Vive a Palma di Maiorca e nella sua vita ha fatto 31 traslochi e scritto 14 libri. Il primo, Rivoluzione, lo ha pubblicato nel 1979 con Cappelli, poi ha pubblicato con Stampa Alternativa, con Frassinelli e con Aliberti, ma qualcosa non ha funzionato nel rapporto con gli editori. Non mantenevano le promesse, non pagavano i diritti d’autore, tanto che per due volte è pure finito in tribunale. E ha vinto. Poi ci sono gli editor poco competenti, le agenzie letterarie che puntano solo ai libri commerciali. Insomma a un certo punto ha recuperato i diritti dei suoi libri e ha cominciato a pubblicarli con il Print on Demand, sul sito Lampi Di Stampa. Certo le vendite sono quelle che sono e nelle librerie è distribuito quando la gente chiede il libro. Lui si definisce uno scrittore aristocratico perché non ha bisogno di guadagnare. Ora poi c’è internet e i suoi libri si trovano online. Ma sentiamo Franco Mimmi:
“Ho una certa amarezza rispetto agli editori tradizionali e non capisco certe pagine letterarie di internet in cui si afferma che, se ti paghi la pubblicazione, non è un libro. Credo al contrario che dovrebbero dedicare una parte del loro spazio proprio a questi libri. E credo che oggi, quando tutto sta cambiando, anche i giornali dovrebbero farlo, mentre continuano a inseguire le solite operazioni commerciali. Su internet ci sono molte pagine che ti dicono subito: “Se tu hai pagato per pubblicare questo libro non è un libro!”
Credo che ciò sia legato a una concezione dell’editoria antecedente a internet, quando gli editori erano l’unica alternativa. Oggi che negli Stati Uniti i libri autopubblicati hanno superato i libri pubblicati dagli editori in un rapporto di dieci a uno, è ovvio che questo discorso non si può più fare. E’ un’assurdità.
Sono d’accordo con te e mi stupisce che una pagina letteraria su internet dica: “Noi ci occupiamo solo dei libri pubblicati dagli editori tradizionali”. E questo in nome di una serietà che non esiste, visto che poi li devi portare in tribunale perché ti paghino i diritti d’autore. Senza parlare della supposta qualità degli editor. Io ne ho conosciuti alcuni: qualcuno sa di che cosa parla, altri se gli dici la parola “Nabokov” stramazzano e pensano che sia un bulgaro moderno.
Vladimir Nabokov
Ti volevo chiedere se riesci a vivere con i tuoi libri, ma mi pare di capire che non è cosa.
In tutto il mondo ci saranno venti persone che riescono a vivere con i propri libri.
Venti mi pare un po’ poco.
No, non è poco. Prendi un successo editoriale come Gomorra: credo che Saviano, se non avesse gli articoli ed interventi vari, potrebbe morire di fame. In Italia che possa vivere solo di vendite ci sarà Valerio Manfredi e qualche altro. Non molti. Dimmi un nome.
Moccia!
Forse, sì, ma appunto sono tre o quattro e poi quanti libri devi scrivere all’anno? Certamente c’è Camilleri. Ma è un signore che ha 86 anni e deve pubblicare 4 libri all’anno. Per vivere solo di libri ci vuole uno che venda molto, che venda anche all’estero. Certo se poi ne fanno un film, se vai alla televisione e ti fanno fare un programma di dodici puntate, se scrivi gli articoli e per ognuno ti danno 500 cento, o mille euro. Ma solo di libri in ogni paese sono pochissimi quelli che possono viverci.
I tuoi libri sono tradotti in francese, tedesco e spagnolo: come ci sei riuscito senza un editore?
Non tutti, in realtà il mio grande best seller è stato Il nostro agente in Giudea che vinse il premio Scerbanenco come miglior poliziesco dell’anno. Io non sapevo di aver scritto un poliziesco. E’ una storia di Gesù Cristo dove però si parla della relazione fra potere politico e potere religioso, cioè di come il potere politico, l’Impero Romano, cercò di sfruttare a proprio vantaggio una predicazione pacifista.
Quindi è ambientato al tempo di Gesù Cristo?
