Un libro difficile. Gremito, pieno, straripante. Impossibile non subirne il fascino, impossibile impedire che le molteplici emozioni racchiuse all'interno di un capolavoro narrativo di tale portata ti travolgano.
I Quaranta Giorni del Mussa Dagh è il libro testimonianza del genocidio armeno, compiuto dai Turchi nel 1915.
Il suo autore, Franz Werfel, iniziò a scriverlo nel 1929 a Damasco, dopo aver assistito a uno spettacolo orripilante: bambini mutilati e feriti costretti a lavorare nelle fabbriche di tappeti.
Bambini sfuggiti a un tremendo destino, che ha inghiottito un'intera popolazione, contribuendo e quasi riuscendo a farla sparire nel nulla.
Franz Werfel non ce la fece a passare d'avanti a questa scena, a dimenticarsene, per cui scrisse la cronaca di quei quaranta terrificanti giorni, che cinquemila armeni vissero accampati sul Mussa Dagh, la montagna che dipingeva silente lo sfondo di tutta la loro vita prima dell'ordine di deportazione.
La vicenda del popolo armeno non è artificiale: dopo la prima campagna contro gli armeni voluta dal sultano ottomano Abdul - Hamid II nel 1895, le persecuzioni contro gli armeni non terminarono qui, anzi: tra il 1914 e il 1915 più di un milione e mezzo di cristiani armeni furono deportati e sterminati, per opera del potente impero ottomano.
Il periodo storico che fece da sfondo a questa immensa tragedia, la quale appare solo un'assaggio di quello che dopo trent'anni accadrà proprio in Germania, paese natale dell'autore di questo libro, è il periodo più cupo della storia mondiale.
L'Europa sconvolta dalla guerra, nessun paese risultava un luogo sicuro, ma meno che mai la Turchia.
Il sultano turco, capo dell'impero ottomano, decretò che tutto il popolo armeno dovesse subire la deportazione.
" La mèta della deportazione è il nulla", scriveva nel suo decreto.
Il motivo di tutto questo odio, oltre alle differenze religiose e culturali, era la presunta alleanza del popolo armeno con la grande nemica, la temibile avversaria dell'impero ottomano: la Russia.
Mentre centinaia di migliaia di persone sparivano nel nulla, tutta l'Europa, troppo occupata a combattere guerre insensate, rimaneva ignara della terribile sorte di un'intera popolazione.
Ma c'era chi voleva, doveva, resistere: sette paesi popolati da armeni che vivevano tranquillamente ai piedi del Mussa Dagh, decisero di ribellarsi a questo destino infame.
Le voci correvano velocemente, per cui la popolazione sapeva quali abusi avrebbero subìto, quando gli zaptiè del sultano si sarebbero presentati alle loro porte.
Sapevano che la loro sorte era stata già scritta: dovevano morire tutti, di fame, di sete, di stenti, durante la deportazione.
Gli armeni furono costretti a percorrere centinaia di chilometri di deserto: i pochi che riuscivano a sopravvivere, senza cibo né acqua per giorni, costretti ad abbandonare i cadaveri dei più deboli senza potergli concedere una degna sepoltura, arrivavano nei campi di concentramento, dove il trattamento non migliorava affatto.
Il popolo del Mussa Dagh, circa cinquemila anime, aderì alla proposta di un cittadino armeno: rifugiarsi sulla montagna, che loro conoscevano bene, e resistere fino alla morte.
Il romanzo di Werfel descrive intimamente ogni singolo giorno di questa avventura. Vengono affrontati temi di grande rilevanza, l'animo umano scandagliato fino all'inverosimile.
Leggendo questo libro ci si sente totalmente proiettati nella storia, si assiste alla costruzione delle capanne, all'addestramento dell'esercito di difesa, alle riunioni del consiglio dei capi, alle vicende che coinvolgono tutti i protagonisti di questo romanzo.
Durante le battaglie contro i Turchi è impossibile non trattenere il fiato: le difese armene sono limitate, l'esercito tirato in piedi in pochi giorni non è composto da guerrieri esperti, le munizioni e le armi sono davvero scarsissime.
Sembrerebbe una situazione senza via d'uscita, eppure le tattiche e le strategie escogitate dal capo dell'esercito di resistenza armena fanno in modo che tutte e tre le battaglie e gli attacchi del nemico falliscono.
Questo è un libro edificante, che andrebbe non solo consigliato a tutti i lettori curiosi, ma anche ai più giovani. Rispecchia la vittoria di un popolo pacifico, la resistenza di uomini disperati, la cattiveria della politica e della corruzione morale che ormai regna sovrana al di sopra del vivere civile.
Questo è un libro che fortifica l'anima, oltre a far commuovere ed emozionare, è un gioiello della narrativa tedesca che ebbe molta fortuna intorno al 1933, ma che nel mondo contemporaneo è quasi del tutto sconosciuto.
È un libro che riporta l'attenzione sugli abusi di una politica che, prima ancora di poter anche solo immaginare l'Olocausto commesso da Hitler, ha fomentato il clima di terrore e il sentimento d'odio.
Risulta inaccettabile, per chi scrive, che letture come I quaranta giorni del Mussa Dagh scivolino nel dimenticatoio.
Perché la storia, maestra di vita, possa essere realmente l'esempio da seguire.
Per non commettere mai più simili ingiustizie e ricordare per sempre il coraggio e l'onore di tutti i popoli che si oppongono a tali vessazioni.