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Francesco Tadini: Civiltà delle Macchine – l’artista e la fabbrica, anno 1957, Dalmine, reportage d’autore

Creato il 15 agosto 2011 da Francescotadini @francescotadini

Francesco Tadini: Civiltà delle Macchine – l’artista e la fabbrica, anno 1957, Dalmine, reportage d’autoreFrancesco Tadini offre questo scritto del padre Emilio Tadini (pittore e scrittore scomparso nel 2002): uno splendido reportage d’autore sugli stabilimenti di Dalmine – scritto poco più di un decennio dalla fine della Seconda Guerra Mondiale! – e vi invita ancora una volta a visitare il sito in divenire dell’Archivio Tadini.
Emilio Tadini, Dalmine, in “Civiltà delle Macchine”, a. V, n. 1, gennaio 1957

“In uno stabilimento come quello di Dalmine c’è sempre molto rumore: l’acciaio che scroscia nei forni, i lingotti martellati nei laminatoi, le gru che scorrono in alto negli enormi reparti pieni di echi… Così il 6 luglio 1944 nessuno sentì l’allarme, se fu dato, e nessuno sentì il rumore degli aeroplani, e il rumore delle prime bombe che esplodevano dovette sembrare un po’ strano, ma non del tutto diverso dai soldati rumori conosciuti, finché macchine e muri cominciarono a contorcersi e ad andare in pezzi sotto le esplosioni: e così morirono 257 operai. Questo è un episodio triste nella lunga storia della Dalmine: ma è un episodio di cui si deve tener conto se si vuole valutare fino in fondo lo sforzo che ha permesso a questa industria di conquistarsi un posto di primissimo piano in campo nazionale ed internazionale. Come molte altre fabbriche italiane la Dalmine non ha dovuto lottare soltanto contro le normali difficoltà, ma anche con gli imprevisti e terribili ostacoli delle distruzioni belliche. Così la storia di questa industria è profondamente legata a quella generale del nostro paese, ne fa parte, è anche storia nostra. Troppo spesso noi consideriamo queste grandi imprese collettive, che organizzano mezzi e uomini su larga scala in una industria, come elementi di un mondo chiuso in se stesso e degno al più della ammirata quanto superficiale attenzione che possiamo loro concedere per il tempo di un frammento di documentario cinematografico. Dovremmo renderci conto invece che il diagramma del loro funzionamento corrisponde organicamente al grande digramma ideale del farsi storico del nostro paese, della collettività in cui viviamo.”
INCISO: fanno pensare ancora, queste parole di Tadini dal lontano 1957!
“C’è una preistoria della Dalmine: il 27 giugno 1906 viene costituita a Milano la «Società anonima tubi Mannesmannn», per la fabbricazione di tubi in acciaio senza saldatura negli stabilimenti di cui viene posata la prima pietra il 31 marzo 1908, a Dalmine (Bergamo). E tutto avviene secondo le linee di quella che era la situazione economica italiana: la società è costituita dal gruppo tedesco della Deutsche-Oesterreichische Mannesmannroehren Werke, con sede a Düsseldorf, e dalla Metallurgiaca Italiana di Livorno – che però in seguito si sarebbe ritirata. C’è una bella fotografia della cerimonia della posa della prima pietra: sullo sfondo, al di là di un recinto, i «paesani» di Dalmine: hanno un aspetto ancora molto contadino, ma tra pochi anni praticamente tutta la popolazione della zona si trasformerà in proletariato industriale, e anche – dato il genere di lavoro – in proletariato notevolmente qualificato. In primo piano, ai lati della pietra di fondazione, i dirigenti, in tuba o in cappello duro. E forse si può tentare a colpo sicuro l’identificazione: immobili rigidi e austeri i tedeschi, più emozionati gli italiani: e sicuramente italiani quelli che inclinano il cilindro in avanti sporgendosi dalla fila per essere sicuri di farsi ritrarre. A Dalmine sorsero case per i dirigenti, uffici, i padiglioni di lavoro. E i contadini, come si è detto, incominciarono a trasformarsi in abili operai. (Del resto la lavorazione dell’acciaio era già stata praticata, in antico, da queste parti. Su un piano ben diverso, naturalmente: ma è certo che un tempo le spade e le altre armi fabbricate dagli abili artigiani di Gromo in Valeriana erano famose in tutto il mondo, anche se molte volte sotto il marchio di «acciaio di Milano». Molte di quelle spade poi arrivavano in Spagna per esservi vendute come autentica produzione di Toledo). Il 12 luglio 1909 ha luogo a Dalmine la laminazione del primo tubo. Fino al 1910 si lavorano i lingotti provenienti dalle acciaierie Mannesmann di Malstatt-Burbach: ma quell’anno si procede all’istallazione dei primi forni, che consentono la produzione diretta dell’acciaio. La fabbrica continua a radicarsi sempre più profondamente, ad acquistare contemporaneamente in potenza e in autonomia.