Sì, assolutamente. C’è Gesù, Ponzio Pilato, Caifa, tutto. Meno i miracoli c’è tutto.
L’hai fatto tradurre tu?
No, no. Ci fu una nota casa editrice tedesca che lo venne a conoscere attraverso una sua editor e lo pubblicò in Germania. In Francia è stato pubblicato, prima da una piccola casa editrice, poi è stato ricomprato da Gallimard che lo ha pubblicato nella collana “Policier”: un destino. In Spagna invece è stato pubblicato in una collana di libri storici. Il problema è che oggi la letteratura tende al facilone e tutto va per etichette. Un libro deve avere un’etichetta. Io dico sempre che prima o poi arriveremo al punto che uno entrerà in libreria, chiederà l’Odissea e lo porteranno al reparto “viaggi”.
Io che amo tutti i generi, trovo che il poliziesco abbia il merito di raccontare la vita, l’attualità e la realtà, proprio come ogni altro romanzo.
Ma assolutamente, ci sono dei romanzi polizieschi splendidi. Basti pensare ai primi polizieschi deduttivi, quelli di Wilkie Collins, grande amico di Dickens. Io sono un amante del genere. Quello che non mi piace è che un libro venga ridotto all’etichetta di genere.
Se oggi un editore importante ti facesse una proposta, l’accetteresti?
Ma sì, io non ho nulla contro gli editori. Sono loro che ce l’hanno con me. Se mi fanno una proposta seria non ho motivo di respingerla. Il problema è questa grande superficialità. Ad esempio i premi letterari. Io ho partecipato a vari premi letterari e ne ho vinto anche qualcuno: lo Scanno Opera Prima, lo Scerbanenco, sono stato finalista in un paio di premi e da quel momento ho smesso di partecipare perché quando ci andavo mi veniva mal di stomaco. Pensa ai corsi di scrittura creativa. E’ un ossimoro. Come fa un corso ad essere di scrittura creativa? E’ una contraddizione in termini.
Però si possono dare degli strumenti per imparare a scrivere…
Quello è un corso di scrittura, non di “scrittura creativa”. Io ho persino scritto un romanzino, che si chiama Corso di lettura creativa, a favore della lettura e contro la scrittura creativa. Così come Tra il dolore e il nulla era un romanzo ironico sui premi letterari.
Perché ti facevano venire il mal di pancia questi premi letterari?
All’ultimo al quale ho partecipato eravamo tre finalisti. Un giorno andammo alla stazione del luogo che ci ospitava e scese uno dei tre finalisti. Ci fu uno degli organizzatori che andò, lo baciò, lo abbracciò. Mia moglie disse: “Ah guarda, quello è il vincitore del premio”. Quando arrivò la fase finale, con il teatro affollato e la giuria popolare, sul palcoscenico avevano messo un grande cartello con su scritti i nomi dei tre finalisti. Per ogni scheda dovevano mettere una x sotto il votato. Invece hanno raccolto tutte le schede, non le hanno lette, dopo di che hanno detto: “Tal dei tali”, quello della stazione, “dodici voti. X e Y sei voti a testa”. Avevano i foglietti, avrebbero dovuto aprirli e leggerli, invece no. Insomma nei premi letterari succedono cose patetiche. Se uno guarda a che cosa si è ridotto lo Strega, con quei poveri disgraziati che devono andare in giro a fare i piazzisti.
Questo è il destino degli scrittori, andare in giro come piazzisti. Oggi molti lo fanno.
Io no. Forse uno a trent’anni, o a quarant’anni può pagare certi prezzi. Io ho settant’anni.
Credo che questo prezzo lo paghino volentieri perché fa parte dell’egocentrismo dello scrittore. C’è un compiacimento nell’an-dare a incontrare il pubblico nelle librerie, nel firmare il proprio romanzo, o l’autografo.
Quindici giorni fa sono stato in Francia perché mi avevano invitato ad un festival che si chiama “Letteratura e giorna-lismo”. C’era Claudio Magris, abbiamo parlato di libri, ci siamo molto divertiti, abbiamo fatto qualche conferenza, abbiamo firmato libri. Va benissimo. Il problema comincia quando tu lo fai, non perché vuoi conoscere i tuoi lettori, ma perché devi competere con altri due, tre, quattro, perché devi vincere.
