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FRANCESCO TADINI, dall’Archivio Emilio Tadini: Franco Francese

Creato il 08 agosto 2011 da Francescotadini @francescotadini

FRANCESCO TADINI, dall’Archivio Emilio Tadini: Franco FranceseFrancesco Tadini presenta un testo del padre Emilio Tadini (come invito, che porgiamo già da qualche settimana,  a visitare il sito dell’Archivio Tadini) del ’60.

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Emilio Tadini Franco Francese, 1960

“Nel 1947 Franco Francese scrive, a proposito di illustrazioni: «Libertà grafica sull’emozione della lettura. Il testo preso come natura», io credo che queste parole possono essere molto utili per capire non soltanto le illustrazioni, ma in generale tutti i disegni di Francese: e, naturalmente, la sua pittura. Libertà del segno sull’emozione – sorta dalla natura, dalla realtà. (A proposito: è interessante notare che Francese parla proprio di natura: sostantivo del quale probabilmente si serve d’istinto per definire un complesso organico, vivente). Credo che sarebbe difficile condensare in un minor numero di parole una definizione di Francese. Questa è una formula attiva. Ed è sulla base di questa formula che mi sembra di poter anticipare, all’inizio del discorso, quelle che dovrebbero esserne le conclusioni. La realtà, certo, è la base del lavoro di Francese. Non gli interessa uno schema formale esterno. Ma quale realtà è da chiarire. (Ricordiamo ancora l’uso che egli fa della parola natura). Per lui la realtà non è una certa massa di oggetti visibili, o una certa organizzazione spettacolare e celebrativa in senso stretto di quegli oggetti (umani o naturali), Francese ci dice che il suo rapporto con la realtà è in una emozione. Per questa ragione possiamo dire che il blocco del reale diventa per lui un complesso di forze attive: percorso, agitato e reso vivente da una serie di valori, di punte di intensità. Ed è da questo tessuto che si innervano e scattano le sollecitazioni emozionali che colpiscono un artista quale Francese. Possiamo dunque già azzardare una prima definizione a proposito del suo modo di incontrare la realtà. È in fondo la specificazione di una certa natura di pittore. Francese non si muove nell’ambito di un mondo completamente interiore, dove la realtà esista nei depositi della memoria e del sogno. D’altra parte non traduce la realtà in una serie di misure esteriori: come ho detto che non accetta uno schema formale, così non prende per buono un altrettanto formalistico schema della realtà prefissato da sentimenti e giudizi sommari quanto ripetuti. In lui, mi sembra, agisce una contemporaneità diretta rispetto all’oggetto che lo colpisce. (Un oggetto in atto, dalla vitalità tutta immediata e presente). E il fuoco di quella coincidenza è proprio nell’emozione.
Ho parlato del modo in cui Francese incontra (si potrebbe dire percepisce) la realtà. E ho accennato a svolgere quel suo concetto di emozione. Adesso bisogna completare l’analisi di quella formula – ricordando che questa separazione esiste soltanto per le necessità di una esposizione critica. Ho detto che per Francese la realtà è sempre un complesso di forze, di intensità attuali, e che pertanto il suo modo di coglierla è in una emozionalità diretta (e il rapporto è ambivalente). Ora bisogna aggiungere che, nell’espressione, Francese agisce veramente con tutta la libertà della sua natura. Un disegno – un quadro – è per lui l’estensione intima della prima emozione scaturita dall’oggetto. Ma il segno non è in Francese il simbolo fermo, il ricettacolo passivo di quella emozione: è piuttosto il risultato di una dialettica interiore, iniziata da quel primo incontro, o scontro. Nella forma di un quadro o di un disegno Francese frantuma taglia o espande tutto quanto ha ricevuto dall’esterno, secondo un completo processo di reazioni intime. La realtà non è più così un dato esteriore da raffigurare: lui stesso ne partecipa direttamente nell’atto dell’operare, e in questa partecipazione è la libertà che lo porta a stamparvi l’impronta personale della sua poetica. (È chiaro tutto quanto ha sempre separato Francese da quei pittori intenti a un «realismo» che intendeva la realtà – la storia – come un aggregato definito ed esterno rispetto all’artista, che l’artista doveva soltanto calcolare e poi raffigurare più o meno abilmente: un altro tipo di involuzione formalistica che perciò escludeva il rischio e il valore di una profonda presenza individuale).
Finora, in sostanza, ho cercato di chiarire la poetica di Francese. Ora resta da trattare della sua particolare natura di pittore in atto nel mondo delle sue immagini. Con questi disegni, che rappresentano tutta la sua attività dagli inizi all’ultimo periodo, disponiamo di un materiale ordinato secondo una limpida successione, in uno sviluppo che mi sembra veramente significativo.(…)”
E continua, Tadini:
“Il primo gruppo di disegni risale al tempo di guerra, dal 1940 al 1943. Francese fa tutta la guerra da soldato, ma la sua vocazione di pittore non si soffoca nel clima squallido e angoscioso di quegli anni. Disegna con furia, con ostinazione. E con la stessa furia e la stessa ostinazione assimila tutto quello che può.
