Una riflessione che vorrei molti facessero propria
Francesco De Palo
La vera polis non può che passare da una nuova Unione.
“E’necessario – ha scritto Protagora – che tutti i cittadini compartecipino perché vi possa essere una polis”. Il simposio promosso in questi giorni dal Centro Studi europei, rappresenta una fertile occasione per aprire un pertugio in mesi caratterizzati da una vaghezza contenutistica della proposta politica e da un generale e preoccupante appiattimento della cosiddetta coscienza socio-cultuale dei cittadini italiani. Accanto alla stucchevole deriva data dalla quotidianità della cronaca politica, avverto, serpeggiante e insidiosa, la presenza del nemico numero uno della polis: l’apatia. Quel sentimento, amaro e determinato, che produce distacco, scollamento; ma non solo in quanto figlio di delusioni o pregressi appartenenti alla sfera del singolo individuo. Bensì per completo abbandono da parte del soggetto principale della polis: il cittadino europeo.
Il tema che più di ogni altro risulta latitante da ogni tipologia di approfondimento politico e culturale oggi prende il nome di Unione. Non starò qui a elencare gli innumerevoli motivi demagogici che costringono eurodeputati distratti a volgere lo sguardo altrove quando si tratta di tracciare le rotte future del continente, sarebbe fin troppo semplicistico e non perseguirebbe l’obiettivo simposiale. Credo invece che un’adeguata riflessione vada avviata da questo lato della barricata, ovvero nelle menti e nelle braccia dei cittadini europei, alla luce dell’esperienza personale che ho maturato nel 2012, quando ho trascorso dieci mesi in Grecia per seguire, attraverso reportage che ho pubblicato in Italia, la crisi greca e l’avvento di un nuovo protagonista della vita europea mai visto prima: la troika.
Non esiste Patria senza popolo. Ma cosa accade quando la coscienza critica del singolo individuo è drogata prima da anni di benessere fasullo e in seguito da una sorta di colpo di stato che lo riduce sul lastrico? L’elemento tanto invocato (solo oggi?) della sovranità nazionale che nel recente passato molti commentatori si illudevano fosse vivo e vegeto, era evidentemente soltanto un’illusione creata da un gioco di specchi. Quando nel 2001 la Grecia, guidata dal premier socialista Kostas Simitis, è entrata nella moneta unica, ha presentato dati contrastanti. Ricordo un dettagliato reportage apparso sulle colonne del Messaggero nel 2004 in cui si delineavano parametri non rispettati, cifre quantomeno sbagliate, trend anomali. Di cui nessuno si chiede provenienza e attendibilità. Addirittura uno dei tecnici che prese parte al board che curò il passaggio dalla dracma all’euro, Yannis Stournaras, oggi è stato promosso ministro delle Finanze senza che alcuno gli abbia chiesto conto di quella transizione epocale.
Oggi all’indomani di tre memorandum della troika che ha scelto, sic et simpliciter, di chiudere l’immensa voragine finanziaria ellenica con altri prestiti infiniti, il malato grave che vive ad Atene non è solo la Grecia, con l’ircocervo di tutte le sue innumerevoli contraddizioni, con la corruzione galoppante che coinvolge anche colossi tedeschi o la pochezza della sua classe dirigente (la stessa che ha prodotto il crack e che oggi si erge ad eroina per salvare il Paese). Il malato grave che dal centro dell’Egeo lancia il suo encefalogramma piatto si chiama Europa. Bene si fa dunque a citare Gentile, quando asseriva che il valore universale si realizza superando il particolare, cioè l’individuo. Ma a patto che altri individui intervallino i loro egoismi personali e degni del peggior basso Medioevo in cui purtroppo viviamo, grazie ad una ventata di aria fresca. Un nuovo Rinascimento euromediterraneo, da fecondare proprio lì, dove la crisi ha avuto inizio, dove millenni fa Pericle partorì concetti che avrebbero caratterizzato la futura convivenza dell’uomo con i propri simili.
Ragion per cui non si può non guardare agli input dei padri fondatori dell’Unione De Gasperi, Spinelli, Adenauer e prendere atto, con infinito rammarico, che il seguito di quell’impalcatura fissata da loro con perizia certosina e spirito da grandi statisti, oggi sia stata mortificata da mire espansionistiche e da una sostanziale deferenza con cui la classe dirigente italiana si rapporta a questa vera e propria guerra. Ciò che fa più rabbia e mina le personali convinzioni “affettive” nei confronti della politica e della res pubblica è la totale incapacità di media e politica di comprendere quanto l’Italia sia vicina alla deriva ellenica.
Chi vi parla, sovente accusato di essere una Cassandra, ha solo elencato dati dell’Istat, riportato fatti relativi ai suicidi da crisi in Italia e alle chiusure di storiche aziende del nostro paese, come Richard-Ginori, cartiere Burgo, passando per le gravi vicende del Sulcis e dell’Ilva, raffrontando il caso greco con i riverberi italiani che la quotidianità ci offre. Due scenari ovviamente non paragonabili, per potenza industriale e tessuto sociale. Ma, oggi più che mai, pericolosamente vicini alla voce cittadinanza passiva e arrendevole. Con la differenza che al di là dell’Adriatico la gente non ha più la forza di protestare dopo che la svendita del Paese è tata già avviata, dopo che pensioni e stipendi hanno subìto tre tagli orizzontali, dopo che 25mila dipendenti pubblici sono stati licenziati, dopo che le risorse del sottosuolo ellenico, gas e oro, saranno sfruttate dai potenti della terra. E in Italia invece non ne hanno, semplicemente, voglia e cognizione. Addormentati su un cuscino di fiele che è lì, pronto a detonare.
La soluzione? Troppo facile attendere l’arrivo di un nuovo Leonida, che sconti il sacrificio per tutti al fine di produrre benefici alla propria comunità e all’intero bacino. Ma se tutti i cittadini dell’Unione metabolizzassero che solo un nuovo senso di polis continentale potrebbe essere foriero di benessere e sviluppo, allora si sarebbe già piantato il primo seme di una nuova e rigogliosa pianta.
*Intervento per la Scuola di Politica promossa dal Centro Studi Europa
Forni di Sopra (Ud) 14 settembre 2013
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