Come mai sei andato a vivere a Palma di Maiorca?
Io vivo all’estero da più di vent’anni. Mi sono trasferito a Madrid nel 1991, dove ho lavorato per molto tempo per giornali vari: Il Corriere, l’Espresso. Per otto anni sono stato il corrispondente del Sole 24 Ore. Sono andato anche in Brasile cinque anni, poi quando siamo tornati dal Brasile, dopo un anno siamo venuti qua a Palma di Maiorca.
E dunque da quanto vivi a Palma di Maiorca?
Due anni.
Come ti trovi?
Maiorca è un’isola deliziosa. Il clima è buono, la città di Palma è molto bella, ha un’aria quasi italiana: ricorda molto certa architettura toscana o veneziana. E’ una città di circa 400 mila abitanti in cui c’è tutto ma al tempo stesso è facile e comoda da vivere. Inoltre ha il vantaggio di essere abbastanza lontano dall’Italia.
Una stupida avventura
di Livia Russo
C’è l’Italia dei due conflitti bellici, poi quella della ripresa e del boom economico, quindi quella che attende con speranza il terzo millennio. Queste e tante altre Italie ci racconta lo scrittore Franco Mimmì nel suo romanzo Una stupida avventura, ripercorrendo le tappe della famiglia Russo dall’emigrazione verso il nord di Rosalia e Vincenzo, ai soldi facili negli anni Sessanta del figlio Vittorio, fino alla vita della nipote Rosanna in un mondo che cambia ogni giorno.
Il giornalista e scrittore bolognese mette nel suo romanzo quasi cent’anni di storia, società e musica italiana. I Russo hanno vizi e virtù come tutti e la loro saga familiare si sviluppa tra tradimenti, fallimenti, amori e successi. Le canzonette sanremesi, le loro vittorie e sconfitte nella manifestazione canora del bel Paese, sono lo sfondo musicale della famiglia. Solo Rosanna, l’ultima nata Russo, si distacca dal coro delle persone “normali”.
Rosanna non incarna quel topos abituale degli adolescenti, avventurosi, sfrontati, sprezzanti del pericolo ed amanti della vita. I suoi giorni passano in sordina, le vittorie non la entusiasmano, le sconfitte non la scalfiscono. Neppure il sesso, o la possibilità di un amore, o di un matrimonio, sembrano attirarla e provocarle piacere. A nulla valgono le continue pressioni da parte dei suoi genitori, Vittorio e Amalia, per farla studiare, lavorare, viaggiare. Rosanna sa di non avere attitudini, né talenti particolari e non si vergogna nell’autodefinirsi mediocre: “Non vedo lo scopo di alzarsi presto per quarant’anni e produrre mediocrità”. L’unico passatempo per abbattere la noia è quello di leggere: ecco perché Rosanna conosce molti autori e molti libri. Questa sua cultura, seppur nata fuori dalle mura scolastiche, le consente di confrontarsi con persone più istruite di lei, come il nobile inglese Sir Percy che prova quasi rabbia per l’intelligenza, secondo lui completamente sprecata, della giovane donna. Quello di Rosanna è un sapere tranquillo, senza egocentrismi.
L’autore non ci dipinge Rosanna come una disillusa, né come astiosa nei confronti della vita. A tutti capitano dei momenti in cui la vita sembra senza significato; Rosanna semplicemente ha questa convinzione sin dall’infanzia. Eppure non c’è tristezza in questo racconto: la vita sarà anche stupida, ma sicuramente l’autore ce la descrive in modo ritmato e brillante.
È tutto vero nel romanzo di Mimmi. Sono veri i caratteri, sono reali i personaggi e i loro impulsi, è vera la storia italiana che fa da sfondo alla vicenda, sono vere le canzoni e i film che allegeriscono e riproducono un fedele spaccato storico e sociale del nostro Paese.
L’esposizione non cronologica dei fatti spiazza il lettore solo inizialmente, portandolo poi a ballare con piacere e curiosità nella giostra della vita della famiglia Russo.