E stato [ri]lanciato la scorsa settimana YOUng, forse il primo social paper al mondo. Una piattaforma digitale che integra l’esperienza d’uso di un giornale online con quella di un social network tutta italiana.
Tra le diverse caratteristiche d’interesse un nuovo modello di business, finalmente non basato sulla pubblicità, fondato su l’idea di freemium e couponing per generare revenues. Per approfondire ho intervistato[*] Germano Milite fondatore della testata.
1) YOUng per una testata è un nome che richiama i giovani ma non solo. Come nasce la scelta dei questo [news]brand?
In realtà YOUng è l’unione di due parole. O meglio, di una parola e di un acronimo: YOU, che sta appunto ad indicare la personalizzazione, il “tu” appunto messo al centro del sistema, visto che il progetto dipende da sempre dal sostegno economico di chi lo segue. Poi c’è “ng”, che sta per “new generation”, ovvero per una nuova generazione di professionisti dell’informazione, esperti conoscitori del mercato digitale e della comunicazione online. Insieme, si legge quindi “YOUng”, che sta per “giovane”. Ci tengo però a precisare che il concetto di giovane è inteso come approccio e filosofia generale, come guizzo deciso e coraggioso verso il nuovo. Non è banalmente collegata all’età degli autori e dei fondatori e lo dimostra la composizione anagraficamente molto eterogenea della nostra redazione giornalistica e degli autori del blog: ci sono under 30, under 20 ed over 50. Che, fuor di retorica e di giovanilismo spiccio, sono un convinto e concreto sostenitore del cosiddetto “patto generazionale”, dove esperienze ed entusiasmi diversi si mescolano per darsi reciprocamente qualcosa di importante.
2) YOUng unisce la formula d’abbonamento freemium al couponing per generare revenues. Un modello di business decisamente non ordinario. Spiegacelo meglio.
Certo: In pratica, grazie anche ad un sistema di gamification, noi siamo in grado di restituire indirettamente l’intera somma versata dai nostri lettori/sostenitori grazie a dei crediti virtuali [gli “YP”] che retrocediamo in cambio o della donazione e/o, appunto, dell’azione di gamification [es condivisione di un articolo, completamento del proprio profilo, invito di un amico ad iscriversi ecc]. Questi crediti servono per acquistare i coupon di sconto offerti dai nostri partner. Esempio: Tizio ci dona 5 euro, riceve 5 crediti e può scaricare il coupon da 2,50 crediti per ottenere un gelato in omaggio. Da settembre, inoltre, attiveremo anche il servizio freemium, con articoli riservati solo ai nostri lettori/sostenitori, ovvero a coloro che effettueranno una donazione per sostenere il nostro lavoro.
3) Gamification e una community interna al giornale. Anche questa è una scelta che in Italia si è vista poco o nulla. I motivi.
Prima di tutto, a mio avviso, perché chi opera nel nostro settore è tendenzialmente un analfabeta digitale, che quando sente il termine “gamification” non sa assolutamente cosa significhi. Il resto è composto da conformisti cronici senza idee e grandi editori che, per motivi intuibili, hanno molte difficoltà ad innovare sul serio [Rcs ha messo le faccine del “come ti senti”, ad esempio, presentandole come grande novità per coinvolgere la “community”] e, gestendo anche l’oligopolio dell’advertising online in accordo con le grosse concessionarie ed i centri media, hanno per ora poco interesse concreto nello spingere modelli veramente nuovi. Ma qualche bell’esempio, oltre a YOUng, per fortuna c’è anche in Italia. Non parliamo ancora di gamification vera e propria, ma realtà come Lega Nerda e VVVID a mio parere sono da tenere d’occhio.
4) I have a dream. Come sarà YOUng tra 5 anni?
Bella domanda. Io spero prima di tutto che sarà internazionale, tradotto in Inglese, Spagnolo e Portoghese e che riuscirà a raccogliere intorno a sé una vera e propria comunità offline, oltre che una community virtuale. Mi auguro che YOUng, tra 5 anni, si evolva da giornale online indipendente a movimento culturale in grado di proporre quel patto generazionale di cui accennavo durante la mia prima risposta. Perché va bene leggere e condividere articoli, va bene scambiare pareri online, ma penso che il nostro obiettivo finale dovrà essere quello di affiancare all’attività editoriale di alto profilo anche gli eventi tematici, che coinvolgeranno sia i nostri partner commerciali che i nostri lettori ed i nostri autori, trasformando la pubblicità da disturbo a servizio utile per l’utente.
5) Tornando alla community interna. Perché le persone dovrebbero frequentare quella di YOUng e non Facebook o altri social?
