale d'obbligo, viste le incoerenze e le premesse.
La ripresa economica rischia di essere ancora troppo timida, per risollevare l'infinita mole di problemi che ha l'Italia; (forse) anche in virtù di questo (ed anche grazie all'appoggio di certi poteri?) questo Governo ha il dovere estremo di mantenere tutte le promesse fatte nelle molte dichiarazioni di intenti.
Quanto pesa al negativo il fatto di aver costruito un nuovo Governo partorito, nei fatti, da una maggioranza già precedentemente congelatasi ed (auto)esoneratasi dal compiere scelte al tempo stesso radicali e radicalmente urgenti?
Quanto peseranno al negativo le vicende "di Palazzo" che hanno condotto alla formazione di questo Governo, specialmente a seguito delle (non troppo) lontane dichiarazioni dell'attuale Presidente del Consiglio?
A prescindere da queste e molt(issim)e  altre domande, purtroppo, il (mancato) sostegno a questo Governo sembra essere divenuta solo ed esclusivamente una questione di tifo: si può essere solo "a favore" o "contro", a prescindere da qualsivoglia possibile analisi su cifre, fatti ed intenti di cambiamento promulgati.
Qualsiasi tentativo di razionale approccio alla discussione rischia di essere bollato come inadatto, inadeguato, populista, [...]. Il presente schieramento di maggioranza è inevitabilmente figlio di una serie di compromessi ed assurde logiche sottese che, a prescindere dall'ottimismo sfrenato dei discorsi dell'attuale Premier, potrebbero non tardare a manifestarsi.
Nonostante qualsivoglia analisi razionale ed obiettiva, il tempo presente sembra essere troppo urgente per potersi dilungare in dibattiti (pur)troppo vuoti e privi di consistenza.
Così come certi conflitti di (malcelato) interesse sono ormai troppo evidenti, è al tempo stesso vero che molte altre soluzioni non sembra(va)no percorribili con questa presenza parlamentare.
Basterà davvero cambiare una singola persona, la quale si è assunta tutta la responsabilità conseguente ad un (più che eventuale) fallimento?  Sarà veramente sufficiente aver cambiato solamente la "testa" di un pesce puzzolente per cambiarlo e rinnovarlo radicalmente?
Ad ora, purtroppo, chi voleva rottamare si è circondato da potenziali rottamati, consegnandosi anch'egli ad un futuro da "incorente rottamando". I cambiamenti in corso dovranno essere governati con una straordinaria dose di competenza, capacità e "spazio d'azione": l'aver conservato una maggioranza così esigua ed eccessivamente eterogenea rischia di incrinare e limitare fortemente l'ultima variabile fra quelle precedentemente elencate.
Si spenderanno parole su un semestre europeo di Presidenza, senza però dilungarsi in termini reali sulla possibilità di rivedere certi "vincoli" che la stessa Europa ci ha visto approvare (troppo tacitamente) in tempi non sospetti: possono essere davvero risolti tutti i mali durante questi fatidici sei mesi, dopo anni di crisi mordente e tragicamente sottovalutata?
Le domande sembrano essere infinite ed infinitamente prepotenti, in tutta la loro urgenza: si potrebbe parlare o scrivere ancora dei troppi argomenti non sfiorati, dei troppi compromessi inseguibili sul profilo dei diritti civili, dell'impossibilità di disporre di risorse adeguatamente elevate da mantenere le promesse assunte, dell'eccessiva confusione definita sin dall'inizio fra le "trame" dell'attuale Governo, della (solo apparente?) incompetenza di certi Ministri collocati per "equilibrismo da Cencelli" in dicasteri (pur)troppo sottovalutati, [...].
Per farla breve, insomma, sembrano essere troppe le "ombre" e troppo poche le "luci".
In mezzo alla marea di perbenismo e nel mezzo dell'osannazione continua, purtroppo, mantenere una barra dritta ed una propria dose di spirito critico potrebbe rivelarsi una missione tremendamente difficile: rischiano di piovere attacchi, sia da una parte che dall'altra. Quasi come se, appunto, si potesse essere consapevolmente favorevoli o contrari a prescindere dall'analisi oggettiva dei fatti.
