Francesco Tadini invita oggi, con una pagina offerta qui, alla lettura dell’ultimo romanzo del padre, Emilio Tadini: “Eccetera“, pubblicato postumo da Einaudi nella collana Supercoralli. Mi ricordo ancora quanto fosse emozionato e concitato nello scrivere, papà. Sapeva di essere malato e, in breve, che sarebbe stato l’ultimo libro. Io, con tristezza e umiltà, lo aiutai in una fase di editing del testo e confesso che rimasi veramente impressionato dalla capacità di scrivere un romanzo che – per logica – avrebbe “dovuto” scrivere una persona ben più giovane. Penso che sia un piccolo capolavoro… ma, si sa, l’amore filiale!
Paolo Di Stefano scrisse sul Corriere della Sera: “(…) Eccetera è un’ opera-mondo, un romanzo potente sul piano espressivo e sul piano «visivo», che nelle poche ore della narrazione comprime i materiali (linguistici, mentali, antropologici) della nostra contemporaneità con tale forza da produrre una deflagrazione tragicomica dirompente. Qui gli autori preferiti di Tadini, da Céline a Gadda, sembrano darsi appuntamento: e il monologo delirante e concitato fino al termine della notte sembra proprio una ri-cognizione del dolore riveduta e aggiornata negli stessi luoghi, più o meno, frequentati dall’ Ingegnere…” (qui il link se volete leggere l’articolo sul sito del Corriere)
Questa è la presentazione che ne fa Einaudi: “Quattro ragazzi si trovano per caso insieme su una vecchia auto scassata in giro per le discoteche della Lombardia. Alla guida è Toro Seduto, un gigante violento e pochissimo speculativo; al suo fianco la sua ragazza, Donna del Mare, bella e intellettualmente vivace, appassionata di immersioni subacquee; dietro: Filo di Voce, bruttina, svenevole e sentimentale, e Mario, il narratore e inventore dei soprannomi degli altri, spaccone a parole ma pavido, arrabbiato con tutti ma profondamente confuso. Nel loro girovagare alla ricerca di qualcosa che non sanno, incontrano molte persone e molte storie, molti segnali di vita e di morte. Si farà strada in loro la coscienza oscura dei propri limiti e quella, ancora più oscura, dell’illimitatezza del mondo. E insieme a questo, un sinistro, macabro presagio di un’alterità definitiva e senza scampo, incombente, che i protagonisti cercano con qualche imbarazzo di ignorare. Forse piú che nei suoi romanzi precedenti, Tadini si muove a suo perfetto agio con l’alto e il basso, con il comico e il tragico, l’iperrealistico e il metafisico. Unico registro escluso, se non come parodia, il patetico, teorizzato come iattura dei nostri tempi.
Per questa particolare concentrazione di stili lo scrittore ha messo a punto una lingua artificiale e bellissima, come le luci della discoteca Light Night, dove la storia si conclude fra le parole paradossali di uno strano predicatore. Parabola anche politica di un potere sulle masse dominato da personaggi luciferini più furbi che folli.”
… e quella che segue è la notevole pagina che vi sottopongo e che riguarda proprio la discoteca Light Night:
E. Tadini, Eccetera, Einaudi
Pagina 276 (capitolo intitolato GRANDE SPIRITO CHE ABITI NEL LIGHT)
“Almeno una volta lo devi vedere, il Light Night alle cinque di mattina. L’ideale è verso metà giugno.
