Magazine Società
Dovete sapere che, all'epoca, in quella che veniva definita la "società occidentale", le persone o, meglio, i consumatori, erano abituati ad acquistare grandi quantità di cose a prezzi variabili e spesso indipendenti dal loro reale valore. Una donna italiana, per esempio, a volte poteva spendere intere ore e buona parte del suo stipendio all'interno di queste cattedrali del commercio, comprando scarpe, abiti e molti altri prodotti del tutto simili a quelli che, magari, teneva nei cassetti di casa e di cui, ormai, aveva scordato l'esistenza. Solo tenendo presente questi concetti potete capire come luoghi di tale sorta potessero essere affollati, soprattutto in occasioni particolari, come le feste del Natale. Notate in particolare i cartelloni pubblicitari di grandi dimensioni, raffiguranti perlopiù donne in pose succinte e spesso svestite. Si tratta di una delle armi che venivano più utilizzate dagli esperti di marketing per solleticare la pancia del consumatore""E anche un po' più in basso".
Risata
Finirà così: con delle guide cibernetiche - veri e propri robot intelligenti o, più probabilmente, ologrammi onniscienti agghindati come formose commesse dei primi anni 2000 - che porteranno a spasso famiglie di turisti arabi e cinesi dentro ai relitti scomposti dei nostri centri commerciali di oggi. I padri di famiglie in provetta faranno foto a destra e a manca con delle macchine che ancora non riusciamo ad immaginare, attivate dallo sbattere sincronizzato delle palpebre, mentre i bambini correranno su e giù per le obrobriose scale mobili in disuso.
Tutto questo, ovviamente, nell'ipotesi che, tra una qualche cinquantina d'anni, ci saremo trasformati in una società evoluta. Il che non è presupposto da niente!
Non sono impazzito. Non più del solito, almeno. Vi provo a spiegare perchè!
Da qualche giorno, come forse avete letto qualche cm più sotto, sono tornato da un piccolo viaggio a cavallo tra 2 paesi baltici, terra di foreste e nevicate, bionde dallo sguardo di ghiaccio e cibi sconosciuti, uccelli d'ogni sorta e mari (inquinati) in tempesta. Ma anche teatro di uno stupro senza precedenti ad opera di tutti i principali totalitarismi del secolo scorso. A cominciare da Lenin, Stalin e compagnia cantando (l'Internazionale!).
Lettonia ed Estonia, non senza fatica, dal fatidico 1991 quando raggiunsero l'agognata indipendenza, sono riuscite a lasciarsi alle spalle un cupo periodo di pane razionato, spie nascoste in ogni anfratto, terrorismo anti-religioso, impossibilità di libera circolazione di merci, persone ed idee o, più in generale, una specie di arco di tempo dilatato all'infinito costellato da limitazioni immani a quella cosiddetta libertà personale di cui noi, oggi, ci facciamo garanti mentre facciamo zapping davanti ai culi delle veline sui canali del nostro presidente del consiglio.
Una maglietta americana o un volantino anti-regime potevano bastare a garantirsi svariati anni in una prigione sovietica.
Magari proprio nel carcere di Tallin che, nell'ambito del riuscitissimo Funky Bike Tour (Thank u Merilin!), abbiamo avuto modo di visitare in dettaglio. Restano una lunga serie di scatti che sembrano arrivare da un periodo remoto, come un fantastico incubo che tange pericolosamente il territorio di ciò che, dalla prospettiva di membri ideali della società del benessere, ci appare impossibile. Si tratta, invece, di una storia recente e sanguinosa, a pochi km da casa nostra.
Lettoni, Estoni e, più in generale, tutti i popoli che hanno appreso sulla loro pelle il significato di parole come "deportazione", "collettivizzazione", "propaganda anti-regime" vivono oggi, giustamente, una vera e propria fase di slancio verso tutto ciò che, fino all'età in cui erano giovani i loro padri, era proibito. Una sorta di effetto rebound, chiaramente segno di salute di un popolo uscito dall'oppressione, ma comunque un pericoloso sbilanciarsi verso l'altro opposto.
Qualche timido segno di frenata, a onor del vero, sembra apparire, a cominciare da i muri di Tallin dove un giovane writer (non che l'abbia visto, ma di solito non sono decrepiti anziani!) si chiedeva se fosse la televisione ad imitare la vita o viceversa. Alla periferia di Riga, comunque, spuntano, giorno dopo giorno, centri commerciali, concessionari e multisala come funghi dopo la pioggia, tanto che lo stesso UNESCO ha rallentato il processo per far diventare la capitale lettone parte del proprio patrimonio.
Tralasciando interrogativi filosofici sul reale significato della parola "libertà" applicata a contesti più insoliti come i mass media, i distributori di benzina nelle lunghe code inquinate in autostrada o, più semplicemente, tra gli scaffali del supermercato, vale la pena almeno confrontarsi con il problema del consumo del territorio da parte di questi vomitevoli pre-fabbricati, più spesso grigi ed anonimi quasi quanto i loro predecessori e con una vita media (lo sappiamo bene noi poveri padani che ne incontriamo uno ad ogni passo) tutt'altro che lunga.Dal finestrino rigato di pioggia di un atuobus in partenza dall'Estonia, ho fotografato un po' affannosamente alcuni palazzoni in perfetto stile "socialismo reale" alla periferia di Riga. Sono tra le cose più tremende che mi sia capitato di vedere. L'idea di poter vivere lì dentro, al solo scopo di nascere, crescere, lavorare e morire per il regime, annullato prima ancora che nella libertà personale, nella possibilità stessa di avere un'identità, mi è parsa a dir poco sconvolgente.
Sono arrivato al centro della città antica pensando, quasi come una sorta di mantra, alla nostra, italiana, fortuna. Poi, qualche giorno dopo, sono atterrato ad Orio al Serio, ho guardato dall'altra parte della trafficata autostrada e un po' mi è passato.
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