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Torna dritto alle origini con "Frankenweenie", a quando ancora era un regista emergente e cercava l'opportunità di mettersi in mostra. Si tratta di uno dei suoi primi corti, girato in bianco e nero e adesso riesumato e ampliato per diventare a tutti gli effetti un lungometraggio d'animazione in stop motion. Una manovra semplice per il regista, che sicuramente non apporta niente di nuovo al suo cinema e/o alla sua immagine e si accontenta di essere esclusivamente storia dolce e divertente che conquista a più non posso ma senza appassionare.
Potrebbe chiamarsi tranquillamente "ordinaria amministrazione", l'operazione compiuta da Tim Burton attorno a "Frankenweenie". C'è il suo intero universo nel cerchio degli avvenimenti che travolgono questo bambino freak, senza amici e disinteressato all'integrazione, che a seguito della sfortunata morte del fedele cane Sparky trova da una lezione di scienze l'intuizione per riportarlo in vita cercando di mantenere il tutto “strettamente” riservato. Un’impostazione discreta, utile ad intavolare una serie di eventi grotteschi e divertenti e contemporaneamente andare a toccare argomenti quali la crescita e la perdita in giovane età. Eppure a venir fuori meglio da questo quadro generale sono i tanti omaggi che Burton regala al film e a sé stesso: ne allestisce a raffica, dai nomi dei personaggi alle loro rappresentazioni, da immagini di film che passano alla televisione a quelli proiettati nei cinema, molti esplicitamente presi da vecchi horror, ovviamente, altri da titoli che lo hanno in qualche modo influenzato da quando era bambino sino a quando è divenuto, poi, la figura che noi tutti conosciamo.
Tuttavia da lui ci si aspettava chiaramente di più. Un esercizio di stile non basta per guadagnare il totale assenso da parte degli affezionati, serviva uno sforzo maggiore, un colpo di coda che dilatasse la sua rivincita sulla Disney a una rivincita anche personale. Invece Burton stavolta non rischia - a parte l'aver realizzato un film d'animazione lontanissimo dal pubblico di riferimento e consigliabile maggiormente agli adulti – e perciò, a restare a galla, è moltissima delusione. Che fine ha fatto il regista di "Edward Mani di Forbice" e di "Big Fish"? Quando tornerà a stupire e a commuovere come tanto bene prima sapeva fare?
Le sue ultime uscite, in realtà, proprio su questo fronte sembrano aver aperto qualche spiraglio. "Dark Shadows" e "Frankenweenie" sono due lavori che probabilmente servivano più a lui per riprendere contatto con qualcosa da cui troppo si era allontanato che a noi, ma è evidente che andando avanti la paura di non rivederlo in grande spolvero aumenti e, in qualche modo, prenda sempre più corpo. E allora la domanda sorge spontanea: il ritorno alle origini oggi completato sarà sufficiente a far tornare nuovamente Tim Burton quel meraviglioso regista che era una volta? Oppure di lui rimarrà solamente un lontano ricordo che il tempo sbiadirà convertendolo fino al bianco e nero?
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