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Gli inquirenti hanno chiarito che si è trattato di una banale “lite per motivi di viabilità stradale” e che a mettergli le mani addosso è stato solo un ragazzino di 16 anni, ma a otto giorni dall’accaduto Mario Adinolfi non demorde: insiste nell’atteggiarsi a vittima di un branco, continua a sostenere che si è trattato di un pestaggio e non smette di contestualizzare l’accaduto nel clima di conflittualità politica che affligge il paese.Ho già affrontato la questione in due occasioni (qui e qui), argomentando sulla piana evidenza dei fatti e sulle tante – troppe – incongruenze che stavano nelle dichiarazioni fatte a caldo da Adinolfi, ma a fronte della sua petulante insistenza nel distorcere la sostanza degli eventi occorre ribadire:
(1) Non è vero che Alessandro Sallusti abbia augurato ad Adinolfi di subire un’aggressione. Nella puntata di Agorà del 21 dicembre il direttore de il Giornale ha testualmente detto: “Vorrei che qualcuno picchiasse lui come hanno picchiato il finanziere e poi ci viene a raccontare se è bello oppure no”. Si trattava del comune espediente retorico di chi invita a mettersi nei panni della vittima prima di minimizzare quanto questa ha dovuto subire.Adinolfi ha cercato fin da subito di distorcere il senso della frase come fosse un augurio o una minaccia e, dopo la lite nella quale è stato coinvolto l’8 gennaio, ha cercato in modo grossolano e maldestro di attribuire a Sallusti una qualche responsabilità di quanto gli era accaduto. Ha scritto: “Non credo sia stata un’aggressione «politica». Chi mi ha colpito probabilmente neanche sa chi sia Sallusti, né io considero in alcun modo il direttore del Giornale mandante «morale» di questa aggressione”; e ha fatto bene, per evitare di dover rispondere di calunnia, ma ha anche scritto: “Sallusti è stato accontentato”.Ha scritto: “Non siamo agli Stati Uniti dove sui siti di destra si indicano gli obiettivi, poi arriva il ragazzino pazzo che spara in testa alla deputata”; e ha fatto bene, per evitare di essere sommerso di pernacchie, ma ha aggiunto: “Siamo in un clima simile e se non ce ne rendiamo conto in tempo, poi sarà troppo tardi”.Se tutto questo è assai meschino, il tentativo di creare un nesso causale tra la puntata di Agorà del 21 dicembre e i fatti dell’8 gennaio è patetico: tre ore prima Blob aveva rimandato in onda la scena.
(2) Non si è trattato dell’attacco di un branco, come Adinolfi si ostina a sostenere (“sono stato aggredito da otto persone”) e come ha cercato di farci credere fin da subito (“otto contro uno, per fortuna, ho una mole convincente: sono grosso e so difendermi”), perché è stato colpito da uno solo degli otto ragazzini in motorino nei quali s’è imbattuto quella sera: gli inquirenti non hanno elevato alcuna accusa a carico degli altri sette.Sulla entità delle lesioni riportate (Adinofi parla di “ecchimosi, edema, ferite lacero-contuse”) c’è un dato che solleva un dubbio che finora non è stato chiarito dall’interessato: “i giorni di prognosi non risulterebbero ancora documentati” (ansa.it), anche se il nostro afferma di aver ricevuto assistenza presso un pronto soccorso, dove è prassi comune allegare la prognosi alla diagnosi e alla terapia. Tutto sommato, però, questo punto è secondario: nessuno mette in dubbio che Adinolfi le abbia prese e non importanza se siano state poche o tante. Tuttavia è singolare che alla storia manchi proprio l’elemento necessario a dare il peso del fatto penale.
(3) Adinolfi continua a dirsi vittima di un’aggressione ad personam: “Qualcuno ha riconosciuto «er ciccione della tv» – ha scritto – e proprio al grido di «ciccione»…”. Ora, non c’è dubbio che sia stato riconosciuto come soggetto obeso e non si fa fatica a credere che per questo possa essere stato fatto oggetto di scherno, ma davvero è stato riconosciuto come personaggio televisivo? Non lo sapremo mai, ma resta il fatto che, a fronte dell’assoluta banalità dell’accaduto, «er ciccione della tv» tenga molto a farci credere che da ignoto pedone smilzo non gli sarebbe capitata analoga disavventura, il che non sta né in cielo né in terra. Pare, infatti, che “Adinolfi [fosse] a piedi e [stesse] attraversando la strada” (ansa.it) in un punto che è a non meno di 60 metri dalle più vicine strisce pedonali. Versione non perfettamente coincidente con quella riferita da Adinolfi (“gli otto occupanti dei mezzi decidono di venire a sbarrarmi il passo mentre camminavo sulla piazzola di circonvallazione Gianicolense all’altezza del civico 390”), che potrebbe averla offerta per occultare il vero motivo all’origine della lite, assai più volgare di un agguato ad personam: lo scambio di improperi tra un pedone che attraversava incautamente la carreggiata e un ragazzino in motorino che sopraggiungendo non riusciva ad arrestare in tempo la sua corsa schivandolo per poco.
E tuttavia Adinolfi insiste e alle legittime perplessità, che sono state sollevate da più parti sulla sua versione dei fatti, risponde risentito: “E il pestaggio continua”. A non credere sulla parola a tutto ciò che dice, e abbiamo visto quanto regga poco, si sarebbe complici morali del branco che l’ha pestato. Francamente, questo è troppo.
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