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Fra politica e "progressismo": realta' oltre slogan e volti?

Creato il 15 settembre 2012 da Alessandro @AleTrasforini

Fra democratici, primarie e progressisti dovrebbe delinearsi un campo di epocali (ma potenziali) sfide, a cui dovrebbe essere altrettanto irresponsabile sottrarsi. Davanti ad un mondo sempre più complesso ed intricato, per fortuna o purtroppo, la "materie prime" con cui cercare di risolvere od arginare i problemi sono sempre le stesse: consapevolezza, competenza, solidarietà, lavoro e merito solo per citarne alcune.  Dietro a parole, però, serve (oggi più che mai) sostanza: come declinare in campo corrente (e coerente) parole dall'assoluta importanza? Esiste un binario oggettivo dentro cui la politica può ritrovare la dignità perduta in anni tristi come quelli presenti? L'epoca presente racchiude in sè una serie di sfide che è impossibile rimandare, soprattutto per uno Stato (divenuto) troppo attendista come l'Italia: se l'Europa richiede rigore, è lecito interrogarsi su quanto questa "medicina" possa far stare peggio il paziente.  Se l'Italia ha bisogno di "crescita" per continuare a sperare in una salvezza solo timidamente promessa da riforme strutturali, è sempre più urgente domandarsi attraverso quali strade pratiche poterla realizzare: quale politica industriale è possibile promuovere, dinanzi a fabbriche e (passati) colossi industriali costretti a chiudere o facilitati a delocalizzare?  Quante "Fabbrica Italia" potrebbero un giorno non essere realizzate, contrariamente alle promesse di altr(ettant)i manager che sembrano mettere i diritti subordinati rispetto alla produttività? Mettendo ai primi posti la parola "lavoro", serv(irebb)e fornire risposte o tentativi di risoluzione a molte tematiche che rimangono al momento insolute: quali sforzi poter promuovere per cercare di salvare indotti socio-economici correlati alle Alcoa-Sulcis-Ilva di un domani non troppo lontano?  Quante forze potrebbe mobilitare la Politica attraverso tentativi, stime o congetture afferenti a procedure quali bonifica, riqualificazione o ristrutturazione di realtà industriali immerse in contesti sociali da non compromettere? Incrociando l'industria con tematiche quali diritti e sicurezza, forse, si potrebbero premiare sul lungo termine le aziende che meglio riescono a coniugare produttività con responsabilità sociale sul proprio indotto: è tremendo, specialmente in tempi caotici come questi, vedere esseri umani ritornare ad essere semplici matricole.  Riabilitare la visione dell'Italia come "bene comune" significa veramente, forse, saper coniugare in una nuova visione i punti di vista "vincenti" della politica e della tecnica: su questo fronte, pertanto, l'andare "oltre Monti" presuppone una verità che avrebbe dovuto manifestarsi molto prima del "rischio default".  Sentire politic(ant)i discutere di "agenda Monti" o, peggio ancora, di "Monti dopo Monti", rischia forse di confondere ancora di più le idee di un elettorato disperso e, purtroppo, non pienamente consapevole delle difficoltà (maturate e pilotate) presenti in questi tempi: cosa si nasconde dietro a questi potenzialmente sterminati campi?  Quali provvedimenti "tecnici" vuole difendere e realizzare una politica che intenda pienamente provare a riabilitarsi dai troppi errori commessi nel passato? Serve una "visione" chiara e limpida da mettere in pratica, agendo senza se e senza ma su leve ancora (purtroppo) poco sollecitate.  Cosa proporre per diminuire la pressione fiscale in termini reali?  A domande come queste, purtroppo forse per la classe politica percepita come sempre più distante dalle richieste degli italiani, serve rispondere in termini chiari per allontanare spettri di cosiddetto "populismo" e "privilegio": cosa rispondere a chi chiede tagli anche nel campo delle spese militari o delle infrastrutture (ritenute) inutili?  Tematiche quali "acquistare meno aerei e veicoli militari per mantenere e salvare più servizi" sono figli di errori comunicativi forse impressionanti, ma non certo legati a doppio filo esclusivamente a tematiche quali "populismo" o "demagogia". "Cavalcare" tematiche come queste è, poi, un altro problema figlio del precedente.  Su questo fronte, pertanto, la classe "politico-tecnica" chiamata a governare dovrà dimostrarsi (o maturarsi, a seconda dei punti di vista) progressista anche sul fronte della comunicazione e della chiarezza delle proprie scelte. Servirebbe anche un'Europa più solidale ed interessata al bene comune, senza dover per forza richiedere a Stati "europeisticamente reprobi" di svolgere "memorandum" votati al massacro dello stato sociale senza fondamento alcuno di equità.  Servirebbe una positiva applicazione dell'attualmente esasperato concetto secondo cui "non sono i popoli a dover aver paura dei propri governi, ma i governi che devono aver paura dei propri popoli": attualizzare questa situazione significa andare oltre i cosiddetti "poteri forti" che hanno, fino a prova contraria, attratto a loro una buona "fetta" dei privilegi fino ad oggi perpetuati senza sosta. Servirebbe una politica capace di realizzare "uguaglianza" ad ogni livello "socialmente bisognoso", senza però dover etichettare per forza ogni provvedimento come complottista o populista. Realizzare una piattaforma democratico-progressista di Governo potrebbe significare, in termini reali, confrontarsi su alcune tematiche fino ad oggi poco o per nulla sfiorate: energia, cultura, "lotta allo spreco" e (ri)qualificazione dell'esistente solo per citare alcuni campi.  Tutto questo, ovviamente, da "rincorrere" sottostando a programmi chiari ed essenzialmente sostenibili: quanto servirebbe per predisporre un piano energetico capace di alimentare l'Italia con la maggior quantità possibile di energia pulita e rinnovabile? Entro quali limiti poter parlare consapevolmente di argomenti quali risparmio energetico?  Portare questi argomenti al vaglio dell'opinione pubblica od esperta (ma esterna alla politica) potrebbe forse significare trovare anche parte delle soluzioni che sono alla stessa politica fino ad oggi scappate?  In mezzo ai "beni comuni" rimane, giustamente inalterata, anche la necessità di offrire "sicurezza": provvedimenti che sappiano muoversi a 360°, dal lavoro alla salute.  Essere progressisti potrebbe significare anche, fortunatamente, la necessità prioritaria di capire ed implementare le potenzialità che il multimediale ed il digitale possono offrire.  Essere progressisti significa, per fortuna, aprire prospettive e discussioni che sappiano andare oltre volti e nomi misti fra rinnovamento, "usato sicuro" od "outsider". L'Italia ha bisogno, infatti, di confrontarsi su programmi e non su volti carichi di promesse. Le campagne "elettoralmente vuote", infatti, rischiano di non attrarre più di tanto...per usare un concetto rivestito di eufemismo, ovviamente. 

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