Prima di tutto perché, oggi più che mai, i social sono spesso un ricettacolo caotico di frivolezze o di bufale o di notizie di scarso valore ed utilità. YOUng si impegna a fornire solo contenuto di alto profilo e di alto valore aggiunto per chi lo frequenta. E’ un progetto concepito, nato ed organizzato per favorire il profilare di “nicchie” organizzate al suo interno, che mira a “trattenere” i lettori trasformandoli da semplici fruitori di notizie in utenti attivi, che grazie all’interazione reciproca dentro e fuori da YOUng, possono guadagnare crediti ed ottenere quindi “ricompense”. La dinamica cui abbiamo pensato è proprio quella che ha fatto il successo di molti giochi online: tu passi tempo su YOUng, lo sostieni economicamente e ne diffondi il brand, noi ti premiamo permettendoti di accedere a contenuti e funzionalità ed offerte esclusive. Ma attenzione: noi non vogliamo certo porci come alternativa ai vari Facebook, Instagram, Linkedin, Twitter ecc. Noi rappresentiamo semmai un’integrazione, un qualcosa di diverso che non sostituisce l’esperienza social ma la rende appunto diversificata. Più “pulita” e selettiva ma non per questo noiosa o limitata.
6) Qual è la strategia di comunicazione a supporto del lancio di YOUng?
Considerando il nostro budget che rasenta lo zero, dobbiamo puntare tutto sul nostro network social pre-esistente [abbiamo circa 600.000 iscritte alle pagine facebook che promuovono YOUng] e sulle nostre competenze. Dalla prossima settimana lanceremo anche un video di promo per la campagna di crowdfunding con Marco Baldini come testimonial. Poi il consueto lavoro di ufficio stampa per farci conoscere dai media e, si spera, recuperare altre interviste come questa. In più, lanceremo l’hashtag #DipendeDaTe e regaleremo magliette ordinati su Worth Wearing con il logo YOUng e la scritta “Dipende da me” ad ogni sostenitore che ci avrà donato almeno 100 euro, invitandolo a girare un video dove dirà:”Sono Tizio e YOUng Dipende anche da me”. In questa operazione cercheremo di coinvolgere anche intellettuali, artisti e personaggi noti del web.
7) 3 cose che i newsbrand fanno bene in Italia e 3 che invece fanno male.
Ti sembrerò presuntuoso ma non riesco sul serio a trovare tre cose che i newsbrand fanno bene oggi, soprattutto considerando l’Italia. E ti sembrerò magari meno presuntuoso se ti dico che i primi ad aver fatto poco o nulla di buono fino ad un anno fa siamo stati in primis noi di YOUng. Certo abbiamo raccolto quasi 10.000 iscrizioni, lanciato diverse campagne crowdfunding di successo e collezionato 6 milioni di accessi unici nel 2014. Al di la di interviste, approfondimenti, reportage ed inchieste di qualità, però, non abbiamo prodotto nulla che non ci sia già altrove. Nulla che non si sia già visto e che, magari, in certi casi funziona pure meglio. Una prima svolta c’è stata nel 2014, con l’inaugurazione del nuovo sistema per i follower, che ha preannunciato ciò che abbiamo lanciato lo scorso 12 agosto. Se devo proprio sforzarmi, comunque, ti dico che di sicuro la profilazione degli utenti ed il tentativo di creare community interne, organizzando anche eventi, sono un buon inizio che molte piattaforme hanno preso in considerazione. Quello che fanno male? Puntare ancora così tanto su visite, click ed adv display, dipendere troppo dai social e non riuscire ad avere una linea editoriale chiara e coerente, trattando magari meno argomenti ma in maniera più approfondita e competente ed inseguendo invece i vari tormentoni viral. In generale non credo che l’informazione generalista abbia un futuro — e neppure un presente — al di fuori del maistream pre-esistente [e pure sovvenzionato pubblicamente]. L’errore più grande è non avere il coraggio di sperimentare sistemi alternativi a quelli attuali, soffrire di questo complesso virtuale che online vuole imporre ogni contenuto gratuitamente, altrimenti “nessuno lo legge”. Certo: ma quando fai 6 milioni di unici ed incassi 3000 euro, significa che il tuo modello non regge e non può basarsi solo sulle visite e gli adv display. Anche il “native” da solo non può assolutamente bastare [e lo trovo anche poco corretto deontologicamente]. Occorre integrare diversi sistemi che possano essere win win e trasparenti per tutti i soggetti coinvolti: publisher/editori, inserzionisti ed utenti finali. Noi ci proveremo.
[*] Disclaimer: Il sottoscritto intrattiene rapporti professionali regolarmente retribuiti con Germano Milite e collabora con YOUng. Questo articolo invece NON è remunerato in alcun modo.