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Francia-Nuova Zelanda, parla il TMO (azzurro!)

Creato il 20 ottobre 2011 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpa

Francia-Nuova Zelanda, parla il TMO (azzurro!)di Stefano Semeraro per La Stampa

Domenica ci sarà un italiano nella finale dei Mondiali di rugby, il suo nome è Giulio De Santis, e non indosserà nessuna maglia particolare. Perché la finale se la vedrà davanti a uno schermo tv, nascosto in un box dell’Eden Park di Auckland ma in costante contatto radio con l’arbitro e la cabina regia. De Santis, romano, 44 anni, sarà infatti l Tmo, il «Television Match Officer» della finale fra Nuova Zelanda e Francia. L’uomo della moviola che l’arbitro, il sudafricano Craig Joubert, chiamerà in causa in diretta se si tratterà di assegnare una meta incerta, disegnando con le mani un rettangolo nell’aria. Un grande onore per un italiano, e per De Santis una saporitissima ciliegina su una carriera iniziata 25 anni fa proprio per colpa di un All Black. «A 19 anni giocavo terza linea nella S.S Lazio», racconta, «e in prima squadra ero bloccato da Zinzan Brooke, un mito dei Tutti Neri venuto a giocare da noi. Però la passione era tanta, e così, capito che come giocatore non avrei trovato spazio, decisi di fare l’arbitro». Un strada non facile, intrapresa quando l’Italia recitava da parente povero alla tavola ovale. «Dieci, quindici anni fa l’Italia si affacciava al grande rugby, e da arbitro scontavi un po’ il fatto di essere l’ultimo arrivato. Ti ritenevano non del tutto affidabile. Questa mia finale è anche frutto dell’impegno di tutta la federazione italiana e del presidente Dondi. Abbiamo lavorato, studiato gli arbitri, nel 2000 la nostra nazionale era la più penalizzata sul piano della disciplina, ai Mondiali del 2007 siamo stati i più virtuosi. Alla fine quella di domenica è una partita che vale miliardi, e se la Nuova Zelanda non vince, altro che crisi: nel Paese dove esiste persino un ministro del rugby
scenderà la notte».
Una responsabilità non da poco. «Ho un sogno-incubo che mi assale da quando si è palesata la possibilità della designazione», sorride De Santis, «e cioè che allo scadere, con la partita ancora in bilico, arrivi una decisione cruciale affidata al Tmo. Perché nonostante le oltre 20 telecamere, il ralenti e tutti gli ausili elettronici, ci sono casi su cui gli stessi addetti ai lavori si spaccano a metà. La tecnologia, alla faccia di Biscardi, non è la panacea, è solo un sistema che serve per risolvere i casi più eclatanti, e solo quelli che accadono in area di meta, altrimenti il gioco sarebbe continuamente interrotto. Ci sono però situazioni, come certe maul che collassano in area di meta, in cui non scioglie il dubbio, persino gli addetti ai lavori si spaccano a metà, e purtroppo il Tmo non può dire all’arbitro: scusa, fai tu».
Nel rugby il referee ha una dimensione diversa da quella che ha nel calcio, per i giocatori è una vera guida in campo: «E in campo è ancora molto rispettato, mentre l’arrivo del professionismo ha aumentato molto le tensioni pre e post-partita. Qui in Nuova Zelanda poi
la pressione dei media è enorme. A ogni azione un arbitro di rugby di falli ne vede magari dieci, ma deve distinguere al volo fra quelli materiali e quelli accidentali. Deve spostarsi molto, corre 7-8 chilometri a partita e prende centinaia di decisioni. Il Tmo in questo
senso ha un compito più “infame”: se l’arbitro sbaglia 10 decisioni su 200, ha fatto il 5 per cento di errori. Io magari domenica di decisioni ne dovrò prendere solo una. Ma se la sbaglierò rischierò di cambiare la storia un Paese».


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