Francesco Tadini, insieme a Melina Scalise – presidente dello Spazio Tadini e eccellente archivista delle opere di Emilio Tadini – divulgano on line l’intero Archivio riguardante Tadini. Segue, qui, la terza parte (la prima a QUESTO LINK, la seconda a QUESTO) di un testo di grande valore culturale di Anna Modena che ricompone il percorso di Tadini scrittore sin dai primi anni della sua sostanziosa attività. Lo studio, edito da Pagine d’Arte, nel 2005, in una monografia a cura di Matteo Bianchi: “Emilio Tadini, Le figure Le cose“, venne diffuso in occasione della mostra antologica dedicata alla pittura di Tadini dal Museo Villa dei Cedri Civica Galleria d’Arte di Bellinzona. >
EMILIO TADINI: A LUNGHI PASSI DENTRO LA REALTÀ, IL PERCORSO DELLO SCRITTORE
Anna Modena
Negli anni Cinquanta Tadini sperimenta i diversi linguaggi della scrittura anche nel lavoro, quotidiano, di giornalista, con collaborazioni di taglio molto diverso a testate specialistiche, a cominciare dalla rivista “Il Mercurio”, periodico di “Economia, Politica, Tecnica”, durato dal ’54 al ’56, presto di proprietà dell’ENI, che aveva come redattore capo l’amico e compagno di liceo Enzo Belli Nicoletti, esperto di economia e già redattore di “Mondo Economico”e collaboratori del mondo socialista e liberal radicale. “Il Mercurio” vuole analizzare e interpretare le nuove strutture dello stato moderno e i fenomeni che delineano il cambiamento: e Tadini può, da par suo, con occhio accorto, seguire il congresso degli Industrials Designers17 tenuto a Milano e commentare il loro progetto di porsi come modello e guida del rinnovamento sociale, o esaminare nel numero dedicato a Milano com’è1* dove compaiono le firme di Bacchelli, Titta Rosa, Sinisgalli, Crepax, Terron, quella Migrazione giornaliera, che negli anni Cinquanta è raddoppiata rispetto alla fine degli anni Trenta, insistendo su più punti della città, e destinata a mutarne il volto, segnalandola come un problema da risolvere in un futuro il più possibile vicino, perché Milano già appare troppo piccola, in rapporto alle sue attività.
Molto interessante per marcare quell’aspetto di uomo attento a tutte le facce della realtà, che Tadini ha già acquistato, e va definendo e arricchendo, la collaborazione, selezionata, a partire dal ’54, anche a “Civiltà delle macchine”, la prima serie, promossa da Finmeccanica e diretta da Sinisgalli, con articoli di lettura e interpretazione del mondo della tecnica, dedicati ad esempio alle figure dei capitecnici di alta specializzazione della S. Eustacchio,19 un complesso che costruisce macchine utensili di grandi e medie dimensioni, per cogliere, girando per la fabbrica come il loro valore sia proporzionato alla loro autorità professionale, agli strumenti di precisione, alle acciaierie Dalmine, perseguire il complesso percorso di produzioni dei tubi,2 0 e riflettere sull’estremo sforzo dell’uomo «di distribuire la materia, di guidarla, di portarla ‘dove non era’ e anche ‘dove non voleva andare’: di disporne» --
Ma è a “Cinema Nuovo”, la rivista diretta da Guido Aristarco dopo il suo distacco da “Cinema”, che Emilio Tadini, forte di una passione per il cinema, che viene dall’adolescenza, fa alcune delle sue prove più ricche di spunti per il futuro: innanzitutto, nel quadro del rinnovamento della critica cinematografica proposto dalla rivista, appare di particolare spessore lo studio in cinque puntate Letterati al cinema,21 dove analizza la posizione delle maggiori riviste del Novecento da “La Voce” a “La Ronda”, a “Solaria”, dal “Convegno” a “Letteratura”, fino a “L’Italiano” di Longanesi e a ” Il Selvaggio” di Maccari di fronte al cinema, non senza sorprese per ottusità e chiusure. E con una sistematicità, frutto di un lavoro diretto sui testi, che mi pare collocarsi ai primi posti, per tempi e metodi, nell’affrontare e prospettare una materia che oggi viene indagata a tappeto.
