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Frammento #17 Isola di Taiwan - Comando 1° Divisione “Big Red” - 27-09-2034

Creato il 24 marzo 2013 da 79deadman @79deadman
Frammento #17 Isola di Taiwan - Comando 1° Divisione “Big Red” - 27-09-2034

Isola di Taiwan - Comando 1° Divisione “Big Red” - 27-09-2034
Nella palazzina del comando le finestre sono sempre socchiuse; è buio. Ci perdiamo in un labirinto di corridoi bassi, tra impalcature temporanee piene di registri e cartelle riservate; seguiamo piccoli impiegati amministrativi che scompaiono dietro grandi schermi, gestiscono linee telefoniche dirette con la metà delle ambasciate del sud est asiatico. Suonerie continue, ficcanti, acute. Un campo di grilli elettronici frinisce ad una bolla rotonda di elettricità che a mala pena illumina le moquette grigia sul pavimento. I burocrati strisciano fuori dagli angoli bui, sondano l’aria con le loro antenne gialle e marroni; poi zampettano rapidi con l’andatura da miriapodi scaltri; ansimano con le branchie primitive di anfibi approdati su un continente secco. Tengono stretti plichi legati con elastici verdi, etichettati e timbrati da operatori ancora sporchi d’inchiostro blu.  Quando si accende una lampada tutti scappano veloci, frusciando  verso l’ombra. Nell’aria c’è come una nebbia sottile ed asettica. Attendiamo in un locale folto di ragazzi con fogli di via in mano, certificati medici, referti di esami. La metà si ferisce volontariamente per avere un congedo pagato in qualche isoletta della Micronesia. Come dargli torto. Ogni tanto qualcuno esagera; la scorsa settimana un caporale di Little Rock si sparato in fronte nel parcheggio della caserma con un MP6: hanno raccolto sangue e cervello fino nel bagagliaio. E’ quel classico caos organizzato che tanto piace ai reparti di fanteria. Chiediamo la via giusta per l’ufficio di Berenger. Ci risponde qualcuno a gesti, muovendo le lunghe dita ossute come l’arto di una mantide tropicale. Ancora un corridoio; una saletta d’aspetto con seggiole in plastica foderate di stoffa rossastra. Un paio di ragazzi ci dormono sopra; potrebbero essere lì da qualche decina d’ore. All’altro lato un enorme schermo ultrasottile proietta sagome al led di numeri e sigle di sportelli. C’è più casino qui che alle poste sulla Nona a Cleveland. La luce va e viene, come in un galeone incerto del proprio emisfero. L’ufficio del colonnello Berenger è poco più di una gabbia fumosa del vecchio zoo di Brook Park. Lui sta alla finestra, scrutando tra le veneziane. Neanche si volta. “John Garner” “Sissignore” “Raymond Turner” “Sissignore” “E...Wayne Anderson” “Sissignore” “Come John Wayne?” Proprio così.  Ci squadra dall’alto al basso. Di nuovo guarda fuori dalla finestra; con una lentezza esasperante. Stivali neri, lucidi ma non perfetti; divisa ben tenuta; volto abbronzato, teso; solcato da tante minuscole rughe incise come da un bisturi. Capelli chiari, ben tagliati, ordinati e immobili come fossero d’alluminio. “Siete già stati su, al 4° PsyOp.  Non so cosa vi abbia raccontato Crowley, e non mi interessa. Io ho solo il compito di pianificare una missione efficace, di farlo nel modo migliore possibile; senza danni, senza effetti collaterali. Io sono qui per tenervi in vita.” Sembra un registratore. Come tutti gli ufficiali. Parlano per frasi fatte, premontate; sono degli assemblatori di retorica spicciola che si compone con la grazia di un meccano tra le mani di un bambino handicappato. Lui è qui per farci firmare dei fogli di missione che scaricheranno le responsabilità della nostre salute e della nostra incolumità ad altri. Questo per loro significa “tenerci in vita”. Possibilmente non a carico dell’esercito. “Avete visitato questa città? Avete parlato con qualcuno fuori dalla caserma?” Di nuovo ha lo sguardo volto verso la finestra; ci da le spalle.
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