Free to Play: The Movie – Speciale
I videogiochi per molti anni sono stati bollati come un mero passatempo per bambini, e nella loro crescita perfino potenzialmente dannosi, portando difficoltà sociali e di aggregazione con gli altri. Fiumi di inchiostro e di battute di tastiera hanno inquisito quella che ad oggi è l’industria dell’intrattenimento più importante e proficua del mondo, ma aldilà di tutto questo, oggi esistono milioni di videogiocatori in tutto il mondo che credono che il loro passatempo preferito è una vera passione oltre ad essere fonte di creatività, arte e sviluppo per il futuro. C’è stato anche chi ha inteso il concetto di videogioco come un vero e proprio sport, come fece Atari nel 1980 negli USA organizzando il primo torneo di Space Invaders chiamando a competere più di diecimila giocatori, ma solo negli ultimi dieci anni si è vista una rapida evoluzione del concetto di sport elettronico. Brevemente chiamati e-sport, hanno il loro principio ufficiale nel mondo sportivo nelle Olimpiadi di Seoul, con una competizione parallela denominata World Cyber Games.
Correva l’anno 2000 e questa competizione fu destinata a ripetersi con un ciclo annuale, dando vita ad altre competizioni ancor più note come l’Electronic Sports World Cup confermando in tantissime nazioni che giocare ai picchiaduro, giochi di guida, RTS e altri ancora, scelti per l’occasione, non era più solo un passatempo, ma uno sport vero legato a competizioni internazionali aventi spesso dei generosissimi montepremi.
Una moltitudine di competizioni private e sponsorizzate da varie case produttrici e di sviluppo sono in seguito nate, con successo in ogni parte del mondo, ma una svolta più significativa si è verificata nell’anno 2011, quando Valve Corporation decise di tenere una grande competizione mondiale chiamata The International, avente come disciplina DOTA 2, un MOBA distribuito in digitale e nel formato free-to-play. Il punto focale di questo campionato è un montepremi di quasi 1,6 milioni di dollari, con un merito assoluto riconosciuto al primo classificato di un milione di dollari. Con una cifra simile, la vita di moltissime persone potrebbe davvero cambiare in relazione all’esistenza condotta, come Valve ci vuole mostrare nel suo film Free to Play, illustrandoci la vita dei top player che hanno raggiunto il podio della competizione The International del 2011.
In quello che noi abbiamo concluso nel definire un vero e proprio documentario sugli e-sport, Free to Play racconta dunque una parentesi di vita dei giocatori che sono a capo dei team che hanno vinto la competizione di Valve:
- Dendi, alias Danil Ishutin, ucraino che capeggia i Na’Vi (Natus Vincere), possiede destrezza e riflessi da ex pianista, elabora il lutto del padre e decide di voler primeggiare in diverse discipline artistiche e sportive, ma con un’eccellenza per i videogiochi poi scopre Dota2;
- HyHy, alias Benedict Lim, di Singapore, è il campione della Electronic Sports World Cup del 2008, con la sua squadra Shythe cerca di dare giustizia alla sua relazione sentimentale ormai a rotoli e agli esami universitari che rimanda a causa di Dota 2. Un milione di dollari metterebbe tutte le cose al posto giusto;
- Fear, alias Clinton Loomis, dell’Oregon, è il top player del team Online Kingdom, ha avuto una vita difficile e isolata, sorte che capita ai giocatori che negli Stati Uniti primeggiano negli e-sport.
Quello che abbiamo riportato sopra, non sono altro che dei piccoli plot narrativi utilizzati dagli sceneggiatori per raccontarvi le diverse esperienze di vita che in diverse parti del mondo vedono l’ottica degli e-sport. Il documentario di Free to Play mette in mostra la competizione (pubblicizzando le produzioni di casa Valve), ma con discreti risultati anche i risvolti sociali che hanno oggi i videogiochi in una realtà che forse nel Vecchio Continente appare ancora surreale e post futuristica. Delinea in modo corretto che il gioco online può essere una grande risorsa, ma anche una grande illusione se visto come “via d’uscita” ai problemi della vita di tutti i giorni. Free to Play non è più una formula di gioco, bensì uno status ricercato dal giocatore che si trova ad inseguire i propri sogni per sentirsi libero. Quello mostrato in circa un’ora e mezza è una competizione accesa che gli appassionati del genere sicuramente hanno vissuto, o seguito nel 2011, ma che chiunque dovrebbe vedere per prendere atto di una realtà videoludica così importante che in un futuro abbastanza prossimo coinvolgerà sicuramente tutte le generazioni di giocatori a venire.