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Frequenze tv, l'asta rischia di andare deserta (Corriere della Sera)
Creato il 09 febbraio 2014 da Nicoladki @NicolaRaianoIl rischio che l’asta vada deserta è molto alto: Sky ha già un canale in chiaro ed evidentemente l’esperienza ha spinto il gruppo a tornare a focalizzarsi sul core business della pay tv. Rete A ha siglato nel frattempo un accordo con Telecom Italia Media per ridurre i costi con alcune sinergie. E il gruppo Cairo, che tecnicamente potrebbe partecipare, non ha ancora deciso nulla e non mostra segni di deciso interesse. Qualche sorpresa potrebbe arrivare dagli outsider come Discovery Channel, operatore che si sta muovendo bene in Italia e che sta crescendo molto. Anche se il gruppo già in passato si era mostrato freddo sulla possibilità di diventare proprietario delle frequenze.
La capacità trasmissiva nel nostro Paese è considerata da molti in eccesso e le frequenze si possono facilmente affittare sul mercato. Dunque chi ne avesse bisogno in questo momento difficilmente opterebbe per un elevato costo fisso (la base d’asta è di circa 30 milioni di euro, cifra alla quale bisogna aggiungere gli investimenti per garantire almeno il 51% della copertura nazionale in 5 anni) rispetto a un costo variabile con molti meno vincoli. L’unica strada per rientrare da questi investimenti è la pubblicità, mercato molto incerto in questa fase.
Nessuna sorpresa al contrario è attesa dalle piattaforme locali: le tv regionali sono in grave crisi. Il fallimento di Telemarket è solo la punta dell’iceberg di un più generale indebolimento degli ex piccoli imperi da Telenorba a Telelombardia. Le tv locali sono rimaste schiacciate anche dal taglio dei sussidi che spesso e volentieri venivano elargiti in cambio di una vetrina per il consenso politico. Ma dal punto di vista economico la mazzata finale è arrivata dalla guerra del telecomando (uscite dai primi 9 numeri ora sono come la seconda o terza pagina di risultati di una ricerca su Google, dove nessuno arriva) e dal digitale terrestre che doveva favorire la pluralità, ma che nei fatti si è rivelato un ulteriore ostacolo. Il governo Monti – che pure aveva messo la salvaguardia delle tv locali nel proprio programma – aveva previsto tagli di circa 200 milioni a questa industria dal 2013 al 2023. L’attuale governo Letta li ha ridotti di circa la metà, ma le tv locali hanno già messo in cassa integrazione il 50% dei 5 mila dipendenti. Numeri che appaiono incompatibili con l’asta.
L’operazione riguarda frequenze che compongono tre reti televisive digitali terrestri nazionali con un diritto d’uso ventennale non trasferibile per i primi tre anni suddivise nei seguenti lotti: L1 con l’utilizzo dei canali 6 e 23 con una copertura nominale stimata di popolazione pari all’89,5%; L2 con l’utilizzo dei canali 7 e 11 con una copertura pari al 91,1%, L3 con l’utilizzo dei canali 25 e 59 con una copertura pari al 96,6%. Il provvedimento consente di concorrere per tutti e tre i lotti ai soli nuovi entranti o piccoli operatori (cioè che detengono un solo multiplex), di concorrere per due lotti (L1 e L3) agli operatori titolari di due reti in DVB T; agli operatori integrati, attivi su altre piattaforme con una quota di mercato superiore al 50% della tv a pagamento (Sky), è permesso partecipare al solo lotto L1. Il bando esclude espressamente gli operatori che detengono tre o più multiplex (Mediaset, Rai e Telecom Italia Media Broadcasting).
Massimo Sideriper "Corriere della Sera"
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