Francesca Marciano un tempo è stata davvero l’attrice. Anche, probabilmente, la promettente diva. La ricordiamo, bellissima e sensuale, appunto, nel suo film di esordio, Pasqualino Settebellezze, 1975, Lina Wertmuller, una pellicola che l’anno successivo, ad Hollywood, fu candidato all’Oscar proprio per il miglior film in lingua straniera. E la penna di Giovanni Grazzini, critico autorevole così scriveva, testualmente, dalle pagine del Corriere della Sera: “…e c’è l’esordio di una bella faccina, Francesca Marciano, da tener d’occhio…”.
Dice Francesca Marciano: “effettivamente c’era in quel tempo la possibilità concreta che potevo davvero diventare un attrice. Ma non era quello che volevo per la mia vita. Sono stata un’attrice solo per una serie di coincidenze che io assolutamente non ho cercato”. Infatti subito dopo viene anche la scelta del regista Pupi Avati, che la vuole nel suo La casa dalle finestre che ridono,1976, in un ruolo da co-protagonista al fianco di un attore importante come Lino Capolicchio, una pellicola che rimane ancora oggi un film culto per il genere horror italiano. Lo stesso Avati la confermerà nel cast del suo successivo, Tutti defunti, tranne i morti”, 1977.
Dice Francesca Marciano: “con il film di Avati, nel 1977, chiudo la mia carriera di attrice. Entrare nel mondo del cinema, ricordo, è stato un fatto del tutto casuale, anche se il mondo del cinema nella mia famiglia era entrato da tempo. Per me era diventato un mondo certamente abituale ed anche frequentato per via del lavoro di mio padre, un avvocato che curava gli affari del cinema e di mio zio, che fu a lungo assistente per Michelangelo Antonioni. Io stessa avevo facilità, in quegli anni di formazione, a visitare i set cinematografici, ed assolvevo con piacere questa facilità, ma questo, allora, ricordo era solo per una purissima curiosità giovanile intellettuale. Chiaro che non ho avuto difficoltà poi a conoscere e frequentare personalità geniali ed autorevoli del cinema italiano come Pier Paolo Pasolini, Valerio Zurlini e Francesco Maselli”. Dice Francesca Marciano: “un motivo comunque c’era stato per interpretare il film della Wertmuller: mi pagavano abbastanza per raggiungere facilmente un mio obiettivo allora essenziale, il viaggio in Grecia”. Comunque sia, e come per un paradosso incredibile, furono proprio i grandi successi, personali, dei suoi film interpretati, che portarono Francesca Marciano, in definitiva, lontano dal cinema e dall’ Italia per un lungo periodo. Questo fu il suo eccezionale, come lo ricorda, periodo americano.
Continua Francesca Marciano: “non so nemmeno dire se non avevo talento per la professione di attrice, in realtà davvero non volevo proprio fare quella professione. Proposte in quel senso, e in quel tempo, stiamo parlando di oltre trenta anni fa, ne arrivavano proprio tante, perché i tre film che avevo interpretato, avevano tutti una loro qualità, una loro decisione artistica ed avevano anche risposto molto bene al responso del botteghino. Ma per tutta risposta ho preferito partire alla volta degli Stati Uniti, un viaggio che è diventato un motivo per decidere e per chiarire fino in fondo quello che volevo davvero fare da grande”. Ma perché, Francesca Marciano, nonostante le premesse favorevoli non è poi voluta diventare veramente un’attrice? A domanda secca Francesca Marciano consegna una secca risposta: “sicuramente lo trovo tutto nel mio carattere questo perché, questa ritrosia al ruolo, e sta tutto nel significato del mestiere dell’attore e, come detto, nei tratti proprio salienti della mia personalità. Perché essere un attore vuol dire esporsi e non poter avere nessun controllo di questa esposizione, mentre a me non piace sicuramente stare nella parte esposta e nello stesso tempo sono una persona che deve avere il controllo della situazione. Quella professione rimaneva all’opposto della mia personalità. Però è servita a capire cosa veramente volevo fare”. L’America dunque, e a vent’anni, tanti ne aveva più o meno in quel periodo Francesca Marciano, era davvero lontana, e per quel momento storico soprattutto, i primi anni settanta, quando Internet era ancora un futuro forse inimmaginabile e la gente non amava nemmeno fotografarsi, l’America era davvero, come diceva Dalla,dall’altra parte della luna.