Nonostante questa calma apparente, purtroppo o per fortuna, le opinioni di qualche dissidente sono fortunatamente emerse; sul contributo dei Deputati e Senatori contrari e/o scettici sulla formazione e sui contenuti del presente Governo si è detto moltissimo: rischio di espulsione dal Partito di appartenenza (Partito Democratico, per la "maggioranza" dei casi riscontrati), voglia e/o desiderio di sovraesporsi per prendersi il proprio quarto d'ora di celebrità, populismo dilagante, [...].
Troppe sono state le illazioni e, purtroppo, troppo poche le reali volontà di indagare attraverso reali valutazioni di (potenziali) criticità: è questione di "fiducia", appunto.
Chi non vota la mozione di fiducia è fuori, sia dalla Maggioranza che dal proprio Partito di "appartenenza".
Da questo punto di vista si sono diramati, purtroppo, altr(ettant)i giudizi contrastanti su coloro che avevano manifestato una anche banale forma di dissenso: contaminazione da "poltronismo", incapacità di credere in un progetto diverso, incoerenza di fondo, [...].
Sembra essere, a prescindere dalle mode del momento, questa la questione principale su cui la politica ed il sistema partitico dovrebbero intavolare una seria e competente discussione: come definire ed eventualmente rinnovare la cosiddetta "teoria del dissenso"?
Può un Governo figlio di manovre "di Palazzo" ed occulti rimpasti essere passivamente accettato da elett(or)i, in virtù della giusta tesi secondo cui la democrazia italiana di stampo parlamentare può legittimare a priori un Governo solo in Parlamento? A domande come questa, la cui risposta leggendo il testo Costituzionale può essere scontata, risponde un disagio immane che sembra essere assolutamente giustificabile.
Questo malessere deriva, più che probabilmente, da un cortocircuito che ha portato la politica ed i Partiti ad essere visti come i soli colpevoli dell'attuale disastro in cui è stato fatto piombare questo Paese, senza dubbio fra i più belli del mondo. Troppe cose non sono andate come avrebbero dovuto, troppi problemi sono stati nascosti come polvere sotto tappeti divenuti, nel tempo, sempre più gonfi e lacerati.
I contrapposti principi base che vincolano un eletto ad attenersi alle decisioni maturate a seguito di una discussione (quando si ha la fortuna di farla) del proprio Partito sono essenzialmente due:
  • decisioni maturabili a seguito dell'Articolo 67 della Costituzione Italiana, secondo il quale "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato";
  • decisioni maturabili a seguito dell'implicita fedeltà al Partito: per farla breve, se non concordi con le decisioni collegialmente prese puoi accomodarti alla "porta"  ed uscire pena probabile espulsione.

Questi due principi sono agli opposti di chi sostiene od è contrario ad ogni possibile decisione politica presa (più o meno) a qualsiasi livello: è puntualmente difeso da chi governa e da chi è maggioranza, è regolarmente attaccato da chi fa opposizione (salvo poi imporre logiche simili internamente).
La discussione più grande dovrebbe essere svolta ricordando quel principio riassunto ottimamente da Walter Tocci nel libro "Sulle orme del gambero", richiamante in maniera largamente più consistente e bella le tematiche di fondo esposte nel secondo punto dei precedenti. Il fine della Politica e del libero associarsi in Partiti è infatti riassumibile attraverso il principio di fondo riportato nel seguito:
"[...] Nel mondo antico da cui provengo la disciplina non era un vincolo regolamentare, ma un atto spirituale: il senso nobile di sacrificare il proprio punto di vista a favore di un pensiero collettivo che si fa azione; anzi di più, una terapia antinarcisistica che regala la forza di trovarsi insieme agli altri a cambiare il mondo. [...]"
In un momento di evidente cortocircuito istituzional-economico-sociale-[...], il "cambiare il mondo" è venuto meno.
Chi ha provato a cambiare davvero inseguendo il "senso di disciplina" estremo è oggi percepito come complice dei distruttori.
Chi ha contribuito a sacrificare il proprio punto di vista a favore di un pensiero collettivo ha (pur)troppo spesso contribuito a generare un'azione negativa o negativizzante.
La ridefinizione della "teoria del dissenso", in un momento di tremenda crisi, dovrebbe essere una questione prioritaria su cui discutere. Astenersi favorevoli e contrari a prescindere, ovviamente.
E' anche grazie a queste logiche se, nell'oggi, siamo (purtroppo) davanti ad un cumulo di macerie fumanti.


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