In ogni caso, con loro puoi sempre contare su un bel caminetto acceso, un finale rassicurante che punisca il colpevole, su qualche “buono” che goda di un meritato risarcimento, e soprattutto sul fatto che il delitto non rimanga mai impunito.
Con Fred Vargas le cose, invece, cambiano di molto. Se la Christie si faceva appena sfiorare dalle novità e dalle inquietudini della “swinging London” di fine anni ‘60, per rimanere ben salda nella sua mentalità, come in un corsetto vittoriano, Fred Vargas (pseudonimo di Frédérique Audouin-Rouzeau) si fa avvolgere completamente dalla contemporaneità e dai suoi continui cambiamenti di codice.
Di questa scrittrice francese sappiamo anche che è archeologa e medievista. E in effetti una sua particolarità è quella di coniugare passato e presente, o meglio di rendere attuale un fatto del passato e di rendercelo attraente, ma insieme pericoloso come se fosse accaduto oggi.
Non si tratta però della ormai nota e consolidata ricetta “delitto ambientato nel passato”, genere ormai fortunato quanto a volte scontato. Ad esempio, nell’ultimo romanzo, intitolato La cavalcata dei morti (Einaudi 2011), il passato entra all’inizio quasi in sordina, nei racconti apparentemente poco attendibili di una donna scialba e impaurita. Ma sarà la sua paura a colpire ed interessare il commissario Adamsberg. Proprio lui, che è da decenni nella polizia di Parigi e ne ha viste di tutti colori, nella professione come nella vita, si fa avvincere da quella che è una delle emozioni più forti, nel bene e nel male. E così dà valore e credibilità ad un’antica leggenda normanna, che parla di una schiera malvagia (e ci vengono in mente le cattive schiere di Dante) che nei boschi continua a perpetuarsi e a ripetere come una sorta di espiazione antichi delitti (e la memoria letteraria ci riporta un medioevo a tinte forti, quello del Carbonaio di Niversa).
Ma uno dei tratti più interessanti sta, secondo me, nel fatto che il commissario Adamsberg si avvicini ai casi da risolvere come se dovesse riempire un suo vuoto personale, come se risolvere il caso non sia semplicemente un dovere della sua professione, ma un’esigenza profonda del suo essere:
Quella gita nella foresta non era più soltanto un tacito dovere che si sentiva vagamente in obbligo di assolvere nei confronti della donna, ma una fuga salutare. Immaginava l’odore del sentiero, le ombre, il morbido tappeto di foglie sotto i piedi…
Procedendo tra le proprie esitazioni ha il tempo di ascoltare la saggezza antica degli sconosciuti:
Ci sono molti piccoli dettagli, ha notato? E dato che ogni dettaglio non si ripete mai uguale e mette in moto altri dettagli, le conseguenze arrivano lontano.
Le conseguenze arrivano lontano e da lontano: tanto che nel nucleo centrale di questo romanzo la Vargas va a collocare una leggenda studiata da uno dei più grandi storici delle idee, e cioè Carlo Ginzburg, in uno dei suoi saggi più affascinanti e caratteristici, Storia notturna. Mi piace imbattermi di nuovo in questo studioso, che fa storia delle idee per fare ‘storia degli uomini’. E non è un caso che la Vargas lo abbia accolto tra i suoi nuclei ispiratori: nel fondo cupo di ogni ricerca di Adamsberg, di ogni caso sciolto e rivelato, si cela un mistero umano che ci riguarda tutti, un luogo incerto (titolo di un suo bellissimo romanzo), mai rassicurante, che non potrà mai ripetersi uguale a se stesso.
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