«The Thicket» e altre considerazioni su Sutherland, di Roberto Sanesi, dalla monografia, edita da Mazzotta – mostra alla Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno, 1988
Rappresentazione raddoppiata, The Thicket si manifesta come un evento in atto. Opera composita, mostra allo spettatore una sintesi estremamente mobile e però attonita, in apparenza definitiva, di ciò che il pittore si era sforzato per anni di esporre stando dallo stesso lato di chi osserva. Ora riproponendo quella distanza, quella frattura, con un rovesciamento di posizione che è anche uno sprofonda mento. Se si osservano i particolari, non si potrà fare a meno di notare che l’evento narrato si regge su un’esplicita scansione geometrica ternaria per aprirsi e articolarsi in un folto («the thicket») di forme generanti all’interno di uno spazio definito come circolare e in profondità: caverna e tempio, varco e nucleo compatto, dove altre e misteriose geometrie si intravedono in direzione simbolica abbastanza esplicita se, forzando appena l’analisi, si possono individuare a sinistra e a destra, nel confuso intreccio di cui Sutherland fa parte, gli emblemi della sorgente e dell’albe ro, per non dire degli emblemi analoghi degli astri verde e bianco, del sole (vegetale) e della luna in precisa corrispondenza. In tale contesto l’autore (soggetto e spettatore) dipinge se stesso come elemento indifferenziato di quella vorticosa combinazione e dissoluzione delle forme, e nel medesimo tempo ne rende testimonianza. Annegato in quella materia ormai indistinta di sé e della natura, l’assume a soggetto integrale e proiettivo del suo autoritratto. La patetica e fragile figura del pittore ormai vecchio, radice avvizzita e tuttavia orgogliosa afferrata in quel groviglio di morte-nascita in rapida e incontrollata moltiplicazione, diventa il nucleo centrale dell’evento rappresentato, e lo ritrae osservando sé stessa che lo rappresenta. Al di là della siepe, del boschetto, del «folto» intricatissimo, il motivo del dramma intravisto e della conseguente paura è superato nell’intensa, sensibile, ricettiva «imperturbabilità» con cui il pittore annota la presenza di sé come natura «in fieri».
Roberto Sanesi
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Francesco Tadini