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Friends after 3.11 (id.) Regia: Iwai Shunji. Fotografia: Tsunoda Shinichi, Kanbe Chigi. Interpreti: Iwai Shunji, Matsuda Miyuki, Kamanaka Hitomi, Kitagawa Eriko,Kobayashi Takeshi, Yamamoto Tarō, Tan Chui Mui. Produzione: Harada Miho per Rockwell Eyes Inc., Tokyo. Durata: 120’. Anno: 201162° Berlin Film Festival (9-19 febbraio 2012)Punteggio ★★1/2
Poco prima dell’inizio di Friends After 3.11 ho fugacemente ripensato al vampiro Simon. Che cercava, lui vampiro-umano figlio dei nostritempi confusi, di convincere giovani aspiranti suicide (belle come modelle) afarsi salassare. Era Vampire,precedente film di Iwai Shunji, presentato alla Berlinale nel 2010. E’ stato ilpensiero di un attimo, subito rimosso: FriendsAfter 3.11 di ben altro tratta, nulla a che vedere con quelle atmosfere. L’approccio iniziale mi ha convinta. Iwai,originario di Sendai, nella prefettura di Miyagi, a seguito di quanto accadutoa marzo 2011 a Fukushima, sente la necessità di dare una sua testimonianza. E lofa riportando lunghe discussioni avute con diverse persone dopo l’11 marzo2011, su temi come scienza, politica, interessi personali, responsabilità. Trai tanti intervistati il regista Kamanaka Hitomi, la screenwriter KitagawaEriko, il music producer Kobayashi Takeshi, l’attore Yamamoto Tarō, la registamalese Tan Chui Mui collegata via skype. Insieme a loro giornalisti,costruttori di impianti, il direttore di una banca, professori universitari.Appare anche, all’inizio della carrellata di interventi, una giovanissimaambientalista che pare abbia folle di seguaci sui social network, perfetta comeuna bambola nella sua divisa da collegiale, con in braccio un mazzo di fiori.Il regista si sofferma parecchio sulla presentazione. Supero il momento econtinuo a crederci.In effetti le tematiche vengono affrontate in modoefficace: il nucleare innanzitutto. In molti sottolineano come il problemadella sicurezza venisse sottostimato. Qualcuno fa notare come gli abitantidelle zone del nord abbiano in un certo senso svenduto le terre alle grandicompagnie, allettati dai benefici e senza considerare i crescenti rischi. Èquesto il tema messo drammaticamente in luce (e per voce dei direttiinteressati) dal film documentario di Funahashi Atsushi, Nuclear Nation, nel quale è lo stesso sindaco di una comunitàevacuata a dolersi di aver ceduto alle pressioni economiche delle compagnie.Ancora sul nucleare una delle interviste più toccanti è quella con unprofessore dell’università di Kyoto, che, scusandosi, ammette di aver sbagliatonel non aver preso una posizione contraria, quando sarebbe stato il momento.Vengono anche affrontati altri temi importanti, come il divario tra la volontàdella popolazione e quella delle lobby economiche che prendono le decisioni, alcunifanno notare come questa esperienza abbia messo a nudo le dinamichedell’informazione pubblica, troppo poco autonoma rispetto alle decisioni deileader politici, e della comunicazione alla gente, tenuta spesso all’oscuro deireali pericoli. Il regista si reca anche sui luoghi del disastro ed è quasisempre accompagnato dall’attrice Matsuda Miyuki, che lo affianca nelleinterviste. Confrontato con gli altri due documentari sul temapresenti al Festival, il citato NuclearNation e No Man’s Zone diFujiwara Toshifumi (che invece indugia in lunghe riprese dei bellissimipaesaggi componendo una riflessione quasi filosofica del rapporto uomo/natura),il film di Iwai Shunji sembra cedere un po’, mi sembra, a certi toni “modaioli”e a considerazioni a volte abbastanza banali che forse avrebbero potuto essereevitate, ma, globalmente considerato, come dicevo, mi è sembrato efficace.Fino al finale.Il regista conclude infatti con una serie diimmagini di se stesso nei luoghi del disastro insieme alla giovanissimaattivista (sempre perfetta nella sua divisa scolastica). Camminano in mezzo aidetriti, commentano la vista di un’auto distrutta, vedono un edificio che sembra essere stato unascuola. Li accompagna una musica ammiccante. Si intensificano i primi piani dilei. Durante l’ultimo, insistente, la ragazzina versa qualche lacrima chescende rigando il viso perfetto, incorniciato dai capelli.Mi è sembrato tanto poco credibile, quanto, inun’opera del genere, evitabile. [Claudia Bertolè]
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