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Francesco Tadini invita alla lettura di un brano poetico del padre, Emilio Tadini, del 1959: Natura nel segno

Creato il 19 dicembre 2011 da Francescotadini @francescotadini
Francesco Tadini invita alla lettura di un brano poetico del padre, Emilio Tadini, del 1959: Natura nel segno

Emilio Tadini al lavoro nel suo studio milanese, trasformato, dopo la sua scomparsa, nel centro culturale Spazio Tadini

Francesco Tadini invita oggi  alla lettura di un brano poetico di suo padre Emilio Tadini, del 1959:

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Emilio Tadini, Natura nel segno, in “Inventario”, a. XIV, n. 1 – 6, gennaio – dicembre 1959, pag. 182 – 185

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Non c’è buio tanto sottile da coprire le povere impronte del desiderio
non luce così alta da divorarne l’umida ombra tremante
non silenzio che soffochi il loro silenzio
non c’è collera che ne impietosisca
la fragile volontà.

Volta a volta, e sempre più vicine
– ali violente – han sfiorato,
finché uomini, scrollando il loro scheletro
entro debole scorza, le han seguite,
orientandosi a forme di cibo a due punte, premendo sui sassi
l’impronta limitata di una mano
– della mano, possesso che non riesco a stringere,
strumento di ogni possesso –
fino a far scaturire tra pietra e carne
la fibra gonfia di sangue
la forma di un’esperienza.
Feriti e ottusi, con il vento in piena
che viene dal cuore del mondo
fin qui, a scolpire
ogni mattina i gesti del primo risveglio
e intontirli in azioni
a spingerli – bestie – su pascoli gonfi e feroci.
Senza orrore a spingerli e aiutarli
senza disperazione
naturalmente senza speranza
a mescolare costellazioni
di luce e di rifiuti
in alto, dove loro non guardano;
senza lacrime. Chiusa
persuasione, silenzio,
desiderio.

Senza un nome: le oscure esili feste
nel fondo, nella vena
sottile di tutta l’enorme sopportazione
– il ciglio che batte più lento su tutto il buio dell’occhio,
la mano che indugia, il silenzio
fulmineo nello scrosciare
del sangue sotterraneo…
Dentro, nel cuore, e più dentro,
nella coscienza del corpo
diverso da albero e pietra
diverso dalla coppia (diversi
la rugiada del sangue
e le ossa cristalli
e il fluire ingorgato, freddo caldo
nell’unico colore
di fuoco delle membra):
diverso, e curvo a guardarsi
curvo a soffrire quel bruciore ottuso,
ma ancora immemore, e pronto a sopportare
ogni male, stanchezza, piacere,
versando tutto sul tempo-fuoco senza riparo
versando senza risparmio, testardo, e senza fermarsi.
Senza neanche credere nel fuoco: toccando la consumazione:
scaturita, deposta dall’inerte
e brontolante ventre sfera di fuoco
del sonno. Cenere: aurora.

Hanno divorato con i forti denti della sopportazione tutto il bottino
– gambe e fianchi di bestie e il terrore solare e le ferite
di ogni sensazione sulla carne e boschi prati acqua,
tutto imprendibile e accogliente,
gran seno aperto, irto di punte affiliate.
Hanno spaccato con i forti denti della sopportazione ogni fatica
fino all’osso, allo sterile bianco
del vuoto – il non sensibile – ed ancora
sono stati incapaci di toccare
quest’ultima nozione. Hanno rifatto la strada
– ancora intatta, solida, senza ferite –
e ancora, fino all’avido biancheggiare dell’assenza,
finché, battendo la testa da un giorno a una notte,
da una stagione all’altra, da una morte
all’altra, finalmente han ritrovato
quel balenare fosco, e conosciuto il vuoto in un altro
e alzato gli occhi a vedere se ancora il tempo ritorna
spingendosi avanti qualcosa che, finalmente, aspettano.
Più deboli, già pronti.

Il tempo rovesciato, e la memoria-iena,
mai sazia di quanto è finito per sempre, prudente e impudica:
la memoria a illanguidire anche i giganti
a ridurli ossa e ombra in equilibrio
– e memoria e presagi a farli vomitare tutta la loro forza del grembo delle madri
non viste e morte, non toccate, e curve
nei sepolcri domestici
a sostenere già un mondo di disprezzo e di assenza
sognando ancora avide gli antichi concepimenti
e contorcendosi ancora nei loro abiti scuri.

E i vivi tornano indietro, pronti a cambiare
il silenzio in parole, l’indomito
assenso in una forma,
pronti a umiliarsi davanti al previsto al presentito
al previssuto nelle caverne del cuore,
davanti alle loro madri
ai poveri morti,
e per la prima volta davanti a un sogno.
Ha rinunciato a se stessi per possedersi
per celebrare l’atto con le labbra colme di vuoto.
Tutta intera la terra, rivoltandosi,
lo testimonia.

E. TADINI

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Francesco Tadini, ringrazia e augura buone feste ai lettori e  frequentatori del sito dell’archivio Tadini -  http://francescotadini.net/ ) , situato presso l’associazione culturale Spazio Tadini di Milano.

Francesco Tadini invita alla lettura di un brano poetico del padre, Emilio Tadini, del 1959: Natura nel segno


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