Magazine Cultura
Francesco Renna è un musicista che apprezzo e di cui ho scritto lo scorso anno. In occasione dell’uscita del nuovo album, Guidami Eshu, ho provato con lui a tirare le somme del lavoro svolto, volgendo lo sguardo al futuro. La poesia, il messaggio, l’anima dell’album mi hanno condotto verso un metodo descrittivo per me inusuale, una stesura di articolo a quattro mani, con una suddivisione dei compiti… organizzata, che mi ha visto impegnato nella sola intervista. E sono certo che Francesco apprezzerà le qualità di Loretta Ramognino, una scrittrice che possiede le doti tipiche del ruolo, il sapere estrarre l’anima delle cose utilizzando l’essenzialità. Ciò che si può leggere a seguire è il racconto di un album e quindi di un pezzo di vita… grossa responsabilità la nostra!
http://www.francescorenna.it/
Ascoltare Francesco Renna è come immergersi nei colori. La sua musica è poesia libera. Esente da vincoli, senza un filone, senza frontiere di spazio. Libera da catene. Il guizzo di una intelligenza vivace. Una strada di crocicchi ombrosi e talvolta soleggiati. E' musica istintiva. E' passione. E' spirito che traspare da suoni e parole. Nasce dalla sua anima e quindi sempre diversa. L'ispirazione in lui nasce cosi, all'improvviso perché è senza preavviso che l'anima si manifesta e viene a galla. Francesca Renna cerca, con la musica, il ritorno all'emozione del ricordo, al sentirlo sulla pelle, al riviverlo nella sua interezza come emozione vibrante di corpo e di spirito. Canta l'amore lontano, forse per sempre, cercando la soluzione al dolore della perdita, cercando la sua anestesia. Anche se talvolta, come lui descrive " ... il freddo insiste" Ricerca, forse invano, la sublimazione. Ne " La notte, Chiara" descrive magistralmente il dolore e lo sgomento della persona amata ormai assente, lontana. L'attaccamento agli oggetti che li hanno visti insieme e che diventano la traccia tangibile del ricordo. Sul cuore. Renna, con le sue parole, con note che accarezzano la mente, cerca di colmare i vuoti e non perde mai la speranza di un riscatto anche e soprattutto attraverso la musica vista non solo come conforto e purificazione, ma anche come apertura verso il mondo, gli altri, la vita. " ... ma io ho le canzoni che mi guidano verso te, verso noi, verso me, verso voi". Loretta L’INTERVISTA Ci siamo lasciati circa un anno fa con questa tua speranza: “ Vorrei crescere ed evolvermi, padroneggiando più linguaggi musicali possibili”. A che punto è la tua evoluzione? Per fortuna a un punto di non ritorno. Ciò che suono e che scrivo è sempre in continua evoluzione, le mie stesse canzoni cambiano nelle versioni nel giro di qualche mese. Chi l’avrebbe mai detto che avrei iniziato a suonare Biciclette al passeggio in stile reggae. Il proposito di Appunti dal blu era proprio questo, scoprire più modi di essere per evolversi e soprattutto per divertirsi. Sento che con il tempo riesco a esprimermi sempre meglio, cosa che non lascia il pubblico indifferente. Sta per uscire il tuo nuovo album, Guidami Eshu: me lo descrivi, nei contenuti e nelle tracce musicali? L’album inizia dove è giusto che cominci: in Irpinia. Ci sono Giuseppe e Simona che durante una comunissima giornata invernale fanno di tutto per incontrarsi tra ritardi e fraintendimenti. Ci riescono finalmente di sera, a Le 5 e 37. Proprio mentre Simona prepara l’occorrente per il tè, i due amici vivono in casa il più bel tramonto che abbiano mai visto. C’è chi poi i tramonti li colleziona, quasi per mestiere più che per diletto. Ed è da qui che prende forma la seconda traccia dell’album, tratta dal racconto di Saulius Kondrotas, Il collezionista, il cui testo è stato scritto da Alberto Marchetti. Il collezionista è un uomo anziano in pensione che scopre la fantastica opportunità di poter raccogliere tramonti in scatole di latta e di riviverli quando gli pare. Una storia molto affascinante, che mi ha colpito tantissimo per la sua semplicità e la sua poesia. La terza canzone è chiaramente autobiografica, parla di una persona che non c’è più e di ciò che in tutti questi anni mi ha guidato verso qualcosa di positivo. Parlo della musica ovviamente, ma non solo. Parlo di quella voce che sento dentro e che mi dice cosa posso fare per prendere la giusta direzione. Magari è davvero Eshu che ci pensa. Questa voce mi ha insegnato che la musica può portare qualcuno verso una scoperta profonda dell’esistenza. Alla fine della canzone dico queste parole: “ma io ho le canzoni che mi guidano / verso te, verso noi / verso me, verso voi”. Quando parlo di voi parlo di chi mi ascolta e di chi riesce ad essere in empatia con ciò che provo mentre canto. Guidami Eshu è una canzone dedicata a Robert Johnson e a chi ha purtroppo condiviso il suo stesso tipo di vita. Johnson è uno degli uomini chiave di tutta la musica moderna. È difficile trovare qualche genere musicale che non sia stato influenzato neanche in minima parte dal Blues. L’ambientazione a cui ho pensato mentre scrivevo il testo del pezzo era quella delle strade buie e polverose del Mississippi. Spesso gli afroamericani di notte non potevano uscire, rischiavano di ritrovarsi impiccati ad un albero il mattino seguente. Strange fruit di Bessie Smith parla proprio di questo.
