Franti, tu uccidi tua madre

Creato il 15 gennaio 2014 da Abattoir


La povera donna, sospinta affettuosamente dal maestro, è uscita. C’è stato un momento di grande silenzio. Richiusa la porta, il maestro ha guardato Franti con uno sguardo terribile e gli ha detto, scandendo le sillabe: «Franti, tu uccidi tua madre, tu uccidi Malfatti». Tutti ci siamo voltati verso di lui; e quell’infame ha sorriso

(E. De Amicis, Cuore)

“Quando andavo alle scuole elementari, ogni mattina, la mamma mi preparava un panierino per la colazione. Non provenivo da una famiglia ricca, mia madre faceva la governante e non mi faceva mancare niente. Mio padre era già morto in guerra da due anni e io avevo da poco iniziato la terza elementare. 

Nessuno poteva accompagnarmi a scuola, quindi ogni giorno incontravo Maria, la mia compagna di classe dirimpettaia, per non fare la strada da sola. Ci vedevamo all’angolo tra via Dante e piazza Virgilio e durante il tragitto verso scuola passavamo per via Filippo Parlatore e lì, alle otto meno un quarto circa, c’era sempre un delicato odore di crema pasticcera. Maria lo trovava irresistibile e quasi ogni giorno entrava a comprare una krafen, uno dei miei dolci preferiti che da bambina chiamavamo ‘graffia’.

Io non avevo mai soldi nel mio cappotto ma sotto il braccio tenevo il panierino e questo mi bastava. Maria teneva in mano quel dolcetto avvolto dallo zucchero, ripieno di crema e mi chiedeva sempre, ogni mattina: «Ne vuoi un pezzo?». Dentro di me ero combattuta, avrei tanto voluto assaggiare quella delizia appena sfornata. Non avrei mai potuto fare una cosa simile a mia madre. Io avevo la colazione che mi aveva preparato e il rispetto per il suo lavoro e i suoi sacrifici non mi facevano vacillare mai. Pensavo al mio libro preferito, Cuore di De Amicis, avevo di fronte a me l’umiltà del muratorino e l’amore di Precossi per suo padre. I miei eroi erano il piccolo scrivano fiorentino e l’infermiere di Tata e loro non avrebbero mai umiliato i propri genitori. Accettare quel pezzetto di krafen rappresentava un compromesso troppo grande con la mia coscienza. Sarebbe stato come fare l’occhiolino al Franti, il miserabile irrispettoso ed egoista, colui che pensa al proprio divertimento senza tenere conto dei sacrifici che gli altri fanno per lui. Per questo ho sempre risposto: «No, ti ringrazio, sei molto gentile ma vedi, ho già la colazione».

Anche nelle ristrettezze economiche e nelle fatiche quotidiane, la mia anima era salva. Soltanto così avrei potuto continuare a portare dentro il mio cuore i miei eroi e l’amore di mia madre”.

Questo episodio è uno dei tanti che mia nonna raccontava quando ero piccolo ed era sempre felice ed orgogliosa nel ricordarlo.

Il Libro Cuore era uno strumento ideologico molto potente, una macchina-da-anti-guerra, una panacea benevola contro ogni frustrazione e miseria. Un libro in cui anche i più poveri e disgraziati trovavano il loro riscatto alienando le proprie infelicità nei grandi valori della Patria e della Famigia, quelli che poi sarebbero divenuti i capisaldi del regime fascista.

Leggere il Libro Cuore oggi mi fa capire molte più cose sui miei nonni e sul mio passato. Mostra in modo chiaro quale fosse l’immaginario collettivo del periodo post-Unità, in cui i regionalismi erano molto radicati e non si capiva bene ancora cosa fosse l’Italia unita ma si iniziava a morire in guerra per essa.

Rileggere De Amicis è fondamentale per comprendere la prima metà italiana del secolo scorso e per comprendere anche buona parte del presente.


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