Io, da lontano, attraverso il parabrezza tutto sporco di quell’auto piena di malati di corpo e di mente, li ho visti anche quella volta, i riflettori, ancora prima di vedere il Light, la discoteca, che devi assolutamente vederla, e poi mi dirai se non è d’argento puro, ma ne parliamo dopo, dunque stavano su, bei dritti, i riflettori – voglio dire i fasci di luce che venivano fuori dai riflettori – stavano lì, di fronte alla luce del sole, cioè, di fronte a quel quasi niente che si vedeva, della luce del sole, a quel che si incominciava appena a vedere…
Se per una volta mi avrai dato retta e ti troverai lì, alle cinque di mattina, magari neanche completamente sveglio, un po’ intontito, meglio se sarai stato in piedi tutta la notte, meglio ancora se sarà stata una notte pittosto agitata, con qualche pompino andato a male e altre cose di questo genere, sai quei momentiche ti senti partire e pensi “adesso sto crollando” proprio un attimo prima di ritrovarti in piena forma, lucido, con i muscoli delle gambe che vanno per conto loro e tutto quanto il meccanismo, in testa, che funziona come un olio, allora li vedrai anche tu, prima ancora di vedere la discoteca, li vedrai, i riflettori, per quel che sono davvero, e poi, qui viene il bello, poi anche tu li sentirai parlare.
Perché a quell’ora lì, né prima né dopo, parlano, i riflettori, intanto che tu vai verso le meraviglie del Light Night.
Parlano, giuro. Non ci credi? Lo giuro su quel che ho di più caro – che non so bene cosa sia, quel che ho di più caro, forse è proprio stare qui, bello vivo e un po’ in ansia, mannaggia, a quest’ora e in questo posto.
E’ inutile dire “Ma per carità!” o fare un’alzatina di spalle e magari un sorrisetto di compatimento o altre cose del genere. Se non ci sei mai stato, lì davanti, alle cinque di mattina, non hai il diritto di parlare. C’è poco da fare. Se non passi dalle parti del Light Night alle cinque di mattina, diciamo verso metà giugno, allora devi fidarti di me, per forza, devi credere a quello che ti racconto io. O prendere o lasciare. E se lasci, non ci guadagni un tubo, ovvio, niente di niente. Ma non sai che cosa perdi.
E allora… Dove eravamo rimasti? Ah, sì!
Allora, se mi dài retta e vieni qui verso le cinque di mattina, e se ti lasci andare come si deve, se vivi la cosa e stop, voglio dire, e soprattutto se non aguzzi le orecchie come un povero deficiente, puoi davvero sentirli parlare, i riflettori del Light Night.
Li ho sentiti tante di quelle volte, io, nausea mica nausea, prima di entrare in paradiso… Non so con quali orecchie, d’accordo, ma giuro che li ho sentiti.
Allora. Dunque, dicono, quei riflettori… E non ridere! Sta’ a sentire, piuttosto. Hai solo da imparare. Dunque, dicono press’a poco così: “Che cosa diavolo vuoi?”, lo dicono al sole, cioè alla luce che si intravede dietro il buio, appena appena, come un pezzo di carta bianca sotto un foglio di plastica nera trasparente, “Sei venuto anche stanotte a romperci le palle? Va bene. Noi siamo qui. Avanti, fatti sotto! Vediamo se hai il coraggio. Vediamo chi è più forte!”
Così, dicono. Eppure lo sanno, che non c’è niente da fare, perché chi la vede più, la luce di un riflettore, quando verso le sei verrà il sole in persona – per non parlare di mezzogiorno, quando di fronte alla luce del sole, là in cima, anche la luce del riflettore più potente non sembra più forte della luce di una candela, che non distingui niente, neanche il minimo segno di una luce diversa…
Ma non fa niente. Loro, i riflettori, tutte le mattine… Ma sai perché fanno gli sbruffoni? Perché sanno che verso sera è il sole che deve andare a nascondersi in fretta e furia – ridotto lui, adesso, come la luce di un candelone, e poi ridotto a niente. E loro, invece, dritti in piedi, i riflettori, con le loro luci fantastiche… Tornano, finalmente. Tornano a farsi vedere in giro, da tutte le parti, nel cielo del Light Night e dintorni. Padroni, loro, dei quartieri bui.
Così, adesso, da lontano, da dentro la nostra auto squinternata, li vediamo, questi bei riflettori. Da destra a sinistra, da sinistra a destra…
Tergicristalli, ma enormi.
Fantastico!
