Francesco Tadini rilancia, per così dire, dall’Archivio un testo del padre che, dal lontano 1960 sorprende, ancora, per attualità:
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“Emilio Tadini, 1960
1 – Io sono convinto che l’arte contemporanea più vera esprima un principio fondamentale. Il principio – implicitamente attuato o esplicitamente dichiarato – di una possibile libertà integrale della ragione. Non si tratta di una ripetizione del razionalismo propriamente detto, per quanto il razionalismo “classico” sia stato il primo passo in questa direzione. Si tratta della proclamazione di una libertà più vasta, protesa verso una autonomia totale: questa liberazione della ragione porta a far saltare ogni diaframma tra il mondo “spirituale” e quello “fisico”. Lo “spirito” non costituisce più la zona del mistero (dell’irrazionale), e neanche quella dove poteva agire l’istinto al trascendente o la stessa supposizione di una trascendenza. La cultura e l’arte contemporanea mettono in atto una sola, complessa situazione: quella della globale concretezza organica dell’umano. È questa presa di posizione che implicitamente e logicamente porta a superare ogni alternativa superficiale di “realismo” e di “spiritualismo” (o di “arte fantastica”): proponendo qualcosa che si potrebbe chiamare un realismo integrale nella sui sfera devono essere risolte in espressione tutte insieme le funzioni dell’uomo in ogni particolare momento della sua storia. Una presa di posizione di questo genere abolisce dunque ogni digramma tra una parte fisica e una spirituale dell’uomo – suddivisione questa che si basa di per se stessa su una concezione gerarchica e trascendentale. E una presa di posizione di questo genere è d’altra parte portata per successione logica a risolvere anche la “sostanzialità individuale” in una completa realtà effettuale. A rappresentare cioè i valore reale di un personaggio in tutte le implicazioni attive e passive della sua storia, nell’ordine totale dei suoi rapporti con un ambiente naturale e sociale: in tutta la scala delle relazioni che lo fanno vivente, da quelle minime e più evidentemente sensibili a quelle più generali e complesse. Un principio di questo genere mette dunque fuori causa l’ordine antico, articolato in tutta la gerarchia delle sostanze fino alla trascendenza, e tende ad esprimere invece una esistenza reale e complessa quanto organica.
2 – Io credo che senza la coscienza di questo principio fondamentale (che, ho detto, afferma una libertà integrale della ragione e contemporaneamente una possibilità organica dl linguaggio) sia assolutamente impossibile valutare e giudicare lo svolgimento dell’arte contemporanea. Senza la coscienza di questo principio fondamentale ci si può limitare soltanto da un lato a registrare un “mutare degli stili” e dall’altro ad elencare un “mutare dei soggetti”. Senza la coscienza di questo principio fondamentale, ad esempio, è senza dubbio molto difficile rendersi conto delle ragioni particolari e di quelle comuni a movimenti come il cubismo e il surrealismo più autentico. E ancora: senza la coscienza di questo principio fondamentale è assolutamente impossibile pervenire alla comprensione dell’effettiva unità della cultura contemporanea, e ci si riduce fatalmente a non rendersi conto del fatto che concezioni analoghe sono messe in atto nella produzione pittorica e in quella letteraria, in quella filosofica e anche in quella scientifica: o meglio, del fatto che tali produzioni sono tutte naturalmente intente a rispondere alle medesime esigenze.
3 – L’esempio dell’interpretazione corrente e di quella autentica di fatti come il cubismo e il surrealismo mi sembra particolarmente utile. Quasi tutta la critica vede il valore del primo cubismo (dalle prime esperienze di Picasso al periodo “analitico”) nella invenzione di una nuova prospettiva, nella scoperta di una nuova serie di leggi della rappresentazione e della visione. Ma è rarissimo che un critico si ponga il problema di ricercare le ragioni e il significato effettivo di tale operazione. Di solito ci si limita ad una inutile tantologia: “i cubisti mettevano in atto una nuova prospettiva per rappresentare contemporaneamente le cose da tutti i lati”. Un fine che, per la verità, sarebbe in sé e per sé alquanto bizzarro e irragionevole. Da questa falsa interpretazione del cubismo discende fatalmente il giudizio vuoto e grossolano che vede questo momento dell’arte contemporanea come uno sforzo verso una specie di particolare invenzione geometrica della visione. Così le indicazioni che dall’arte negra poterono derivare ai primi cubisti – e particolarmente a Picasso – vengono “spiegate” come pure suggestioni formali. E d’altro canto il proseguire del discorso cubista viene confinato nel suo manierismo: invece di seguirlo nei suoi sviluppi e nei suoi collegamenti più profondi: fino al surrealismo, e, ad esempio, fino a quel capolavoro della pittura di questo secolo che è “Guernica” di Picasso. Una visione formalistica del linguaggio pittorico contemporaneo al suo sorgere porta dunque a risultati meccanicistici e fatalmente parziali.
