Fra Silvio e Ruby io aspetto il Tevere in piena

Da Buenagirl

foto:flickr

E’ arrivato tragicamente l’inverno e siccome è novembre, mi aspetto l’annuale alluvione con Tevere in piena.
Senza, ora che mi hanno inscatolato Largo Ricci, ora che temo che i miei personalissimi pezzi di colonna vengano spostati chissà dove, mi sentirei davvero persa.
In ordine ha chiuso il mitico ristorante pseudorusso lì vicino a Piazza Santi Apostoli, poi mi hanno chiuso la Mondadori qui a Littoria City e ci mancava Largo Ricci fasciato per la riqualificazione urbana. Ora, fatemi chiudere la Birreria Peroni, o peggio, spostate i tavoli.

Ho aperto una casella di posta dimenticata. Però non tanto, perché è quella che sta nella sezione “about”. Fra le 196 mail, la maggior parte di spam, siti porno, siti per net-rimorching, ne sono spuntate due che non ho cancellato. Poi una valanga di e-mail, lette, risposte mandate e e-mail senza risposta.
Mi sembrava di guardare delle cose lontanissime, delle cose che nemmeno mi appartenevano più.

Oggi, un poco, sono una persona migliore. Il cambiamento è passato per un perno, un forte e deciso perno, su cui ruota tutto. Non lo so perchè mi ci sono stretta attorno, ma è così, mentre tutti mi dicevano l’ovvietà io ho sprecato molto tempo a negarlo a me stessa, molto tempo a litigare, con il perno, a prendermela con me stessa.
Nel frattempo, ho seminato “morte e distruzione”. Ho perso persone che mi volevano bene, ho perso pezzi di vita. Non ero davvero più abituata a stare in mezzo alla gente, a legarmi con qualcuno. A mettere sinceramente, totalmente, la mia vita sotto la lente di qualcuno. Così, piano piano, mi sono inaridita, fino ad arrivare alla totale apatia, alla mancanza di “ricerca” personale, alla forma più banale di sopravvivenza.

E il momento peggiore era Natale.
Perchè sotto l’albero non c’era nulla.
Perchè ogni anno, il 31 di dicembre mi facevo la promessa che tutto sarebbe cambiato. Ogni anno il 3 di settembre facevo i conti col tempo e poi mi dicevo “ok, adesso vedrai…”. Ogni anno, il giorno dopo m’affogavo di tiramisù.

Quell’oggetto misterioso chiamato Regalo è arrivato una sera fredda imboccando Via dei Fori contromano.
E di solito, quando racconto questa cosa, viene tacciata come “cazzata”.
Invece, sempre quell’oggetto misterioso, è arrivato senza essere richiesto, una scommessa, non è stato frutto della domanda “cosa vuoi?”. E’ stato un gesto, un prendere, impacchettare, passare di mano con un sorriso. C’è ancora, carta compresa. Euforia compresa.
E’ stato l’estate in inverno, sentirsi a disagio nel cappotto stile “divano di nonna” e vestito “mostratette”, sentire, dopo anni, quella sensazione che si ha rapportandosi alle altre persone. Quell’affacciarsi su un mondo diverso, scaldarsi e scoprire che al mondo c’era ancora qualcuno che i sogni li faceva eccome, che aveva un mondo complesso ma comprensibile.
Dopo, l’ondata inaspettata di felicità è arrivata la paura. La speranza e poi il terrore. La consapevolezza e l’arrendevolezza.
E’ arrivata l’onda nera che ha travolto tutto, che mi ha fatto pensare che dissimulare fosse giusto, ovvio, che in fin dei conti non c’è nulla d’interessante in quello che faccio. Io mi sono dimenticata di sorridere, anche un sorriso finto.
Mi sono semplicemente arresa a un messaggio, non ho detto che c’era un no, un nostro. Poi mi sono lasciata semplicemente trasportare come se quell’attimo fosse eterno e alla fine.. non ho fatto.
Mi sono goduta quei dolori che mi sono inflitta da sola. Me li sono divorata stesa sul tappeto, dandomi le risposte sbagliate.
Ma ne è venuto fuori un dolore liquido, denso, pesante. Petrolio. Dolore.
Ne è venuta fuori consapevolezza. Da due anni, dopo un regalo, è seguita una vita intera e quello che non avevo volevo adesso ce l’ho.

Un libro, un regalo, un sorriso.
Una lente sul mondo.
Aspetto il Tevere che butterà fuori cadaveri e tronchi, motorini e carcasse industriali e no. Aspetto il Tevere. La pioggia per giorni. Aspetto.

E’ camminare per strada sorridendo. Mettere dei punti e ripensare, vedere le strisce del tempo. E’ sorridere e parlare. Io decido, io prendo. Io voglio, io amo.
E sono viva e non ricordo come era.
Fa male. Ma è anche l’unica via.


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