Ma tutto rivisto alla luce di un fosco fuoco intimo: il colore della sorda passione che doveva animarlo in quel tempo e in quell’atmosfera. «Figure e città», disegno eseguito a Roma nel 1942, è un esempio. Il ricordo di certo espressionismo romano (il paesaggio urbano di sfondo, l’inclinazione dei personaggi) filtra qui attraverso un tono oscuro e denso che sembra mortificarne le molli cadute barocche, condensarle in una intensità più pesante e insieme più sotterranea. È lo stesso «tono» che ritorna nei paesaggi di questi anni, lo stesso che definisce il clima di un disegno come «Situazione: 10 giugno 1940», dove le forme, tra minerali e allusivamente umane, si protendono in uno spazio cieco. Una cupa pateticità: questo è forse il senso di questi primi lavori di Francese: in quelle ombre che invadono le superfici, che toccano soffocate i profili degli oggetti, compenetrandoli dall’interno.
La fine della guerra trova Francese a Milano, che certo in quegli anni si impone come il centro più vivo di una nuova pittura italiana. E a quel periodo appartengono alcuni tra i suoi migliori disegni. Quel «tono» di cui parlavo a proposito del primo gruppo di disegni era – è vero – il risultato autentico di un atteggiamento sentimentale, ma portava contemporaneamente una serie di limiti nella grafia e nelle immagini di Francese, e prima di tutto una certa vaghezza di atmosfera, dove quel sentimento avrebbe potuto finire col vaneggiare ininterrottamente fino a diventare convenzionale. Se guardiamo i disegni di questo secondo gruppo possiamo vedere chiaramente come tutti questi limiti e questi pericoli vengano superati sotto la spinta di una passione reale e di una cultura approfondita. .
Sono i giorni che seguono la Liberazione. La storia è riconoscibile da tutti nelle proprie ferite, nella propria violenza: come un presente immediato. Negli studi dei pittori c’è la riproduzione di «Guernica». E da Picasso, Francese prende il secco preciso contorcersi della linea di un racconto pieno di eccitazione eppure quanto mai padroneggiato: aveva ragione De Micheli a ricordare (sul supplemento al numero 8 del «Contemporaneo» 1957) come Francese amasse particolarmente di Picasso la serie di «Suello y mentira de Franco». Gli acquisti da Picasso mi sembra siano assai importanti per Francese, molto più di quanto forse non sembri. È il riconoscere la particolare tradizione moderna di questo pittore, la sua violenza libera quanto aggressiva, che ha aiutato Francese a chiarire il suo «espressionismo». Certo, Francese ha guardato anche Grosz, Kokoschka, Rouault: ma è su Picasso, secondo me, (il Picasso di «Suello y mentira de Franco », appunto, e quello dei disegni preparatori di «Guernica»), che egli ha confermato quella sua capacità di espressionismo senza intimi cedimenti, «senza complessi». È dopo questa opera di chiarificazione che Francese può sviluppare la sua vera natura, e spingere il suo segno del grottesco più acceso, come nei disegni per il «Della Tirannide» di Alfieri, a una limpida e intensa tragicità, come nelle bellissime illustrazioni per «Delitto e castigo». Nei suoi disegni si è realizzato un vero scatto oggettivo. L’oscuro «tono» sentimentale che invadeva le sue opere precedenti, si è dissolto, prosciugato: e ha lasciato posto al duro articolato procedere del segno che incide rapido e perentorio le apparizioni drammatiche. Dove altri si dedicano in quegli anni a una iconografia fissa di grossi neri che delimitano le forme in vaste campiture, è interessante osservare come Francese scavi il suo segno in una essenzialità sempre più asciutta e più secca. È una specie di sua intolleranza per la «materia del segno», un’ansia attiva di farlo crepitante, vivace punto per punto. Vorrei citare ancora i disegni per Dostojewski: e prima di tutto quello della bambina, dove l’immagine di innocenza e corruzione che è nel testo è veramente reinventata in una immediata forma visibile. Qui veramente l’idea di Francese – «il testo preso come natura» – viene applicata a fondo. Come se le immagini del romanzo si facessero veramente di carne e dolore concreti davanti agli occhi del pittore, pronto ad attaccarle con la forza della sua fantasia.
Sempre a questo secondo gruppo di opere, frutto degli anni dopo la Liberazione, appartengono alcuni disegni dall’invenzione segreta e pure piena di drammaticità reale. Parlo del «Mostro notturno» e del «Personaggio notturno», entrambi del 1946, dove cupi neri tornano a occupare lo spazio: ma questa volta senza intenzioni tonali, mossi come sono da particolari esigenze di racconto, tesi, contrastati da improvvise pesanti accensioni. Credo sia importante rilevare come Francese non si abbandoni a esibire immagini strane ed orripilanti per sorprendere lo spettatore. In fondo queste figure portano la loro immagine di altro mondo in una apparizione nella concretezza del nostro reale, diventano sulle carte di Francese i simboli attivi e diretti di uno stato tragico, di tutto un sottofondo dove si ingorgano ancora l’agitazione, la violenta paura, la deformazione dell’angoscia: quella specie di austera angoscia che è quasi sempre l’opposto coesistente nella esaltazione figurativa di questo artista. Una visione diversa degli stessi contenuti è, in un certo senso, «Il teschio», uno studio per una serie di acquarelli sul tema «Crocefissione nella stanza».
Una volta ancora possiamo osservare come per Francese non esista il semplice gesto di disposizione iconografica: un teschio sul tavolo è per lui un fatto preciso, le sue immagini tendono ad arrivare ad una significazione intensificata, proprio attraverso l’intensificazione di un peso assoluto dell’accadere. È ancora lo spirito che anima il grosso corpo appeso nella illustrazione per Villon (pubblicata da Einaudi in una cartella di incisioni di vari autori). Violenza aggressiva sulla sostanza reale dell’oggetto e della figura: per il discorso che avevo accennato sull’aspetto particolare di certo espressionismo in Francese è qui un altro elemento di indubbia importanza. Le sue figurazioni non sono la rappresentazione di qualche incubo: sono piuttosto una diretta incidenza sul reale per riconoscere nel suo stesso cuore i nodi e gli incastri più intimi di un particolare significato emozionale, per raffigurarli in una tesa dinamica interiore.