Dice Francesca Marciano: “in America non conoscevo nessuno, per comunicare con l’Italia dovevo davvero imbustare la lettera nella buca della posta, e per pagarmi gli studi alla Lee Strasberg’s School, in America una sorta di Actor Studio, solo a pagamento, ho fatto veramente ogni tipo di lavoro”. Ed è stata proprio la grande esperienza americana a favorire, in fondo, la produzione del suo primo film da regista, Lontano da dove, 1983, realizzato insieme alla sua grande amica, l’attrice Stefania Casini, che nel frattempo aveva incontrato in America (anche la Casini in una sorta di fuga dall’Italia, ed anche lei proprio per capirsi). Dice Francesca Marciano: “con Stefania abbiamo preso una casa in affitto, lì la sera scrivevamo la nostra sceneggiatura, con molto impegno perché credevamo davvero in questo progetto del film tutto nostro”. Lontano da dove, una briosa e fresca storia di situazioni vissute, dove molti personaggi riecheggiavano la loro storia, un personaggio poi, che nel film era interpretato da Monica Scattini era proprio la loro carta di identità del tempo, proprio la copia e la sintesi della loro situazione esistenziale: pagarsi la scuola di recitazione, proprio come al personaggio del film, le costringeva al doppio lavoro. Lontano da dove è un film che ancora oggi descrive e riesce a rappresentare perfettamente il mito di New York, anche oltre la logica e la riflessione semplicistica da rotocalco. Al progetto di Lontano da dove, in fondo, hanno creduto subito in molti. A cominciare proprio da Renzo Rossellini, il produttore, che con la sua Gaumont (una casa di produzione che nel decennio degli anni ottanta era proprio all’apice della sua grammatica) ha decisamente attivato il percorso, dalla Mostra Internazionale del cinema di Venezia, che nel 1983 ha fortemente voluto il film nel programma della sezione di Venezia Giovani, dal direttore della fotografia, Romano Albani, un professionista importante e rigoroso, proveniente dal bel cinema del delirio, che fu quello di Dario Argento in quel periodo, e da quello più fortemente intimo di Franco Brusati ed infine proprio dal mitico Lucio Dalla, che ha composto il tema musicale al film e, in qualche maniera, offerto lo splendido titolo di Lontano da dove.
Il ritorno in Italia di Francesca ed il buon successo del film, le hanno suggerito di credere ancora nella professione di regista, ma sicuramente non a convincerla. Girerà infatti come regista un solo film, un episodio, Sirena, di quella che sarà un opera collettiva chiamata Provvisorio quasi d’amore, 1989, un progetto che vedeva impegnati autori come Sivio Soldini, Enrico Ghezzi, Giancarlo Soldi, Daniele Segre. E siamo praticamente ai giorni nostri, vent’anni dopo, quando Francesca Marciano, è ormai una sceneggiatrice e, finanche, una scrittrice affermata. Cielo scoperto (Rules of the Wild), 1998 edito dalle edizioni Mondadori, Casa Rossa, 2003, La fine delle buone maniere, 2007, questi ultimi due per le edizioni Longanesi sono i suoi prepotenti ed incisivi risultati letterari.
Dice Francesca Marciano: “affronto la scrittura davvero come un mestiere e non come qualcosa di sublime, che nasce solo dalla vocazione, che è essenziale e giuro che c’è. Scrivere è veramente un mestiere, c’è la tecnica e la disciplina, la struttura che bisogna costruire e poi farla rimanere continuamente in piedi. Elaborarla poi, e con grande pazienza nutrirla, farla crescere. Non c’è quindi solo l’ispirazione, che eppure è assolutamente necessaria”. Noi siamo perfettamente d’accordo, per scrivere un buon cinema bisogna certamente possedere una buona conoscenza della tecnica letteraria. Non è certamente un caso che nel cinema americano, certamente il più interessante al mondo, spessissimo c’è un racconto, un romanzo, una commedia a monte del progetto. Ma il cinema rimane il viatico maggiore delle sue ispirazioni e Carlo Verdone certamente l’autore che l’ha compresa di più: Maledetto il giorno che ti ho incontrato, 1992, Perdiamoci di vista, 1994, Sono pazzo di Iris Blond, 1996, L’amore è eterno finchè dura, 2004, Io, loro e Lara.
