Magazine Avventura / Azione
di Pierre Morel
Gonfio: come l’espressione di John Travolta, costretto ad inventarsi una faccia senza capelli per rendere credibile il suo gergo da bullo ed i modi da cane sciolto: per interpretare Charlie Wax, una specie di arma letale al soldo del governo americano, non ha avuto bisogno di mettersi a dieta perché secondo i piani del suo produttore, Luc Besson, Mogul onnipresente del cinema francese, la sagoma debordante dell’attore doveva enfatizzare la simpatia di un personaggio che fa di tutto per accaparrarsi il favore del pubblico.
Accanto a lui, manco a farlo apposta Jonathan Rhys Meyer, viso affilato e corpo privo di spessore; nei panni di un assistente diplomatico costretto a lavorare con lo scorbutico omaccione doveva essere il protagonista principale, ed invece il copione e la prestanza, lo coriducono ad un Sancho Panza anoressico, inevitabilemente subissato dal Don Chisciotte americano, abituato più di lui a cimentarsi nel sottovuoto cinematografico del cinema d’azione.
Per questa gita fuori porta i due attori si avvalgono di un regista fatto su misura per il Tycoon francese che vuol far l’Americano, ed è disposto a clonare film per quel mercato, sfruttando un marchio di fabbrica ormai surclassato dal ciclone digitale, e per questo bisognoso di peculiarità che invece non sembrano più alla portata della premiata ditta: esaurita da tempo la vena iconografica, Besson si limita a riproporre lo stesso spettacolo, lesinando sulle psicologie e schiacciando il piede sull’accelleratore di una meraviglia che non incanta: seguendo le fila di un complotto terroristico in cui nostri la fanno da padrone, sopravvivendo ad un esercito di cattivi, Morel infarcisce la storia di situazioni inverosimili e scene da ultimo minuto, dove la battuta smargiassa dell’attore americano, e la reazione schizignosa di quello inglese, vorrrebbero essere il contraltare intelligente e spiritoso agli spot finto bellici, ed invece finiscono per aumentare la mancanza di identità di un prodotto tenuto insieme solamente dal ricordo di una professionalità guadagnata sul campo, ed ora divenuta il simulacro di un declino ben pagato.
All’esordio in una grande produzione Kasia Smutniak si rivela all’altezza della situazione: in un film del genere tale affermazione potrebbe rivelarsi controproducente per le aspirazioni internazionali dell’attrice.
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