Con lo scoppio della grande guerra possiamo dire che termina il periodo della preistoria della Dalmine. Una svolta brusca, e ancora legata da vicino agli sviluppi della più generale storia del paese. Il personale tedesco parte per la Germania, e non tornerà più. L’azienda viene posta sotto il controllo di un commissario governativo, e nella prima metà del 1916 viene operato il riscatto dell’intero capitale azionario mediante un’operazione svoltasi sotto gli auspici del governo italiano. Le azioni vengono pagate una cifra assai rilevante – 15 500 000 lire oro – e divengono di proprietà della Banca Commerciale Italiana che in seguito le cede alla «Società Anonima Franchi Greorini» di Brescia. Questa Società peraltro non conserva a lungo la proprietà del complesso, che nei primi mesi del 1920 passa di nuovo alla Banca Commerciale Italiana. Il trapasso dalla gestione tedesca a quella italiana, e tute le difficoltà derivate dal periodo bellico, avevano naturalmente inciso sul funzionamento dell’industria, e ora bisognava procedere ad una energica riorganizzazione. Fino ad allora la produzione della Dalmine era costituita da tubi per acquedotti e, in parte molto minore, da tubi lisci commerciali e di qualità. Bisognava impostare una nuova produzione di massa. E dopo studi di mercato, si procedette all’organizzazione della produzione di tubi per gas su vasta scala, dando così lo sbocco necessario al materiale che sarebbe uscito dal nuovo laminatoio medio che avrebbe portato la capacità produttiva della Dalmine a 60 000 tonnellate annue. Questo tipo di prodotto aveva causato serie difficoltà anche alla Mannesmann tedesca, che nel 1910 aveva visto fallire i suoi sforzi per impiantarne una fabbricazione stabile. Ma i dirigenti della Dalmine seppero guardare a quanto si faceva nell’industria americana – in grande sviluppo in tutti i campi della siderurgia – e uno speciale laminatoio riduttore americano, entrato in funzione nel 1923, permise di risolvere perfettamente il problema. La produzione dei tubi di piccolo diametro passò dalle 2261 tonnellate del 1920 alle 16 534 del 1930; e questo fatto incise su tutto un settore dell’attività economica italiana, tanto che il nostro paese divenne quello che impiegava il maggior quantitativo di tubi gas senza saldatura.
Col passare degli anni la Dalmine continua il suo sviluppo prendendo posto tra le più importanti fabbriche europee di tubi e avvicinandosi sempre più a quella che doveva essere la sua fisionomia non diciamo definitiva (dato che è una necessità organica per questi grossi complessi quella di seguire con estrema sensibilità il mutare della situazione economica e industriale) ma attuale. E intanto, nel 1931, il pacchetto azionario della società passa prima alla SPAIM (Società Partecipazioni aziende Industriali Milano) e poi alla «Sofindit», ente sostanzialmente parastatale; e infine, nel 1937 l’IRI, che aveva raccolto l’eredità della «Sofindit», trasferisce il pacchetto di maggioranza della Dalmine alla Finsider (Società Finanziaria Siderurgica), costituita a Roma con lo scopo di coordinare un gruppo di importanti aziende siderurgiche. Oltre a ciò la Dalmine entra a partecipare con la metà circa del capitale azionario alla «Innocenti Safta» – che tra il 1939 e il 1942 – procede all’impianto, ad Apuania, di un nuovo grande stabilimento per la fabbricazione di tubi di acciaio senza saldatura.
Nel 1940 la Dalmine produce 120 190 tonnellate di tubi. Tutti i reparti erano stati potenziati, dall’acciaieria, ai laminatoi, all’aggiustaggio. Ma sono gli anni della guerra. E con la guerra, i bombardamenti, di cui si è già parlato. Ai gravissimi danni riportati allo stabilimento di Dalmine si dovettero aggiungere quelli riportati allo stabilimento di Apuania, che più aveva risentito delle distruzioni belliche. Nel 1949 venne decisa la totale incorporazione nella Dalmine della Società «Innocenti Safta». Nello stesso anno si diede inizio ai lavori per la costruzione di un edificio che raccogliesse i principali uffici a Milano. Nel maggio 1953 vennero iniziati i lavori di un nuovo stabilimento per la produzione di tubi saldati a Torre Annunziata, stabilimento che entrò in funzione alla fine del 1954. inoltre vennero definiti i progetti per la costruzione di due complessi: uno a Sabbio Bergamasco – ora già in funzione – per la fabbricazione di apparati tubolari speciali (sono delicatissimi i problemi che solleva la semplice curvatura di un prodotto tubolare), e uno a Costa Volpino, per la fabbricazione, in particolare, di tubi per caldaie, per alte pressioni, per impianti di raffinerie. E, per definire completamente il vasto panorama del complesso Dalmine non si può tralasciare di citare la consociate: la «Ponteggi tubolari Dalmine Innocenti», che tratta i tubi destinati a quelle leggere architetture provvisorie che sono entrate ormai ne nostro paesaggio abituale; la «Montaggi Materiali TUBOLari» e la «Resturbi» per la produzione di materiali tubolari di plastica.
