Victor Frankenstein (che vi giuro è fastidiosissimo da scrivere) è un giovane studente d’ingegneria biomedica e da grande vorrebbe progettare le sorpresine dell’ovetto Kinder. Me è il 1914 e nessuno gli ha detto che la Ferrero non ha ancora aperto. Così, una volta laureato, si ritrova senza lavoro e senza un soldo. E abita in Germania mica in Italia! (Si lo so, il romanzo originale è stato scritto circa un secolo prima, ma sapete c’è una cosa che si chiama “licenza poetica” che è un modo carino per dire ‘STICAZZI).
Così, sfiduciato e depresso, Victor comincia a frequentare ambienti anarco-insurrezionalisti: leghisti, fascisti, animalisti, integralisti, interisti e grillini. Tutte categorie di persone escluse dalla normale vita sociale.
Inizia ad odiarsi e avvia un processo di autodevastazione neuronale: alcol, Nutella, Ecstasy e film di Siani. Passa i suoi pomeriggi davanti la televisione, Barbara D’Urso diventa il suo sogno erotico e per essere invitato in studio da lei decide di compiere un omicidio eclatante uccidendo qualche vip come, che so, l’Arciduca d’Austria. Ma Gavrilo Princip, anche lui animalista e grillino, gli ruba l’idea e fa scoppiare la prima guerra mondiale.
Victor è contento, almeno adesso ha uno scopo e qualcosa da fare, per cui interrompe la modalità carriera a Fifa e parte per il fronte, destinazione le ridenti foreste delle Ardenne.
Vien fuori però che le Ardenne fanno ridere molto poco, anche meno di Colorado Cafè, e Victor si ritrova tra fango, sangue e cacca. Chissà perché nei film di guerra si vede sempre molto fango, poco sangue e niente cacca, ma la cacca ha un ruolo preponderante in guerra, soprattutto in trincea. Non scherzo mica. La guerra al cinema è una figata tipo Black Hawk Down o The Sniper, invece nella realtà è un gran fastidio tipo campeggio, ma senza straniere in tenda.
Una notte, al buio totale per non farsi scorgere dai fucili del nemico, Victor se ne sta buttato in trincea a contarsi i peli del culo perché i passatempi veri li ha finiti verso il trentaseiesimo compagno morto. Mentre è ancora a metà chiappa destra, l’occhio gli cade su un pezzo di dito nel terreno. Sembra essere l’anulare di Fritz che proprio l’altro giorno, per festeggiare carnevale, è esploso in mille coriandoli di carne a causa di una granata francese. Cazzo gli manca Fritz, sapeva un sacco di barzellette sui canadesi. Poco più in là, ben stretto in un sacco, c’è quel che rimane di Karl, che invece si era sporto troppo dalla trincea per staccare un paio di more da un cespuglio. In realtà ci sono un bel po’ di sacchi con dentro cadaveri ancora da seppellire: Otto, Kranz, Yokeim, Franz, Fredo, Lothar, Arne… Che nomi idioti che hanno i tedeschi!
Eppure tutti quegli amici gli mancano. Ed è qui che arriva il genio: cosa crei quando hai un sacco di carne morta, una laurea in ingegneria biomedica e tanto tempo a disposizione? No, non la Simmenthal imbecilli, ma un amico! Crei un amico simpatico con cui fare gare di rutti e a cui dare la colpa dopo che hai toccato il culo a una signora.
Fu così che Victor Frankenstein realizzò il suo personalissimo Art Attack V.M. 18, che con uno slancio di pura fantasia e originalità chiamò Frankenstein.
Finita la guerra, Frankenstein, la creatura, divenne famoso grazie a un paio di film degli anni ’30, mollò il suo amico/creatore e si diede alla bella vita di Hollywood.
Morì nel ’56 sniffando cocaina sul petto di Greta Garbo.
Anche lei in certi film pareva un po’ carne morta.
di Marco Improta All rights reserved