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Trovare una definizione, trovare una spiegazione alla sua pellicola è in effetti un compito astruso e, forse, addirittura frivolo. Non avrebbe senso infatti sforzarsi per chiudere in uno spazio la coscienza e la passione di un opera che, giustamente, come il titolo lascia intendere, è una sorta di melodia soave e poetica, prettamente francofona, da seguire con gli occhi e con le orecchie, alla stregua di un concerto di musica classica. Del resto, si sa, Sokurov è un anarchico, mentalmente indomabile, capace di dedicarsi a voli pindarici senza andare mai incontro al rischio di farsi male o di schiantarsi completamente. Il suo è un cinema customizzato su corde personali, per cui inimitabile da chiunque, e se ci si accosta bisogna già essere preparati a qualcosa di particolarissimo. Particolarissimo come filmati di repertorio, immagini e personaggi storici, reinterpretati, che riescono a convivere organicamente, sulla stessa scena, senza creare alcun disturbo visivo o stonature. Particolarissimo come Napoleone che vaga fiero intorno al Louvre, incensandosi per ciò che è visibile tra quelle mura grazie ai suoi sforzi, dividendo la scena (e i dialoghi) con Marianna di Francia, ma senza nulla togliere ai veri protagonisti Jacques Jaujard e il Conte Franziskus, rispettivamente direttore del Museo del Louvre dal tempo di Guerra il primo e gerarca nazista, incaricato dei beni artistici da Hitler in persona il secondo. Una collaborazione su cui si è speculato molto, eppure da considerarsi meno aspra e tesa del previsto.
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Nulla di strano, dunque, se impalpabile ci sembrerà, alla fine, ciò che abbiamo vissuto, o se intricato ci apparirà esprimere quel che abbiamo visto. Perché l'importante è che quella sensazione di idolatria che ha rapito Sokurov e che lui, a suo modo, ha provato a ricostruire dentro di noi, si sia fatta largo, segnando quella traccia indelebile commissionata in principio.
In fondo come dargli torto: chi la vorrebbe una Francia senza Louvre, o una Russia senza Ermitage?
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