E ancora va segnalata l’attenzione particolare ai corti, nelle sue cronache dalla Mostra del Cinema di Venezia, dove rientra in quello che già si profila essere un tracciato personale di Tadini artista la preferenza per il cortometraggio americano Tregua d’armi*2 di Denis Sanders, storia poetica e umana di tre soldati nemici, due nordisti e un sudista nella guerra di secessione americana, apprezzato per l’elemento orizzontale del fiume, presenza reale e simbolizzazione visiva, e indicato esempio di una buona ricostruzione storica dove il tratto umano è inserito con sobrietà di immagini e di dialogo. E non è da trascurare una serie di fotodocumentari, ( un tipo di servizi che Aristarco rivendicava come idea sua, ma forse già proposta da Zavattini), compiuti in compagnia dei fotografi Carlo Cisventi, Chiara Samugheo e Olga Neville. Taluni di taglio prettamente neorealistico, come il primo Cronaca della Bassa 2* dedicato agli scioperi dei contadini e a un’assemblea dove si discute un’ordinanza del Prefetto; o L’ operaio del porto,24 in una Genova che lascia vedere macerie e carrugi, o Le invasate* sull’allucinante cerimoniale cui si sottopongono le donne morse dalla tarantola nella chiesa di Galatina; altri, invece, aderenti al mondo della cinematografia americana come Policewoman,26 dove il testo è un vero e proprio racconto, condotto in prima persona dalla voce di una donna poliziotto, e le fotografie propongono sorrisi cinematografici di maniera. Il lavoro su e attorno al cinema si può forse considerare lo spartiacque tra letteratura e pittura: di cinema è sempre imbevuta la sua arte, nei contenuti e nelle forme, e non è escluso che la figura tipica di Tadini, del giornalista, miope, appassionato del buio della sala, che comparirà a partire dal romanzo L’opera, quindi ne La lunga notte e La tempesta, tragga origine anche dalle esperienze di questi anni.
Nella seconda parte degli anni Cinquanta comincia a prevalere nella scrittura di Tadini la critica d’arte, attuata con nuova verve, anche su riviste non specializzate, da “Settimo Giorno” a “Successo” di Arturo Tofanelli, in una lettura sempre lucida di mostre, esperienze e percorsi. Il ritorno a un solido momento di incontro e riflessione letteraria avviene con “Quaderni milanesi”, la rivista trimestrale diretta da Domenico Porzio e Oreste del Buono, coadiuvati da Tommaso Giglio e Giuseppe Ajmone, che incomincia a uscire nell’autunno del I960, di cui saranno pubblicati quattro numeri (l’ultimo doppio) distribuiti dall’editore Aldo Martello,2 7 fino all’estate autunno del 1962, quando cesserà per mancanza di fondi. L’editoriale d’apertura Gli anni dell’equivoco evidenzia l’intento di una attività chiarificatrice’, intesa a discernere una letteratura non viziata da subordinazioni estetiche, politiche, moralistiche o confessionali’, dentro la quale Tadini è certo a suo agio. La rivista battagliera, almeno nella fase iniziale, che colpisce la letteratura da salotto, creando una polemica ‘antiromana’ (con interventi di replica sul “Messaggero” di Goffredo Bellonci) coniuga serietà milanese e ambizioni internazionali. La azione critica di Tadini si esplica direttamente attraverso interviste con protagonisti: Montale per la poesia, per il romanzo Moravia, Bilenchi, che nega la crisi del romanzo come genere letterario e punta il dito piuttosto sulla crisi della società, e Pratolini; una lunga conversazione con Guttuso, sull’intera gamma delle sue esperienze, a partire da “Corrente”, e un ricco dibattito sui problemi dell’arte con la generazione successiva dei Bergolli, Ajmone, Cannassi, Crippa, Dova e Scanavino. Pubblica nuovi testi, da Raffaele La Capria, a Leonetti, da Del Buono a Gramigna; l’anticipazione (col titolo Del tradurre) di parte del romanzo di Bianciardi La vita agra, e del primo capitolo di Le armi l’amore di Tadini nel n. 4-5 dell’autunno 1962 apre la strada al nuovo romanzo italiano, che trova ospitalità subito dopo in una nuova collana di narrativa La Scala’, ideata da Domenico Porzio per Rizzoli. La collana rientra nella politica d’autore che la casa editrice vuole perseguire: ha una confezione libraria di pregio, una grafica firmata da Mario Dagrada, e si segnalerà per alcune felici proposte, oltre alle due citate, da Prisco a Berto, da Arpino a Flaiano.
Ed è ancora Tadini che legge il racconto Elefante e Colosseo di Malcom Lowry, collocato nella ‘scia sperimentale Joyce – Faulkner’ all’insegna di quel realismo integrale’ che diventa la cifra dello sperimentalismo di QM. Nel n. 2 i testi poetici di Le metamorfosi, sobrio anticipo di una composizione di vasto respiro, sono presentate da Tommaso Giglio, che inquadra il suo lavoro, ormai ben oltre la carica eversiva della prima poesia dell’immediato dopoguerra, nel tentativo di superare i l dilemma tra scelta lirico – elegiaca e poemetto descrittivo nel quale rischiava di impantanarsi la poesia italiana dell’epoca. La sua presenza insieme a versi di un protagonista della nuova cultura americana come Charles Olson e dell’inglese Lawrence Durrel, dice anche il peso che si annette alla sua ricerca. Per Tadini è un momento importante: da critico e teorico, si è fatto narratore a pieno titolo, dimostrando la possibilità di fermare sulla pagina la complessità dell’accadere, aderendo al clima del nouveau roman, con un interessante racconto lungo Paesaggio con figure, pubblicato su “Inventario” del ’59,2 8 il cui titolo è non casualmente ripreso l’anno dopo in uno dei primi oli su tela.