Gli anni successivi vedono in atto nei disegni di Francese una intensa dialettica espressiva. Da un lato possiamo porre le opere dove il segno si è organizzato fino a riassumere in sé tutta la struttura del movimento che regge l’immagine, e valga ad esempio il «Gallo che canta», del 1950. Dall’altro lato bisogna osservare tutti quei disegni dove linea e volumi giocano una animosa partita. L’inizio era quello che ho descritto nelle pagine precedenti. Qui siamo in presenza della fase centrale del lavoro di Francese. Una fase complessa, che Francese ha vissuto per anni quasi isolato nella sua campagna, accanito in una ricerca che gli concedesse di incidere sempre più a fondo una completa immagine del reale integrata dalla sua passione. Questo dato biografico non deve però essere inteso in senso deteriore. A Francese non è mai interessato il colore locale, né del paesaggio né dei personaggi. Ciò che gli sta a cuore nei disegni di questo periodo, è evidente, non è lo schema esterno della realtà, la sua riconoscibilità per categorie convenzionali. È piuttosto il drammatico significato vitale che anima dal profondo ogni situazione. Basta paragonare il comodo atteggiamento celebrativo dall’esterno di certa pittura di quegli anni, fatta di smorte ripetizioni, e alcuni di questi disegni, animati da una furente sete di partecipazione, «L’uomo col cane», e più ancora «Il ragazzo che corre». E a proposito di quest’ultimo (appartenente a una serie preparatoria per un quadro dal titolo «La gioia di vivere») si veda come 1′aspra intensità del segno, che scava l’immagine in una specie di grottesco rovesciato nell’esaltazione, stia a confermare un atteggiamento tipico di Francese, presente fin dalle sue prime cose.
Ho detto che nei disegni di questo periodo la linea e i volumi si incontrano e si scontrano nel procedere espressivo di Francese. Questa è una immagine schematica, senza dubbio. Ma può servire di inizio a un discorso che credo opportuno. In molte di queste opere Francese tende a rappresentare la consistenza del reale, il suo peso intimo. attraverso una fonda costruzione plastica (anche se al limite mi sembra si possa dire che l’unico idillio che può rischiare Francese è proprio un idillio di plastica compiaciuta, di chiaroscuro formale invece che espressivo).
Lo spazio viene occupato da ampie superfici gonfie di vitalità. Si è fatto il nome di Permeke. Ma anche qui la citazione ha il valore di una semplice allusione. I problemi che Francese affronta in questo periodo sono ben suoi. E di suo, soprattutto, c’è sempre, nelle cose migliori, il prepotente procedere del segno che vitalizza quel vasto disporsi di forme, dà loro una precisa destinazione, uno scavo interiore: come nella «Testa sotto la lampada» (studio per «La veglia»). In altri disegni, poi, il segno sopravviene intenso ad animare della sua movimentata drammaticità tutta la forma dell’immagine, si sovrappone alla materia plastica dominandola completamente, o definisce una vivacità addirittura contrastante, come nel «Ragazzo con cane» o si libera, del tutto autonomo, come nel «Grano». Quello che è certo, in ogni caso, è che con queste opere, Francese si impadronisce di una sintassi più folta. Il chiaroscuro non si risolve in un’abile sostituzione di quel «tono» che faceva i suoi primissimi disegni. Scandito dalle organiche decise interruzioni del segno, dà a Francese la possibilità di portare ancora avanti il suo lavoro, offre una materia più varia ed estesa alla tensione della sua narrazione intima.
I disegni più recenti dimostrano che Francese ha saputo fondere naturalmente gli elementi messi a punto nel lavoro passato in una nuova forma. Si pensi alla sensibilità che gli ha concesso di realizzare quel vero disegno «pittorico» che è «Finestra di notte», del 1958. E soprattutto si pensi alla serie dedicata al Cinemascope. Qui, ancora e più che mai, è la volontà di Francese nel raffigurare un oggetto reale: ma nelle sue implicazioni più profonde, più vere. È il suo tipo di narrazione, quello che in sostanza abbiamo visto in atto nei suoi disegni di tutti i periodi. In queste ultime opere lo spazio prospettico, fisico, è solo accennato: quello che si impone è lo spazio stesso dell’accadere. L’inerzia, la vuota partecipazione di questi personaggi appena indicati da labili segni, si inserisce così nel vorticare del buio mescolato a immagini che occupa tutta la superficie.
Il segno vibra, trascorre, incide le apparizioni dello schermo e quelle, non meno incerte, degli spettatori: e d’altra parte la complessa consistenza del volume si diffonde a occupare e a rilevare un unico sospeso organismo. Gli elementi del linguaggio grafico di Francese tornano qui, elaborati, a definire un tipo di racconto più totale, e in questa rappresentazione integralmente partecipata non è difficile riconoscere ancora l’intima tensione emozionale che ha sempre costituito la naturale disposizione di questo artista davanti agli oggetti e alle situazioni del reale.
Ora il suo racconto ha affrontato un impegno più ampio. Una specie di mitologia spietata, la drammatica indagine di certi fatti collettivi nella loro consistenza psicologica. Rappresentazioni di questo genere sono possibili soltanto quando un artista è disposto a dilatare al massimo la sua possibilità di accogliere fatti e oggetti di tutto il reale, e insieme ad intensificare al massimo la capacità integratrice della sua personale natura.”