Lo abbiamo visto, una storia varia, accidentata, anche ma sempre risospinta in progresso-. E questi dati, sulla produzione di tonnellate di tubi nei vari anni, servirà a confermarlo. 1909: 290. 1916: 15 604. 1930: 52 737, 1940: 120 190. 1945: 19 923. 1955ù. 403299. nel 1955 in Italia sono state prodotte 533 030 tonnellate di tubi di acciaio senza saldatura. Di queste, 398 264 sono uscite dai complessi della Dalmine.
Tubi-Dalmine è un marchio, Dalmine –tubi è una realtà di cui non si può fare a meno di accorgersi. E non soltanto perché il paesaggio è dominato dall’immenso recinto dello stabilimento in larghezza e dalle ciminiere in altezza: la lunga asta della bandiera è in tubo di acciaio, e tubi di acciaio più sottili fanno da ringhiera ai balconi, e tubi di acciaio sostengono il porticato nella piazza… Sulle prime temevo di restarne soltanto ossessionato: come temevo dovesse risolversi soltanto in una monotona ossessione il visitare quell’enorme stabilimento dove migliaia e migliaia di persone lavoravano a un unico tipo di prodotto. Ma ala realtà doveva darmi le solite smentite, e non solo mettendomi sotto gli occhi la sempre «drammatica« complessità dei processi di produzione, ma anche facendomi rilevare tutta l’estesissima gamma dei prodotti stessi. Alla Dalmine si fabbrica dall’ago per siringa da iniezioni al grosso tubo per condotti di un metro di diametro. E bastava riflettere un po’ per capire l’importanza fondamentale di un prodotto del genere in tutte le strutture meccaniche che ci stanno intorno. I tubi,m di ogni tipo, sono le vede che fanno circolare gas e fluidi in quel corpo artificiale, in una gigantesca indispensabile dinamica. Tra qualche secolo, forse, tutti i tramiti della materia delle forze, saranno invisibili e impalpabili, ma s ci pensiamo un po’ possiamo arrivare a definire questa decisione e ingarbugliata rete di condotti che scava e circonda da ogni parte come uno dei temi fondamentali della nostra era tecnica. Un estremo sforzo di distribuire la materia, di guidarla, di portarla «dove non era» e anche dove «non voleva» andare: di disporne.
Il laboratorio. Stanze silenziose e pulite, con uomini in camici bianchi. L’ambiente più diverso da quello che si possa immaginare da un grande complesso siderurgico. Ma qui l’acciaio viene seguito dal principio alla fine ininterrottamente . prima si esaminano i campioni dell’acciaio destinato alla lavorazione, ed è un’analisi lunga e complicata in cui la struttura più intima dell’acciaio viene divisa, calcolata, sperimentata in tutti i sensi e secondo tutte le dimensioni: nel settore chimico e nel settore prove materiali, dove essa viene scomposta e sollecitata fino alla rottura , e nel settore fisico e spettrografico e in quello metallografico dove essa viene sondata e descritta nelle sue tessiture più segrete , fino alle preziose immagini degli infinitamente al microscopio. Poi si studiano tutte le possibili relazioni del prodotto finito immerso nel suo ambiente di funzionamento in uno speciale Centro per la protezione dei tubi dalle corrosioni che ha lo scopo di valutare il grado di resistenza opposto dal materiale a tutte le forze che lo attaccheranno da quando entra in azione: correnti vaganti, aggressività dei terreni, effetti galvanici e altri. Il Centro ha alle sue dipendenze speciali squadre di studiosi, che, con automezzi appositamente attrezzati, seguono il materiale fino alla sua destinazione per eseguire rilievi e prove di controllo.
Questo continuo rapporto stabilito tra il laboratorio e l’apparato di produzione – tra l’attenzione più sottile e analitica e l’azione più potente e sintetica – non può mancare di impressionare a fondo una profano che si aggiri in uno stabilimento come quello della Dalmine, cercando di capire quello che vede: e soprattutto per quel senso di unità che se ne sprigiona.