4 – Se invece si ha coscienza di quel principio essenziale che ho ricordato agli inizi (quello secondo cui l’arte contemporanea più vera si basa sullo sforzo per una totale libertà della ragione e cioè per una integrale possibilità di rappresentare mediante il linguaggio la completa organicità della situazione e della condizione umana) io credo che la valutazione di fatti come il cubismo e il surrealismo possa risultare immediatamente più reale. Prima di tutto non potrà fuggire il senso dei rapporti originari tra cubismo e arte negra nella loro ansia di costituire un personaggio e una realtà oggettiva che rappresentasse integralmente un nuovo valore e un nuovo significato della condizione umana, i primi pittori cubisti furono naturalmente portati, consciamente o no, a utilizzare le indicazioni dell’arte negra, proprio perché il linguaggio di quest’arte puntava alla concezione e alla rappresentazione di un mondo “integrale”, dove l’elemento fisico e quello psichico erano completamente fusi assieme, apparivano in uno, dove quella che può essere chiamata la magia dell’immagine consisteva essenzialmente nella resa visibile di un valore indissolubile organico della presenza umana in tutte le sue esigenze. Penso dunque che – consciamente o no – i primi cubisti non fossero tanto emozionati da una particolare forma astratta dell’arte negra: ma dal suo valore concettuale, dalle sue esigenze di significazione integrale. Lo studio dell’arte negra servì dunque ai cubisti per sviluppare le proprie esigenze significative. E i quadri del cubismo analitico sono il risultato più chiaro di quelle esigenze significative. La figura umana e gli oggetti vengono visti e rappresentati non più come un serie di sostanze: ma come un aperto composto di fatti e di relazioni. L’immagine viene risolta nella registrazione integrale dei suoi fatti, della serie dei suoi fenomeni. Il linguaggio pittorico viene impegnato a rappresentare visibilmente questa complessità interamente oggettiva dell’esistenza: a renderne concretamente il significato. I credo che accettando questa valutazione e interpretazione del primo cubismo sia possibile rendersi conto dei suoi suggerimenti più lontani come “Guernica”, appunto, dove l’apparente deformazione è in realtà una nuova “formazione”, in cui il “sentimento” non è un oggetto estraneo all’elemento fisco, e da esso solo “assunto” in una certa situazione, ma è parte integrale di esso nel suo esistere: tanto che è impossibile separarli. E credo poi che accettando questa valutazione e interpretazione del primo cubismo sia possibile rendersi conto del comune fondo culturale che lo legò alle successive esperienze surrealiste. Ad una lettura formalistica tali movimenti risultano assurdamente divergenti ed opposti. Ma ad una lettura più organica essi appaiono basati sulle medesime esigenze. Anche il surrealismo, infatti, si propone una visione e rappresentazione totale della condizione umana. Affermando l’importanza dell’inconscio il surrealismo non fa che sostenere una più completa integralità di quella condizione, e una abolizione dell’idea astratta che ne divide l’aspetto “fisico” da quello “spirituale”. Il metodo essenziale dei surrealisti, quello dell’automatismo, non è una resa all’irrazionale: in realtà tende a far sì che la ragione “sospenda” il proprio funzionamento più “normale” e superficiale (corrotto dalla accettazione delle concezioni canoniche e conservatrici) per tentare il recupero, e la venuta alla luce dell’espressione, degli elementi della condizione umana sepolti più a fondo o maggiormente “falsificati”.
5 – Il “successo” ottenuto col tempo dall’arte contemporanea in un mondo che è il regno di principi opposti a quelli che sono le basi di quell’arte non deve trarre in inganno. Bisognerebbe esaminare con calma e chiarezza la natura e le forme di quel successo, metterne in evidenza i motivi formalistici corruttori, quelli mercantili ecc.”
