Intervista di Francesco Tadini a Renzo Ferrari pubblicata sul volume Skira: Tracciati Milanesi
Francesco Tadini: Ora che il sistema economico ha trasformato l’arte in merce riprodotta all’infinito, restano varianti senza rivoluzioni, da fare?
Renzo Ferrari: Siamo immersi fino al collo nel “regno della quantità”: l’arte – merce dalle provenienze più disparate da luoghi ritenuti fino a qualche anno fa solo mete di vacanze esotiche: ora è protagonista di luoghi deputati di biennali global ecc. Bisognerebbe instaurare delle difese verso questo globalismo pervasivo, disporre di un metabolismo immunitario. Penso come è cominciato (prima in positivo) tutto questo … ai tempi della contestazione (in clima fortemente progressista) la soluzione prospettata per uscire dallo spazio privilegiato dell’“opera unica” era quella di produrre dei multipli, di renderla accessibile a molti fruitori. Così l’arte si lasciava alle spalle il suo statuto elitario connotato dall’“aura” (Walter Benjamin) in favore della riproducibilità che la immetteva (in teoria) nei consumi di massa. Il fenomeno (che era per la verità già presente anche in passato nelle opere calcografiche) durò per espansione esponenziale qualche stagione, poi il mercato tornò al “feticismo” dell’“opera unica”. In tempi più recenti, il cosiddetto sistema dell’arte globale con l’invenzione degli artistar ha aumentato la sua offerta con iperproduzioni uniche (definite “estetiche”) di grande attrattiva economica. Così acquista rilievo un “listino di Borsa dell’opera unica” attraverso il triangolo perverso delle gallerie multinazionali, case d’asta,musei molto importanti. Quotazioni stratosferiche che attraggono soprattutto chi deve riciclare grandi somme di danaro sporco o anche facoltosissimi estimatori del “vestito dell’imperatore”. Un solo esempio: lo squalo (conservato in formaldeide, ma poi andato a male) da un milione di euro. Tu chiedi, caro Francesco, se c’è ancora spazio per un’arte d’avanguardia, in questo stato di cose demenziale che ricorda come una fotocopia la prassi perversa dei “prodotti tossici” nella recente débâcle finanziaria … dico no. Ma è sempre più percepibile un forte dissenso (voci sempre più numerose fuori dal coro) che, presto o tardi (spero presto), faccia scoppiare la “bolla” di questa “arte di regime”. Personalmente io continuo a lavorare come mi pare e … chi vivrà, vedrà …
Francesco Tadini: Non è stata proprio la pop art americana – e il sistema Leo Castelli – colpevole di aver ridotto la figura al corpo della merce?
RENZO FERRARI: La pop art americana ha i suoi antesignani in Duchamp e il dada storico e i primi artisti proposti da Leo Castelli sono stati Jasper Johns e Robert Rauschenberg. Questi artisti sottolineano il passaggio dall’“arte ansiosa” dell’espressionismo astratto (Arshile Gorky, Pollock,De Kooning, Franz Kline) al quadro oggetto e al combine installativo. Lichtenstein, Warhol and company introducono tecniche della cartellonistica, del fumetto, della fotografia e della grafica pubblicitaria nella realizzazione di opere monumentali (anche se la pop ha i suoi primi protagonisti fondativi a Londra già nel 1956). Leo Castelli è l’importante gallerista che collauda nuove strategie di mercato decise a tavolino e impone la pop americana a livello planetario. In Europa, dopo il premio a Rauschenberg alla Biennale di Venezia nel 1964, la capitale dell’avanguardia artistica si sposta decisamente da Parigi a New York. Per quanto mi riguarda, dopo il 1964, pur convinto che la pittura avesse subito una forte “s-definizione” e il mio lavoro precedente fosse andato in crisi, mi cimentai anch’io in prove pop, esperimenti che durarono alcuni anni, fino al 1968, per poi convincermi che lamia strada era un’altra. Tornando a Leo Castelli, con lui il mercato dell’arte diventerà sempre più listino di Borsa, “merce prestigiosa”, status symbol per collezionisti miliardari. Tutto ciò ha segnato per molti artisti l’emergere anche drammatico di una condizione fortemente marginalizzata rispetto a questo stravolgente dirigismo di mercato per i forti condizionamenti del tipo artista quotato in “borsa” = grande artista, e il ritmo velocissimo delle mode imposte.
