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Francesco Bianconi e il Suo “Regno Animale” Fatto di Maschere

Creato il 08 settembre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Francesco Bianconi e il Suo “Regno Animale” Fatto di MascherePrima di scrivere queste poche righe su quella che per me, lo anticipo, è stata una vera delusione, mi è doveroso fare una necessaria premessa. Da sempre, anche quando non li conosceva ancora nessuno e l’indie rock non era spopolato tra coloro i quali si sentono “alternativi” ma non lo dicono, «perché essere alternativo significa anche negare ciò che si è; basta capire i gusti e si intuirà senza troppo spreco di parole a quale credo si appartiene», i Baustelle erano un gruppo che apprezzavo. Sia chiaro, mi piacciono ancora. Mi piace la voce di Rachele, le parole che scrive Bianconi e le sonorità che riescono a buttar fuori dalle loro canzoni. Insomma, certi loro versi sono vere poesie difficili da dimenticare. Eppure, da “Amen” in poi, qualcosa è cambiato. Leziosità nei testi? Voglia di scrivere qualcosa anche se fondamentalmente non si ha una grande idea sotto che la possa sorreggere? La risposta non c’è e non credo che loro lo ammetterebbero mai, anche perché non c’è dubbio che la scrittura resta uguale. Del resto Bianconi sa scrivere, e lo sa fare anche bene, ma l’idea, è l’idea che manca. Così, fatta questa breve premessa e annunciando che non ho alcun pregiudizio nei confronti del gruppo e che anzi, mi piacciono molto e ricordo ancora con rammarico il giorno in cui persi l’occasione di andare ad un loro concerto solo perché avevo pensato troppo tardi di comprare il biglietto, devo purtroppo constatare che la bravura nei testi delle canzoni non si evince nella stessa misura in quella che è stata la prima fatica letteraria del frontman del trio.

Francesco Bianconi e il Suo “Regno Animale” Fatto di Maschere

“Il regno animale” è il titolo. Edito da Mondadori per la collana “Strade Blu”. Un libro nuovo, di recentissima uscita, il cui nome all’inizio pare dovesse essere “Un romantico a Milano”, che rimanda a una sua celebre canzone. E in effetti, se dovessi dire bravo a Bianconi, lo farei proprio per la scelta della prima di copertina che si attiene perfettamente a quella che era l’intenzione dell’artista, anche se poi il tutto si ferma solo all’intenzione. Il suo romanzo fa sfilare, come in passerella, vari tipi di umanità: la famiglia perbene che vive del suo lavoro cercando di non far mancare niente al classico “bamboccione” costretto ad emigrare per trovare un lavoro, i perditempo che trascorrono le loro giornate tra alcol e gioco, i barboni per strada, la signora pazza che dà da mangiare agli uccelli, lo spacciatore e il drogato, l’emarginato e la gente che non lo degna di uno sguardo per poi passare, rapidamente, all’altra metà della mela marcia, quella fatta di lustrini e paillettes che popola il mondo dello spettacolo. Insomma, in un libro di circa 250 pagine, si concentra proprio tutto. Non manca niente. In realtà però a mancare è tutto. Più si va avanti nella lettura, più il romanzo si mostra agli occhi del lettore come una semplice sfilata di maschere, a volte fin troppo calate nel ruolo che la società le ha designato.

Francesco Bianconi e il Suo “Regno Animale” Fatto di Maschere

Sicuramente, nel corso delle pagine, non mancano alcuni spunti interessanti da cui poter iniziare a fare riflessioni non banali, però il tutto svanisce miseramente nella voglia di fare troppo citazionismo, rischiando di cadere nel classico luogo comune. Neanche la figura del protagonista riesce ad emergere. Sappiamo dei suoi problemi, delle crisi e delle paure che lo tormentano, conosciamo anche la sua condizione di precario che dovrebbe farsi bandiera della situazione di molti altri coetanei come lui, peccato però che a nessuno di essi, senza esperienza, è dato ricevere un invito alla Mostra del Cinema di Venezia come reporter, tra l’altro di una delle riviste più in voga del momento. Un romanzo che, certamente, è scritto in modo forse più diretto rispetto ai testi delle canzoni, però non arriva lo stesso e succede questo, perché di base l’idea vacilla, perché probabilmente intrisa di stereotipi fin troppo sedimentati. Neanche il finale, per così dire noir, dove Bianconi racconta Bianconi, mostrando forse la sua parte più fragile, quella che di solito non mostra ai concerti, riesce a convincere e a dare la scossa giusta a un libro che ti promette una bella storia, ma che si conclude nel suo totale opposto.


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