(n.d.r Quanto questo ragionamento sulle “ragioni mercantili” e le conseguenze odierne sia fondato è sotto gli occhi di tutti, credo che il testo di Jean Clair che uscirà tra breve in Italia e che sta già sollevando polemiche ne sia una conferma. Francesco Tadini)
Continua E. Tadini:
“È certo comunque che l’interpretazione dominante della tradizione artistica contemporanea è falsa, perché si basa su una valutazione vuota e formalistica o su una interpretazione “spiritualistica”. Questo stato di cose ha agito anche sugli artisti portando ad una situazione attuale che – tranne alcune eccezioni – ritengo di evidente involuzione. Non sto dicendo che gli artisti attuali dovrebbero mettersi a riprendere le forme cubiste o surrealiste canoniche. Sarebbe una soluzione accademica che confermerebbe solo la crisi in atto. Ma voglio dire che gli artisti attuali dovrebbero ridare fiducia al principio essenziale su cui si è basata la più autentica tradizione artistica contemporanea e svilupparlo con lucida passione. Questo atteggiamento, altre a tutto porterebbe ad una autentica presa di posizione del loro lavoro nella lotta sociale: quella presa di posizione rivoluzionaria che non a caso fu un fatto naturale, si può dire, per tutti i grandi iniziatori dell’arte contemporanea. Sembra invece che ora troppi artisti non abbiano il coraggio e la forza di proseguire quell’impegno, e che preferiscano tornare al riparo tranquillo di un “pittoricismo” ottocentesco camuffato da intenzioni spiritualistiche. (E, semmai, si nota uno svolgimento paradossale all’apparenza, ma conseguente in realtà per forza di cose, di certo espressionismo. Di quell’espressionismo che parve intento all’operazione disperata di investire furiosamente una immagine tradizionale con nuove emozioni – invece di costituire quelle nuove emozioni in una nuova immagine. Con l’espressionismo astratto si è finiti fatalmente per distruggere ogni residuo di immagine sostenendovi la furia meccanica di un sego vuoto, di una materia priva di finalità). Del resto la crisi della pittura ripete sostanzialmente la crisi di una situazione generale. Un mondo fondato sulla alienazione si “giustifica” edificandosi falsi simboli di poesia. Quanto più spietate sono le forze che dispongono di ogni cosa, tanto più vagamente spiritualistici si fanno gli idoli. Così l’informale (o l’espressionismo astratto, o comunque si voglia chiamarlo) si dibatte tra una esasperata tensione ad una specie di ottenebrato misticismo e il peso ottuso di una materia astratta e onnipotente. Ci si illude di toccare le “pure forze”, o qualcosa del genere, e si sprofonda negli elementi inerti e indifferenziati di un linguaggio impossibile. Il tentativo di sganciarsi dalla realtà per toccare una specie di ideale assoluto si risolve per forza di cose nella propria connessione antitetica: in una serie di forme parossisticamente corpose. Una suggestione senza oggetto si cristallizza nella falsa oggettività del proprio meccanismo: nella forma astratta della pittura. L’immaginazione inconcreta si incarna capovolgendosi per forza nel suo ruolo apparente opposto: nella pseudo-sostanza della retorica pittoricistica. L’idea di una dinamica del reale è avvilita e stravolta nella banale analogia di uno spento vorticare della materia. Si rifiuta la coscienza perché non si ha la forza di liberarla continuamente integrandola senza sosta, nel linguaggio, ad una oggettività che precede. Ci si rifugia nell’istinto dando fiducia ad un mito: quello di una animalità fuori della storia, incorrotta e innocente per natura. E logicamente l’istinto non può che resuscitare rozzamente il volto particolare di una condizione. Pochi artisti hanno già risolto fino in fondo questa drammatica situazione: nel suicidio della pittura. L’accademia informale di oggi non può che limitarsi a ripetere il tema di un suicidio espressivo con dubbia grazia e sospetta fecondità.
6 – Chi respinge un mondo alienato fino al suicidio (e certo non solo nella pittura) deve proporsi una concezione veramente vitale. E quella concezione non può essere che lo sviluppo dei principi veramente rivoluzionari già messi in atto dalla più vera pittura contemporanea ed ora contraddetti e negati. Quei principi di integrazione totale che l’hanno portata ad allargare i limiti dell’immagine, del suo spazio e del suo tempo, non certo per vuote esigenze formali, ma per poter costituire e significare una nuova oggettività, una completa possibilità di esistenza. Mi sembra che non ci sia altro mezzo per superare l’attuale accademia, seguendo la quale tanti giovani pittori affogano nella convenzionalità mercantile con l’inconcreta illusione di essere moderni. C’è solo la possibilità di questa integrale oggettivizzazione, di questo realismo integrale. Poiché è solo assumendo il peso concreto del personaggio e dell’oggetto in una nuova totalità del suo valore e dei suoi rapporti che si può arrivare ad una vera finalità significativa. E. Tadini“
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Come altre volte, Francesco Tadini vi invita caldamente a visitare http://francescotadini.net/ , sito/Archivio e il “personale” blog FRIPLOT: http://friplot.wordpress.com/
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