In realtà, sembra dire Tim Burton, non è l'accesso facilitato a una tecnica a vanificare il proprio intervento sul mondo. Semmai, è l'inconsapevolezza a scongiurare qualsiasi equilibrio, il consumismo divora anche la facoltà insperata di donare la vita e se ne può fare una questione di dimensioni, di massa, perdendo - con la magia - la ricchezza di un atto fondante e conoscitivo. Ottima, perciò, su questa cultura accecata dai risultati, la sintesi di Mr. Rzykruski (doppiato nella versione originale da Martin Landau).
Alla gente piace quello che la scienza dà, ma non le domande.
Sul fondale di cartapesta di Edward mani di forbice, nel consueto e sempre più denso gioco citazionistico, Tim Burton dà vita a un lungometraggio profondo, efficace e incisivo. In una climax a tratti micidiale, vengono tratteggiati tipi umani più o meno legati alla letteratura, ma tutti egualmente riconoscibili. Come a colloquio con tutti i mostri della modernità, non è la morte a risultare inaccettabile, bensì il proprio bisogno di chi ci ha lasciati o il desiderio di superare gli altri in un impietoso gioco al massacro tra (ancora) vivi. Come in Beetlejuice e altrove, spesso è proprio la morte a non trovare spazio né speranza di essere compresa in sé: l'onnipotenza fervida e spericolata della scoperta ha lasciato il posto a un (tutto sommato innocuo) tasto di reset, a una vita rimediata tutta toppe, ganci, carrucole, finché tiene. Se ne renderà conto anche Victor, nel suo amore sincero e schivo per Sparky: non era quello che voleva.