Le maschere sono allineate davanti al palco del Teatro Dal Verme: cercano di contenere il pubblico, che dopo il secondo bis chiesto a gran voce si è alzato dalle comode poltroncine di velluto bordeaux per correre in prima fila. Sul palco non c’è il nuovissimo prodotto di qualche talent show, né il fantasma di Jim Morrison, ma un quartetto d’archi, un pianoforte, una chitarra acustica e qualche sintetizzatore.
Al centro del palco un uomo che, nonostante l’età (settanta compiuti da poco) e il recente incidente alla gamba, accenna qualche passo di danza: lui è Franco Battiato, il grande sperimentatore, l’anello di giuntura fra pop e musica colta. Lo stesso che nel 1969 saliva sul palco con un sintetizzatore CVS3, acquistato mesi prima che venisse ufficialmente lanciato sul mercato e imparato a suonare dalla stessa persona che l’aveva progettato. Il successo non ha mai scalfito la sua musica, Franco è rimasto sempre lo stesso: coraggioso, eclettico, umile e ironico. Anche adesso che ha «Non posso più uscire di casa senza che mi chiedano come va con la gamba. Beh: la gamba va bene, ed è questa qui» – poco prima di alzarsi dalla sedia per cantare le esplosive I Treni Di Tozeur, La Stagione Dell’Amore e Voglio Vederti Danzare.
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