FRANCESCO TADINI:… e non è la moda – il fashion – ad aver avviato un processo nel corso del quale il gusto diviene conformismo continuamente truccato da rivoluzione?
RENZO FERRARI: Certamente le mode sono la risultante programmata a tavolino, le strategie pubblicitarie e commerciali per far lievitare le quotazioni degli artistar del mercato divenuto globale. “L’oscillazione del gusto” si adegua a queste aspettative. Viene chiesto all’artista di successo un prodotto che rispetti fino in fondo i requisiti accertati per l’offerta. Questa prassi ha come risultante quella di invalidare e cancellare qualsiasi libertà creativa e di instaurare così un conformismo che non rivoluziona un bel niente e che è sintomo dichiarato della banalità diffusa e del vuoto di quella che viene imposta come arte contemporanea (d’avanguardia) e che invece è arte pompier.
FRANCESCO TADINI: Senza praticare realismo ideologico – men che meno socialista –un artista può indignarsi e tornare ai fatti del mondo, alle tragedie della storia recente?Non mancano certo le Guerniche…
RENZO FERRARI: Ultimamente la filosofia parla di “nuovo realismo” ritenendo oramai massimamente estenuato “il pensiero debole” che considera la realtà quale coacervo di interpretazioni (Nietzsche). Sopratutto la crisi ci costringe in disagi e difficoltà molto reali che anche per l’artista significano interrogazione etica e cancellazione di troppi compiacimenti ludici. Lo sdegno per l’inadeguatezza caricaturale dei politici ci porta anche a esprimere un’ironia amara. Le tragedie quali guerre, calamità, i più svariati disastri, di cui l’estremo è quello ecologico, ci costringono a una drammatica presa di coscienza che non può che rifluire e influenzare il proprio linguaggio espressivo.
FRANCESCO TADINI: La tua figura sembra una frase di Céline (da te ritratto anche nel 2011)… la verità di una lingua parlata – e la sua crudezza – contro la levigatezza di una lingua letteraria. I tuoi quadri di figura/parola mostrano fatti senza illustrarne la cronaca.
RENZO FERRARI: Siamo a una domanda più vicina al mio lavoro (ci togliamo dalle digressioni polemiche nei riguardi del sistema dell’arte). Penso la figura quale ossessione mutante lungo l’intero arco creativo del mio lavoro e senz’altro la propongo soprattutto dagli anni novanta attraverso il suo insorgere primario. Accetto di sentirla come “idioma dialettale”mescolato con “gli idiomi global” con esplicita insofferenza per le “levigatezze”.Non dispongo mai di una figura che rappresenti, che illustri anche nel caso in cui voglio “raccontare” un desaster, una guerra vista in tv o su internet. Trovo il modo di accordare il processo creativo con le sensazioni forti che ho avuto direttamente dalla cronaca per tentarne delle metafore formali. Forse, soprattutto nell’ultima mostra “Calendario feriale” il partire da frammenti fotografici minimali che appartengono al tempo presente mi hanno spinto a una sorta di figuralità “microrealista”… e beninteso si spera sempre di non essere scontati. Oggi è troppo evidente la preoccupazione di essere originali a tutti i costi, con trucchi, effetti speciali, provocazioni che si sprecano. Beckett in altri tempi sosteneva all’incirca “forse sono già stato detto ma continuo a dire”. La scommessa per me è quella di riuscire a esprimermi e di rifiutare senza mezzi termini il conformismo imperante.
FRANCESCO TADINI: C’è a un certo punto del tuo percorso dentro il “disagio” della civiltà l’urgenza di trovare il primitivo, il naturale, il selvaggio?
