Frankenweenie di Tim Burton

Creato il 23 maggio 2013 da Spaceoddity
Un giorno, a scuola, il piccolo Victor apprende dal suo nuovo maestro di scienze, l'impronunciabile Mr. Rzykruski, a sfruttare le energie residue nei cadaveri per ridonare loro in qualche modo la vita. Il ragazzo decide così di provare sul suo povero Sparky, un cagnolino morto in un incidente, per riavere indietro l'unico compagno di giochi. Victor, infatti, è poco socievole e la morte del cucciolo ha aggravato il silenzio nei confronti della vita. L'esperimento riesce, ma un compagno del ragazzo, il più infido, scopre il segreto e lo spiffera ad altri, sì che una sinistra pratica cimiteriale si diffonde troppo e una gara di scienze diventa una rincorsa a chi osa di più.

Frankenweenie (2012) è un nuovo capitolo della riflessione di Tim Burton sul mito di Frankenstein. Il regista californiano mette a segno una sintesi eccellente di quello che finora ha costruito intorno alla dimensione demiurgica dell'esistenza (non dimentichiamo che Frankenstein, nelle parole della stessa Mary Shelley, è il Prometeo dell'Ottocento, e l'Ottocento l'aurora di una nuova epoca). È vero che questo scricciolo di Frankenstein che è Victor applica alla lettera e senza troppa difficoltà una nozione: voglio dire che non c'è una vera scoperta, quella scossa elettrica dell'indagine e del risultato viene sostituita da una prassi fredda e impersonale. Se il genio diventa solo abilità del più bravo della classe, forse l'agire perde valore.
In realtà, sembra dire Tim Burton, non è l'accesso facilitato a una tecnica a vanificare il proprio intervento sul mondo. Semmai, è l'inconsapevolezza a scongiurare qualsiasi equilibrio, il consumismo divora anche la facoltà insperata di donare la vita e se ne può fare una questione di dimensioni, di massa, perdendo - con la magia - la ricchezza di un atto fondante e conoscitivo. Ottima, perciò, su questa cultura accecata dai risultati, la sintesi di Mr. Rzykruski (doppiato nella versione originale da Martin Landau).
Alla gente piace quello che la scienza dà, ma non le domande.
Sul fondale di cartapesta di Edward mani di forbice, nel consueto e sempre più denso gioco citazionistico, Tim Burton dà vita a un lungometraggio profondo, efficace e incisivo. In una climax a tratti micidiale, vengono tratteggiati tipi umani più o meno legati alla letteratura, ma tutti egualmente riconoscibili. Come a colloquio con tutti i mostri della modernità, non è la morte a risultare inaccettabile, bensì il proprio bisogno di chi ci ha lasciati o il desiderio di superare gli altri in un impietoso gioco al massacro tra (ancora) vivi. Come in Beetlejuice e altrove, spesso è proprio la morte a non trovare spazio né speranza di essere compresa in sé: l'onnipotenza fervida e spericolata della scoperta ha lasciato il posto a un (tutto sommato innocuo) tasto di reset, a una vita rimediata tutta toppe, ganci, carrucole, finché tiene. Se ne renderà conto anche Victor, nel suo amore sincero e schivo per Sparky: non era quello che voleva.

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