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Francesco Tadini per Gianfranco Pardi – come una lettera

Creato il 28 maggio 2012 da Francescotadini @francescotadini
Francesco Tadini scrive a Gianfranco Pardi

Gianfranco Pardi

Francesco Tadini – Come una specie di lettera che vorrei spedire a Pardi… Difficile scrivere e ancora più difficile – essendo recentissima la scomparsa di Franco – organizzare la memoria delle cose “che so”, sopraffatto dalle cose “che sento”. Non ho potuto – realmente impossibilitato – incontrare Franco nell’ultimo periodo. L’ultima occasione, nel 2009, fu dedicata all’organizzazione di una mostra a Spazio Tadini. Gianfranco Pardi avrebbe esposto insieme a Grazia Varisco e a Mino Ceretti. Sarebbe stata, per così dire, una riunione di amici. Avrebbero utilizzato gli spazi “di lavoro” dell’altro Grande Amico che non c’era più: mio padre, Emilio Tadini

Tutto quello che succede nella vita ci cambia. Ovvio.

Quello che mi è successo – o che ho fatto accadere – mi ha reso un altro.

Ciò che ora sono non somiglia a ciò che fu. E di questo sono felice.

Scrivo questo perché non posso dirlo – e manifestarlo – ad alcune persone. Vorrei poter rappresentare come esisto con parole così leggere da volare. Vorrei far volare parole nell’aria senza spazio, in quel luogo senza tempo capace di resistere…

Gianfranco, per me, era “il Baffo”. Mio padre mi teneva per mano e mi portava allo Studio Marconi (di Giorgio Marconi, ora Fondazione Marconi) dove c’era quel signore alto con i baffi e tutta una serie di signori che parlavano e ridevano e avevano l’aria di essere artisti… Franco, il Baffo, era un amicone di papà. Ma tutti, lì, dal Giorgio, erano amici…

Franco Pardi aveva una baita in legno e pietra (Walser) in Valsesia. Quella valle, d’estate e d’inverno, era luogo dove si trasferiva una specie di tribù. Impossibile annoiarsi. Franco aveva organizzato anche una Cinecittà valsesiana. Una Hollywood tascabile. Si faceva il cinema. Lawrence d’Arabia, si faceva. Pardi era il regista. Io e quella brigata di figli d’artista – gente un po’ matta che pensa che il Bello sia utile e non smette mai di cercarlo in ogni angolo della Forma – eravamo comparse…

Franco non mancava mai dove c’era un’idea. Marconi – questo Giorgio lo racconta anche nella pubblicazione “Studio Marconi,  Autobiografia di una galleria” – deve molto a Pardi.

Tornerò a raccontare molte cose, di Pardi. Parlerò di alcune sue opere. Di quelle, in particolare, che mi spinsero qualche anno fa ad andarlo a trovare e dirgli che lui – per me – era fantastico. Rammento che in quella circostanza mi confessò un ricordo su mio padre. Sull’Emilio Tadini. … Franco mi disse che Emilio non era mai riuscito a dirgli “ti voglio bene”.  Se ne volevamo tantissimo, è fuor di dubbio, ma l’Emilio Tadini era così timido, in realtà, da non riuscire a trovarsi nelle parole più semplici del mondo.

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Francesco Tadini per Gianfranco Pardi, arte e cultura

Gianfranco Pardi, 2002, Il corpo della scultura

Il corpo della scultura: la cosa concreta che chiamiamo scultura, la figura a tutto tondo che si presenta come scultura. Pretende un luogo, modella lo spazio che occupa: materia, cosa, si espande, prende posto, disegna limiti e, nella luce, ombre. Il corpo della scultura lavora quella luce e quell’ombra, ne ridefinisce il luogo e dalla luce e dall’ombra è temperata. Nella scultura di Giacometti quella luce comprime la figura corrode la sua sostanza materiale, costringe e confina il suo apparire a esile impronta del modellare. Nella luce e nell’ombra la scultura di Calder si frantuma in costellazioni di frammenti. Fragili analoghi di efflorescenze artificiali quella luce percuotono in armonia, si potrebbe dire risuonano con la luce. Il corpo della scultura: il suo farsi forma esige luogo, distende con prepotenza le sue membra, immobile chiede movimento, pesante invoca leggerezza. Nel peso fonda il terreno, nella leggerezza espande la misura Si dice “statuito” di qualcosa che ha solide basi. Fermo come una statua! Boccioni si avvita in questa stabilità, esclude la norma, vuole più spazio e nella luce lo stabilisce. Il corpo della scultura e il corpo della danza: al margine dello smembramento il corpo della danza nel suo distorcersi armonico e impetuoso stravolge lo statuto della mobilità, crea spazi e frammenti e vuoti incolmabili, modella lo spazio che lavora e dalla luce è riordinato in forma. La danza non ha ombra, è essa stessa solamente ombra, ombra di un corpo strappato intersecato da bagliori, liberato dalla consistenza … librato. Cerco una scultura come una danza, strattonata a forza al confine dello smembramento, costretta nel movimento che, immobile, desidera. Ripiegata su se stessa e dispiegata nella luce, solida e instabile … cedevole allo sguardo, frantumata, scheggiata e ricomposta in figura. Figura di precarietà e apertura: come una scultura.

Gianfranco Pardi, 2002

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… Nel 1998 Palazzo Reale a Milano accoglie una personale di Gianfranco Pardi. L’anno successivo seguono in serie mostre importanti in Germania al Museo Bochum di Bochum,  al Frankfurter Kunstverein di Francoforte e al Kulturhistorisches Museum di Stralsund. E poi, ancora, alla Galleria Fumagalli di Bergamo, da Giò Marconi e Fondazione Marconi di Milano si tengono retrospettive e antologiche molto rilevanti.

… E ne seguiranno, siatene certi, tante altre.

Franco, ti voglio bene. E voglio bene alle tue “sculture come una danza”, che hai trovato.

Francesco Tadini

(si ringrazia Melina Scalise, presidente di Spazio Tadini, per la pubblicazione)

Francesco Tadini per Gianfranco Pardi, arte e cultura a Milano


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