La notte, Chiara, è un brano che era presente anche nel disco precedente ed è stato rivisitato. Può essere questo l’anello di congiunzione tra i due lavori? Più che anello di congiunzione lo definirei filo conduttore di un discorso che è partito da Appunti dal blu e compreso da pochi. Le mie canzoni sono libere ed è questo che non le rende pop. Un giorno mi sveglio e decido di suonarle in un modo diverso, non restano ingabbiate in una sola dimensione. Il motivo per cui ho scelto proprio questo brano è perché in realtà non mi piaceva fino in fondo, ma durante la sua pubblicazione non me ne ero reso perfettamente conto. Sentivo l’esigenza di cambiare il testo e di raccontare meglio la storia di me e questa Donna.
E’ anche un album che parla di blues e di uomini che sono stati protagonisti attivi nella sua proposizione: che cosa è per te il blues? Per me il blues è il sentimento che mi guida da sempre, che non identifico con depressione ma con voglia di riscatto. Sento che da sempre ho bisogno di riscattarmi da una realtà che mi ha dato davvero poco. Il Blues mi accompagna costantemente in questo cammino, il modo in cui tocco la chitarra non è molto diverso dal modo in cui vivo (o cerco di vivere). È istinto allo stato puro. Ed è cool! Da cosa hai tratto ispirazione per queste nuove tracce? E’ cambiato qualcosa, rispetto al passato, nel tuo modo di comporre? Sono cambiate moltissime cose nel mio modo di scrivere. Qualche anno fa testo e musica arrivavano quasi in contemporanea. Spesso mi capitava di trovare un giro di accordi interessante e di mettermi subito a scrivere sul foglio qualcosa. Adesso le cose accadono in maniera del tutto separata. Capita che mi trovo da qualche parte a suonare e vengo colpito da un’armonia. Posso essere nel mio studio, in casa, in un locale, in sala prove. Registro l’idea sul cellulare e resta lì per settimane o mesi fin quando non decido di riascoltare quello che mi è passato per la testa. I testi arrivano in un modo simile, in genere mentre rifletto. Se mi accorgo che il pensiero è interessante, lo segno su un post-it o sul cellulare. Lo rileggo dopo un po’ di tempo e lo prendo in considerazione solo se mi colpisce.
Puoi specificare il significato di “Eshu”? Eshu è una importantissima divinità della religione Yoruba. Non funge solo da intermediario fra l’uomo e gli dei, ma svolge anche il ruolo di protettore dei crocicchi. Durante il periodo della schiavitù, gli afroamericani iniziarono a identificare Eshu con il demonio cristiano. I padroni delle piantagioni imponevano agli schiavi la religione cattolica e proibivano l’uso dei tamburi. Da qui la leggenda del patto col diavolo che avveniva nei piccoli incroci di campagna, in cui i bluesmen imparavano a suonare magicamente la chitarra in pochi minuti. “Guidami Eshu
c’è un uomo sulla strada che piange sangue
c’è un uomo sulla strada che va verso Greenwood”. Mi pare di avere captato che è possibile una futura rilettura dell’album in lingua inglese. Il pubblico americano è molto rigido quando i propositori del blues o musica affine arrivano da altri paesi: cosa ti alletta della sfida? Il motivo principale per cui non ho ancora provveduto a farne una rilettura è proprio questo. Ho bisogno di trovare qualcuno che innanzitutto sia in grado di tradurre i testi e al tempo stesso che riesca a metterci del proprio. Credo che l’operazione sia pensabile solo attraverso l’aiuto di una persona madrelingua. Poi ci sono anche molti miti da sfatare sulla faccenda. Ci sono tantissimi bluesmen non americani molto apprezzati. Basti pensare a Fabrizio Poggi o a Gennaro Porcelli. Sono entrambi stati parecchie volte negli States a suonare il Blues per gente americana. E come dimenticare i mitici Blue Stuff di Mario Insenga o i fratelli Limido della Family Style Band. Il Blues non è un genere americano, è afro-americano. Gli unici ad aver diritto di schernirci sono solo i neri di Blues.
Mi pare che il tuo album sia stato registrato in presa diretta: visto il tuo amore, ovvio, per la fase live, come pubblicizzerai il disco? Una fase live è sempre qualcosa di molto delicato, ci vogliono tutta una serie di condizioni perché possa funzionare: ottima conoscenza dei brani da parte dei musicisti, forma fisica e mentale eccellente, armonia nel gruppo, parti e ruoli ben definiti. Il resto ovviamente è improvvisazione. Se una sola di queste condizioni viene a mancare, bisogna rinunciare a tutto il lavoro. Nel nostro caso abbiamo finanche scelto di suonare senza metronomo per lasciare i pezzi ancora più liberi, cosa che sicuramente farà storcere il naso a qualcuno, ma chissenefrega! Il disco verrà pubblicizzato sicuramente online. Un sogno? Presentare i miei due album in un live a Cleveland!
Puoi tracciare un bilancio, tra soddisfazioni e delusioni, del tuo percorso musicale dagli inizi ad oggi? Sicuramente le delusioni sono più delle soddisfazioni, ma rari sono i casi in cui mi lascio abbattere. Ho imparato ad andare dritto per la mia strada, ascoltando i consigli altrui con una buna dose di diffidenza. Attualmente l’Italia è fatta più per il cibo che per la musica. Sarò sincero, non credo che i cantautori degli anni ’70 siano stati davvero capiti dagli italiani. All’epoca si cercava di politicizzare tutto e tutti, travisando i contenuti delle canzoni a proprio uso e consumo e perdendo di vista i reali obiettivi. Niente di paragonabile alla rivoluzione degli anni ‘60 in America, quando Blowin’ in the wind accompagnò i movimenti per i diritti civili degli afro-americani e risvegliò le coscienze di un’intera nazione.
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