E allora qualche voce, cioè, qualche voce… la mia, poco ma sicuro, lì, nel chiuso, da questa cassa da morto piena di puzze – due o tre metri cubi di utilitaria inutilissima, te lo immagini?… – che lui, se appena provi a aprire un finestrino, anche un filo soltanto, dà subito fuori di matto… “Ho fatto la broncopolmonite, io! A febbraio!”… e così, ormai, un tale cocktail – puzza di carne spellata, al vivo, puzza di paura, puzza di rabbia eccetera,e , certo, come no, puzza di una tonnellata come minimo di voglie andate a male …allora, da questa cassa da morto gonfia di gas asfissiante, qualche voce, la mia e almeno un’altra, probabilmente la voce della mia povera pretendente…
“Il Light Night, il Light Night!”
Sai come gridano, in certi film – la scoperta dell’America eccetera – che ti fanno vedere quei marinai, quei poveracci morti di fame, proprio agli ultimi, e buttati sul ponte, stravaccati, la lingua fuori per far capire come sono ridotti, che fanno una fatica tremenda solo per alzarsi in piedi e si tengono a certe corde e intanto sorridono che è uno schifo… beh, loro, che gridano “Terra, terra!”… Hai presente? Tale e quale!
“Il Light Night!”
Ti agiti, sei tutto eccitato, muovi il culo avanti e indietro, lo fai strisciare sul sedile come se volessi aiutarla a correre, la macchina, come se volessi spingerla da dentro…
Perché adesso te ne rendi conto. Tutte le meraviglie che hai appena visto, riflettori eccetera, non erano ancora niente. Niente. Una preparazione. Proprio soltanto il principio. Come quando allunghi la mano verso le tette più belle del mondo e sai che lei non le tirerà indietro, non dirà niente, sai che stai per toccarle ma non le hai ancora toccate… Così. Perché ti rendi conto che è adesso, a-des-so!, che ci stiamo arrivando, all’incantesimo.
Siamo dove finisce il posteggio. La rete metallica… Adesso non li vediamo più, i riflettori. Li abbiamo già dimenticati, che è tutto dire. Immaginati tu. Se tanto di dà tanto…
Adesso è lei che vediamo. E intanto lei ci vede, Light la grande. La discoteca delle discoteche. Siamo a due passi, dico due, dalla porta del paradiso. Toc toc toc…
Hai presente un’astronave – ma tutta fatta d’argento puro, una di quelle enormi illuminate che ci mettono un secolo a passarti sopra, sul cielo dello schermo? Eccola lì.
“Ci siamo!” dice Toro Seduto.
Io non dico più niente. Un po’ di rispetto, andiamo.
Io sto aspettando. Io lo so, quel che deve succedere succederà.
“Ohhh…” Questa è la cosiddetta mia ragazza. Un palloncino che si sta sgonfiando.
Vedi, andato come sono, eppure riesco a notare anche le piccolezze.
E, a proposito di piccolezze, Miss Agonia, lei, sdraiata sul sedile posteriore, figurati se si dimentica anche solo per un momento di mandar fuori il suo bravo verso, sempre uguale… No, secondo me quella lì è proprio fuori del mondo. Ci vedrai solo da un occhio, tutto quello che vuoi, sarai in punto di morte, ma anche così, Donna del Mare, come fai a non vederlo, il Light Night? Come fai a non risorgere?
Dài, risorgi!
Vuol dire che lo guarderò io, per te, il Light. Io anche a occhi bendati, lo vedrei.
Sai cosa sono? Io sono il razzo che incomincia a alzarsi, ancora molto pesante, adagio adagio, deciso…
Io sto per tornare a casa mia. In estasi.
Cioè no. Molto di più.
O magari di meno, non so.
La verità è che mi sembra di essere una marionetta che va su e giù appesa alle tue dita, Grande Spirito che abiti nel Light.”
*
Francesco Tadini, oltre a ringraziare i numerosi lettori che hanno preso a frequentare il sito archivio Tadini ( http://francescotadini.net/ ) invita chi non l’avesse ancora fatto a visitarlo, ricordando che sono in continuo aggiornamento le pagine dedicate sia alle opere visive che ai frammenti letterari e poetici.