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(Francia – Paesi Baschi) Bordeaux/Arcachon

Creato il 31 agosto 2015 da Elettra

“C’è qualcosa in particolare che vuoi vedere a Bordeaux?” “No, voglio solo passeggiare”.
È sempre meno il tempo che dedico a pagine tipo 10 cose da fare a, preferisco aprire google image, digitare il nome della città e guardare le sue foto, le prime due pagine al massimo. Immaginarmi in quelle strade a camminare è il mio modo di progettare un viaggio: se mi ci vedo bene, entrare in sintonia con la città che mi ospita è semplice. E Bordeaux si lascia passeggiare.

Si lascia passeggiare dal primo instante e si lascia scoprire piano già quando col bus dall’aeroporto attraversi Merignac, che sembra il set di American Beauty e poi e dalla periferia puntellata da Café Tabac, attraversata da tram, arrivi fino alla Gare Saint Jean in un pomeriggio azzurrissimo che incornicia perfettamente le guglie delle chiese del centro che spuntano tra i palazzi con i balconi di ferro.

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Bordeaux è calda e quieta: ai bar, ai bistrot, ai posti pieni di umanità varia intorno alla stazione c’è sempre gente seduta a bere, a parlare gesticolando, a fumare. Mi piace sentire il suono del francese mentre sfioro le persone, mi piace dire Bonjour e sentirmi rispondere in una cordialità va bene anche affettata Bonjour madame. Attraversiamo il centro storico accanto a palazzi nuovi e chiese ferme nel tempo. Entriamo in tutte quelle aperte e la luce accecante di fuori si contrappone forte al buio di dentro. Ma solo per qualche minuto: ci sono sempre finestre di vetro, alcune colorate, attraverso le quali, il sole entra e illumina perfettamente le scie di polvere, i santi e le candele. L’odore di incenso è buono, ogni tanto c’è qualcuno che fa risuonare nel vuoto l’organo a canne. Al contrario, quando usciamo fuori ci vuole sempre qualche minuto per riabituare la vista a tutta quella luce. Ed è bellissima e dura fin oltre le 9 di sera e poi scompare piano, sul fiume per esempio mentre siamo seduti su una panchina a mangiare formaggio e bere Bordeaux appena comprati, mentre accanto a noi due coppie, quattro bambini, cenano mangiando panini presi in qualche bottega biologica, un po’ mangiano loro, un po’ imboccano i bambini che ci girano intorno. Ad una di loro, chiedo Comment tu t’appelle? Juliette, mi risponde e da quel momento in poi inizia a parlarmi in un francese da bambina, con lo stesso tono di tutti i bambini del mondo, le sorrido e annuisco ma la mamma deve dirle che non capisco quello che mi dice. Ci resto un po’ male.
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Il centro di Bordeaux è un susseguirsi di piazze grandi e piccole: come delle matrioske incastonate nelle stradine, dalla meravigliosa piazzetta con una sola panchina di Saint Croix alla gigantesca Place de la Bourse, proprio sul fiume, con la sua fontana che sgorga dal pavimento e i bambini che improvvisano piscine, chi in costume, chi nudo, sul far del tramonto.
In mezzo ci sono bistrot, bar e locali piccoli con tavoli ancora più piccoli. “Ci sediamo qui?” “No, aspetta c’era quello nella piazzetta vicino alla chiesa, tra le due vie con i fiori ai lati, ti ricordi l’abbiamo visto oggi pomeriggio”, e intanto il tempo passa e spuntano nuovi bistrot, bar e locali con tavoli ancora più piccoli. E ci siamo dimenticati del primo e mi sono innamorata altre tre volte, che poi la scelta è quasi sempre dettata dai movimenti e dalle espressioni delle persone che vedo sedute. Alla fine ci sediamo: “Un verre de vin, s’il vous plaît”.

(Provo sempre ad iniziare un discorso nella lingua del posto in cui sono, le prime pagine di tutti i libri delle poche lingue che ho tentato di studiare. E mi piace farlo, mi piace sentirmi parte di un posto, di un progetto, non fosse altro per giocare a non essere in vacanza, per dire cosa voglio da bere, s’il vous plaît, che voglio prenotare una ceretta por favor. Ma appena mi rispondono in lingua, mi blocco, non so più andare avanti).

Bordeaux è lentezza tra negozi di vino, pain au chocolat in pasticcerie con specchi e lampadari di cristallo, tra feste in piazza all’ombra del campanile enorme della chiesa di Saint Michel, a bere vino e ballare insieme a centinai di sconosciuti. È trascorrere un pomeriggio intero a spasso, senza mai dire e adesso? a mangiare couscous nella piazzetta di Saint Croix, a stare in silenzio su una sdraio a l’Orangerie dei Giardini Pubblici, a ridere stesi al sole caldo su una panchina prima di cena.

La Duna du Pilat invece è una di quelle cose che cercata su google image, puoi solo immaginare ma che ti sopraffà appena la vedi per davvero. Una montagna di sabbia da scalare, sentendo i tendini che polpaccio che tirano dopo ogni passo affondato, vedere i bambini arrampicarsi a quattro zampe, le altre persone rotolarsi dalla cima fino alla base. Il contorno color sabbia delle cima divide a tagli netti il cielo blu, schizzato di nuvole salvifiche per la scalata.

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Il verde della pineta tutto intorno è impenetrabile. In cima chi già è arrivato è piccolo piccolo e sembra in bilico, come su una trave da ginnastica artistica. Una volta arrivati sulla vetta, di colpo come se qualcuno avesse premuto on, si sentono il rumore delle onde e le grida tipiche di tutti i mari del mondo. A destra e sinistra solo sabbia, in fondo solo alberi. Davanti solo l’oceano. Acceleriamo il passo verso il mare, mi stendo e mi addormento dieci minuti sotto al sole coperto dalle nuvole. E sto bene.


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