In molti altri complessi industriali per la produzione dei tubi, il lingotto fuso viene ridotto a barra laminata prima di procedere alla lavorazione più specifica. Alla Dalmine invece, per la grande produzione, si è abolito questo stadio intermedio, e si lavora direttamente sul lingotto fuso. Questo naturalmente impegna i reparti di fusione ad una cura tutta particolare. Difetti di fusione si ripercuoterebbero inevitabilmente sul materiale lavorato: e così naturalmente gli operai addetti ai forni sono particolarmente sperimentati. Seguono continuamente i ribollire della materia incandescente, ne sanno valutare anche a vista certe strutturazioni: e per il resto, prove di laboratorio identificano alla perfezione nello spazio di dieci minuti la sostanza di una colata in tutti i suoi componenti.
Il più diffuso sistema di lavorazione dei tubi senza saldatura segue ancora fondamentalmente i procedimenti scoperti dai fratelli Mannesmann nel 1885. Fu una scoperta casuale: i Mannesmann si accorsero che lungo l’asse di una barra di acciaio passata tra due cilindri disposti con gli assi sghembi e ruotanti nel medesimo senso, si producevano una serie di incrinature tali da formare una cavità longitudinale. Non era ancora tutto, ma il principio fondamentale era stato scoperto.
La lavorazione si svolge attualmente attraverso tre stadi. Il lingotto scaldato a circa 1300° viene forato ad una pressa idraulica e quindi passato al laminatoio perforatore obliquo per ottenere (con l’aiuto di un attrezzo che dimensiona e allarga il foro) un cilindro cavo, ma di grosso spessore e di limitata lunghezza: il «forato». Subito dopo il forato viene fatto passare in un altro laminatoio, detto «a passo di pellegrino», nome datogli dall’ingegnere tedesco Reuleaux, poiché l’avanzare a scatti continuamente interrotti del tubo nel laminatoio gli ricordava il procedere dell’antica «processione di primavera» come si svolgeva da secoli a Echternach, in cui i partecipanti sfilano facendo, per penitenza, tre passi avanti e due salti indietro. In questo laminatoio due cilindri ruotanti in senso opposto tra loro e sagomati in modo speciale stendono praticamente il materiale caldo su un mandrino calibrato inserito all’interno del forato.
Il sistema Mannesmann è molto usato alla Dalmine, e consente una estesa gamma di prodotti tubolari di vari diametri, spessori e lunghezze. Ma a questo punto, e dopo il controllo, sono pronti a funzionare soltanto certi tipi di tubi: per tutti gli altri entrano in azione i numerosi reparti di finitura. I tubi vengono allargati a caldo (si tendono e ingrossano, percorsi dall’attrezzo, come una calza in cui si passi la sfera di legno), vengono assottigliati, intestati, smussati, filettati, rivestiti di bitume e di microamianto. Non è certo questa al sede di descrivere questi procedimenti da un punto di vista tecnico. Ma anche un semplice elenco di alcune delle decine e decine di tipi di prodotti della Dalmine, credo che possa riuscire altrettanto significativo: tubi gas per acquedotti, per condotte sottomarine, per pozzi artesiani, per trivellazioni idriche, bombole (come quelle per l’ossigeno di cui erano forniti gli scalatori del K2), tubi per impianti industriali di ogni genere, tubi per impianti di estrazione e di lavorazione dei petroli, tubi per impalcature, per impianti per industrie estrattive, per costruzioni navali, per costruzioni ferroviarie, aeronautiche, automobilistiche; pali tubolari, torri di segnalazione; tubi per impianti di industrie elettriche, pali portalampada stradali; tubi per la costruzione di tribune fisse e mobili. Dalmine è qualcosa di completamente organizzato. Non solo Dalmine, ma in generale, l’industria con tutti i suoi reparti, e il paese, con le case degli operai e degli impiegati, il campo sportivo, il pensionato. Un centro il cui funzionamento procede – in ogni direzione – proprio grazie alla simultanea vitalità delle varie parti. E deve essere proprio per questa ragione che il prodotto del lavoro di questo centro può imporsi tante volte sui mercati di tutto il mondo.” Emilio Tadini

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Invitandovi a visitare il sito periodicamente (e a contribuire con domande e osservazioni)  – http://francescotadini.net/ Francesco Tadini augura a tutti, di cuore, un buon Ferragosto!

Francesco Tadini: Civiltà delle Macchine – l’artista e la fabbrica, anno 1957, Dalmine, reportage d’autore

Francesco Tadini


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