Emilio Tadini

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FRANCESCO TADINI, dall’Archivio Emilio Tadini: Franco Francese

Un disegno di Tadini di fine anni '50

Invitandovi a visitare il sito dell’archivio – http://francescotadini.net/  –   indichiamo anche a collezionisti e galleristi in possesso di opere di Emilio Tadini di farcelo sapere, per una loro corretta collocazione e numerazione.

Francesco Tadini (con  Melina Scalise, presidente di  Spazio Tadini), curando l’archivio opere e testi di Emilio Tadini, sta digitalizzando immagini e testi (anche tratti da una serie di quasi cento quaderni di appunti, per i quali stiamo pensando anche a una pubblicazione integrale). Siamo convinti di farlo non solo per il valore “storico” del materiale, ma anche per mettere a disposizione, di chi lo voglia studiare, ciò che chiamiamo “metodo” Tadini: un lavoro quotidiano densissimo che intrecciava continuamente esplorazioni e studi tra scrittura (critica e creativa) e figurazione.

Grazie

Francesco Tadini

altre pagine web:

Il sito di Spazio Tadini: http://www.spaziotadini.it/
Il blog Friplot di Francesco Tadini: http://friplot.wordpress.com/
Il blog di Spazio Tadini: http://spaziotadini.wordpress.com/

FRANCESCO TADINI, dall’Archivio Emilio Tadini: Franco Francese


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