Citarlo come fonte d’ispirazione per Babbobecco sarebbe eccessivo: il termine di paragone è davvero troppo alto (e, per di più, ho letto Il Grande Gatsby solo dopo la stesura del romanzo). Comunque, vorrei parlare qui di Francis Scott Fitzgerald. La sua fu una vita breve e tormentata: nato a Saint Paul (Minnesota) nel 1896, si spense a Hollywood nel 1940, all’età di quarantaquattro anni.
FSC è indubbiamente uno degli autori più importanti della cosiddetta Età del Jazz. Acquisì notorietà da giovanissimo, dopo la pubblicazione del suo primo romanzo, il dirompente Di qua dal Paradiso, nel 1920. Seguirono Belli e dannati (1922) e quello che viene considerato il suo capolavoro, Il Grande Gatsby (1925). È la storia di un giovane (Jay Gatsby, appunto), che si è conquistato, con mezzi leciti e meno, una propria rispettabilità e onorabilità negli Stati Uniti degli anni Venti. Ora è ricco e organizza lussuosissime feste, ma il suo unico desiderio è far rifiorire l’amore con Daisy, che un giorno di qualche anno prima lo ha respinto ed è ora sposata a un tal Buchanan. Fra tenerezza e irriverenza, romanticismo e disperazione, un libro che riporta ai fasti e alle contraddizioni di un’epoca lontana, i Roaring Twenties. Ne sono stati tratti due film: la prima versione, diretta da Elliott Nugent, risale al 1949, mentre più nota è quella del 1974, firmata da Jack Clayton, che vede come interpreti principali Robert Redford, Mia Farrow e Sam Waterston.
La vita di FSC non fu facile e anche il suo successo è arrivato, più che altro, postumo. Dopo Il Grande Gatsby, completò solo un altro romanzo, Tenera è la notte (1934), mentre Gli Ultimi Fuochi rimase incompiuto. Dopo la sua morte, iniziò una fortissima rivalutazione della sua opera, tanto che oggi Francis Scott Fitzgerald è considerato giustamente uno dei maggiori scrittori americani del ventesimo secolo. Tra i suoi estimatori, figura Haruki Murakami, che ne ha tradotto alcuni testi in giapponese e lo cita ripetutamente nel suo libro più noto, Norwegian Wood.