E l’occasione, ora, di dar prova e capacità dell’attuazione di lunghe riflessioni. Nasce quindi quello straordinario esperimento di Tadini che è Le armi l’amore, di cui ci restano oggi anche alcuni documenti manoscritti che ne testimoniano l’articolata officina. Innanzitutto, da dove mutua Tadini l’interesse per Carlo Pisacane? Senza dubbio, sulla figura del patriota si era riacceso un interesse già nell’immediato dopoguerra, continuato nell’editoria di cultura degli anni Cinquanta, di cui Milano ha un ricco laboratorio. Nel ’57, infatti, le Edizioni Avanti!, promosse dal Partito Socialista Italiano, iniziano la pubblicazione delle Opere complete di Carlo Pisacane,19 a cura di Aldo Romano in apposita collana in otto volumi. E l’anno dopo, la neonata casa editrice Lerici ristampa l’importante saggio di Nello Rosselli: Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, mentre appaiono sulla seconda serie di “Movimento operaio” gli studi di Franco Della Peruta su Il socialismo risorgimentale di Ferrari, Pisacane, Montanelli. Ma non è Pisacane in quanto tale ad interessare lo scrittore, ma in quanto eroe (un tema dentro il quale già rifletteva), e probabilmente come eroe non compreso, tanto che una serie di titoli allineati in un foglio di appunti per la preparazione del romanzo, vede scartati: la nazione e l’eroe, l’eroe, l’eroe nazionale, sarà una littoria; storia di un eroe, un eroe per la nazione, prima di arrivare al titolo definitivo, allusivo anche di quell’idea di chanson de geste che Tadini voleva annettere alle forme, modernissime, del romanzo. Per le quali annota: «12 capitoli (canti) divisi anche senza punteggiatura e riprendendo il discorso senza soluzione di continuità ma separati dallo spazio» e ancora: «all’interno di ogni canto gli a capo segnano la divisione fra i vari blocchi di racconto (ognuno composto di azione presente (al futuro), di azione mossa dal presente, di azione passata, di azione mossa dal passato (non tanto ricordi)».
E appunta, Tadini, suddividendoli, temi e storie da porre ora al passato: lui da adolescente, la fuga di lui con la donna, lui e la sorella, ora al presente: il commesso perde la borsa con tutti i fogli d’ordine; il commesso che vuol sapere di più della storia della ragazza col padre… Inoltre prepara una serie di minuziose schedature di temi e momenti, dove dimostra di lavorare su più tastiere e di tenere presente sia dati del saggio di Rosselli, che indica tra parentesi come fonte, sia la vecchia biografia di Giuseppe Ardau,-*0 utilizzata per un elenco di dati familiari e personali. Probabilmente Tadini lavora anche sulle edizioni degli scritti di Pisacane, pur lasciandosi spazi di libertà di invenzione per il suo innominato eroe, e permettendosi di dilatare alcuni episodi anche minimi, là dove la ragione narrativa indichi la strada più urgente da percorrere rispetto al fatto storico. E sempre a ragione, Tadini riflette sui temi che restano suoi, anche oltre la scrittura, come ci dice la nota sciolta: «Addirittura immagini sacre = partecipando a quella tipica funzione del sacro- contraddittoria, assurda – di confermare celebrare esaltare il reale sostituendolo [...]»
Negli appunti prende vita e forma tutto il complesso meccanismo con cui Tadini scrittore vuole costruire quella sfera integrale di valori per ricreare la vicenda dei personaggi. Una specie di crosta, che sotto le sue durezze, fa emergere, una volta penetrata, un poema romantico e popolare. Il romanzo Le armi l’amore fissa l’avvio della carriera letteraria di Emilio Tadini, parca e dilatata negli anni, quanto è stata densa e innovatrice, da L’opera a La lunga notte, fino a La tempesta e Eccetera. Ora il suo archivio, e la ricerca dentro il suo laboratorio meno frequentato, ci permettono di scoprire anche le altre facce della sua ricerca, quelle che completano la sua immagine leonardesca. Del resto, quasi a testimonianza del valore di questo tipo di indagine, Tadini stesso, nel primo dei quaderni di appunti del 1983, ha lasciato scritto: «Grazie al cielo che esiste l’Archivio! Chi se l’Archivio non ci fosse potrebbe raccontare qualcosa? Si conserva, lì l’anima della storia, la forma dell’accaduto. E gli incendi dei fatti si scatenano ancora ogni volta, alla scintilla di quei dati [...1 . Un'Iliade, e poi un'Odissea di fantascienza. I pianeti colonizzati che si ribellano».
Anna Modena
Francesco Tadini, archivio, opera di Emilio Tadini, Le bal des philosophes, 1994, matita e acrilici su carta da pacco intelata, 100x76
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Francesco Tadini ringrazia tutti i numerosissimi lettori di Archivio Tadini on line anche per le mail di incentivo che sono arrivate numerose negli ultimi mesi. E ricorda di tenere d’occhio il sito e il blog di Spazio Tadini: http://spaziotadini.wordpress.com/ - http://www.spaziotadini.it/
Grazie