RENZO FERRARI: Sì …, in modi anche risentiti rispetto al lavoro che precede e a partire sopratutto dagli anni novanta. La monografia Opere, 1990-2010, curata da Francesco Porzio, uscita recentemente, ne dà ampiamente conto. Anche un testo di tuo padre, Africa del 1990 (presente in questo catalogo) ne parla. Indubbiamente, dal contesto global, già a partire dai primi anni ottanta, si avvertiva l’irruzione di nuovi attori artistici non occidentali che mutavano sostanzialmente il panorama figurativo, in più erano già in atto i linguaggi molto divulgati dei Neu Wilden tedeschi e della transavanguardia e di alcuni autori americani. Tutto ciò ha coinciso con la fine della neoavanguardia e il ritorno della pittura. Personalmente ho “ricaricato le pile” con la volontà di ritrovare, risuscitare una maggior energia creativa. In me c’è stata l’esigenza di togliermi dalle pastoie del neoinformale per un linguaggio più diretto e vitale.
FRANCESCO TADINI: Le tue parole nei quadri circondano e contengono altri segni e figure in movimento: sembra che impediscano loro di uscire dal quadro …
RENZO FERRARI: Molto spesso mi chiedono il perché della simbiosi di scrittura, segno-disegno e figura nei miei lavori. Questa mescolanza che limita molto spesso l’agio delle figure (coatte) ha origine dalle annotazioni continue (giornaliere) che tengo nei Moleskine, abitudine questa che ho iniziato già alla fine degli anni settanta. Nei Moleskine c’è un ampio repertorio di disegnini eseguiti più o meno con rapidità-leggerezza o perorazione che sono scortati da una sorta di “colonna sonora” di commenti scritti (sovrascritture incrociate al disegno).Tutto questo è divenuto presente anche nei quadri.
FRANCESCO TADINI: Il blu, il giallo, il rosso … sembra che tu abbia sposato questi tre colori, dalla fine degli anni novanta … e che ognuno di essi abbia i propri abitatori (Visitatrici del blu, 2000).
RENZO FERRARI: Parafrasando una frase di un poeta classico (lontana memoria scolastica) mi ripeto spesso in toni divertiti: “Il colore dell’anima interprete eloquente”. Insomma, nel quadro che tu citi è protagonista il blu, colore che uso raramente (anche se in passato l’ho mescolato al nero fondo) e che è per me colore notturno, riflessivo. In Visitatrici del blu il blu è contaminato da disaccordi con gialli verdastri e rossi cadmio (analogia con i rumori: cacofonie della notte) Il giallo è molto presente in vari periodi del mio lavoro e si accompagna spesso a un disegno che punge, spinoso. Il rosso è fuoco, vampata ed è abitato da figure nere, bruciate, combuste.
FRANCESCO TADINI: … io ho perso la libertà e l’ho riguadagnata … e mi rendo conto perfettamente di quanto il sistema delle arti sia soprattutto per gli artisti giovani una prigione. Dorata, dotata di comodità, ma sempre prigione. Cosa ne pensi? Come segare le sbarre? Consigli a un artista giovane?
RENZO FERRARI: Sono scevro dal dare consigli in generale … perché soprattutto oggi nella caduta libera dei valori è difficile intendersi e si può essere facilmente fraintesi. Comunque la domanda rimane interessante e considererei anche il rovescio della medaglia, vale a dire quei giovani che dotati di talento, per “ingenua onestà” cercano la propria strada e non trovando un celere accesso al sistema dell’arte rischiano una definitiva marginalizzazione. Quest’ultimi, “vittime sacrificali” del sistema a confronto di chi ha avuto capacità e fortuna di entrarci; ma come dici tu … può poi risultarne prigioniero. Per mia esperienza la crescita di un artista è cosa delicata e difficile e le scelte che uno fa non sempre risultano vincenti al fine di una carriera e del successo del proprio lavoro. Oggi vige la mentalità consumistica del “tutto e subito” e del successo immediato … io penso che un artista intraprende con coraggio “un’avventura creativa che lo appaga” che non sa dove lo può portare in termini di consenso e risultati economici. La sua avventura potrebbe anche risultare illusoria e inconcludente. Sono i rischi di un antico mestiere (intrinsecamente anticonformista). Chiudo con un detto gratificante di Oscar Wilde: “Chi è di moda, poi passa di moda”.