Dice Francesca Marciano: “Carlo in qualche modo da volto sempre al suo personaggio, è in cerca sempre della sua svolta comica, lo vive interpretandolo anche al tavolino durante le riunioni. Noi invece, e parlo anche di Pasquale Plastino, altro storico sceneggiatore di Verdone e mio carissimo amico, ci concentriamo di più sugli altri personaggi verdoniani, fungendo un po’ da coro, se vogliamo, da contraltare. Poi con Carlo, devo dire, io che lavoro più spesso solo sui personaggi femminili (una condizione di lavoro che continuo a ritenere riduttiva e limitante, nonché sbagliata, per il nostro cinema, ma ormai questa è una condizione permanente e diffusa di lavoro nel cinema del nostro paese) questa cosa mi pesa molto meno, perché davvero Carlo conosce bene le donne, le sa descrivere anche psicologicamente, ed allora con lui finisco per lavorare in un rapporto ed in un contesto assolutamente globale, anche paritario, che mi regala stimoli continui, cosa che non capita purtroppo spesso con gli altri registi”. Una intesa straordinaria, in fondo, l’ha raggiunta anche con il regista Gabriele Salvatores, firmerà con lui pellicole come Turné, 1990 e Io non ho paura, 2003, riduzione del romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti. Intanto il presente di Francesca Marciano è semplicemente straordinario, è la condivisione di una esperienza di lavoro con Bernardo Bertolucci. Il film è Io e te, tratto dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti. Intanto ridurre un romanzo in sceneggiatura è più interessante, meno difficile, è riduttivo oppure rimane oltremodo esaltante e ricco di motivi? In questo contesto Francesca Marciano ha proprio più di una esperienza, oltre ad Ammaniti ha tradotto per il grande schermo il romanzo La bestia nel cuore, 2005, scritto dalla stessa regista che poi lo ha trasformato in film, Cristina Comencini.
Dice Francesca Marciano: “assolutamente interessante, certo, costruttivo, rivelatore, non è affatto riduttivo. E’ certamente un procedimento diverso da quando si parte da un soggetto originale, da un trattamento già preparato cinematograficamente. Intanto si tratta di rimanere fedeli al territorio già asfaltato dal romanziere e nello stesso tempo bisogna avere il coraggio di tradirlo un po’, l’ impegno più arduo può diventare quello di trasformare in azione, in immagini se vogliamo, quello che nel romanzo è narrato solitamente attraverso le sensazioni, le riflessioni, i pensieri”. E poi, uno sceneggiatore usa presenziare durante le riprese di un film a cui ha lavorato a tavolino? Dice Francesca Marciano: “per quanto mi riguarda su questa tendenza io sono abbastanza fatua e di rado assisto alle riprese. Perché ritengo che per un regista sia una cosa antipatica avere sempre attorno lo sceneggiatore. Il lavoro con lo sceneggiatore termina a tavolino, magari il giorno prima. Una sceneggiatura terminata è una sceneggiatura consegnata per ulteriori letture. Un film ha più di una lettura quando è in sede di lavorazione e solo il regista le presenzia tutte. Voglio dire che poi il regista rileggerà il copione con gli altri autori della pellicola, cioè con il direttore della fotografia sul set e con il montatore in moviola. E queste riletture potrebbero portare anche delle modifiche magari non previste o non essenziali in sede di sceneggiatura. E a queste modifiche lo sceneggiatore potrebbe non partecipare, magari perchè assente o magari perchè già impoegnato con un altro copione”. Quindi il rapporto dello sceneggiatore con un regista termina definitivamente alla consegna della sceneggiatura?
Dice Francesca Marciano: “non sempre. Con Bertolucci, ad esempio, nonostante a monte c’era un copione solido, di ferro, come si usa dire in gergo, abbiamo continuato a modificare la sceneggiatura giorno dopo giorno, per tutta la durata delle riprese, cioè la sera si riscriveva quello che la mattina dopo si sarebbe girato. Questo perché si notava che la cosa, giusta sulla carta, non funzionava poi così bene nella pratica. In questo caso lo sceneggiatore, io in particolare, ho continuato il mio rapporto con il film in lavorazione”. Ora il futuro vede Francesca Marciano impegnatissima: con le registe Maria Sole Tognazzi, alla lavorazione del suo nuovo film, Viaggio sola, un copione scritto insieme alla regista ed allo scrittore Ivan Cotroneo, con Susanna Nicchiarelli in un copione, ancora senza un titolo definitivo, che probabilmente diventerà il nuovo e terzo film della Nicchiarelli dopo il notevole Cosmonauta, 2010, il suo debutto, e dell’ancora inedito La scoperta dell’alba, 2012, ancora è al fianco dell’attrice Valeria Golino, in una pellicola, Vi perdono, un copione tratto anche questo da un romanzo, scritto da Angela Del Fabbro, che in realtà è lo pseudonimo dello scrittore Mauro Kovacic, pellicola che segnerà anche il debutto nella regia dell’attrice Valeria Golino ed alla produzione cinematografica dell’attore Riccardo Scamarcio.
Dice Francesca Marciano: “Il tema della pellicola, scelta da Valeria per il suo debutto, un copione che abbiamo scritto insieme a Valia Santella, sarà una storia fortissima: quella della eutanasia”. Dopo il bel film di Marco Bellocchio sullo stesso tema, Bella addormentata, 2012, il film della Golino sarà una ulteriore conferma su un tema di assoluta coscienza. E’ un dibattito certamente doloroso a cui giova, sicuramente, l’attenzione speciale della cultura e del cinema.
Giovanni Berardi