Il commento signori miei che leggeremo è di Sabato Vinci, un amico nonchè un emergente e brillante politico di un grande partito (non voglio mettere "etichette partitiche" al pezzo... preferisco che il blog sia apolitico... insomma per tutti! Tuttavia per chi volesse sapere di che partito è il nostro scrittore di oggi vi consiglio di visitare la sua pagina su Fb cliccando qui). Sono contento che Sabato non abbia usato tanto il "politichese", linguaggio tanto caro ai nostri politici. Devo constatare - leggendo l'articolo - che il nostro autore è stato capace con grande chiarezza di spiegare in maniera esaustiva la politica by USA dei colorati anni 80 con l'ottica di oggi, caratterizzata da una profonda crisi economica. Che questa recensione sia utile a comprendere i motivi della crisi italiana? Mah!
Il film ripercorre
sostanzialmente la storia che si cela nell'intervista fatta dal comico
David Frost ai danni del
trentasettesimo presidente degli
stati uniti Richard Nixon. Toccante è il clima che circonda l’intervista: sembra che l’essenza stessa della democrazia possa dipendere dall'esito di questa intervista.
Il sentimento patriottico americano sembra così l’anima del
lungometraggio: una idealità forte e sovente impegnata nel rigenerare se stessa. In questo caso l’ideale dell’eguaglianza tra gli uomini si traduce nell’abolizione dei privilegi, la quale sembrerebbe essere la
sfaccettatura del
nazionalismo americano che emerge più nitidamente, e la difesa del modello ideologico-culturale della democrazia nazionale americana è affidata all'improbabile
Frost. Una frase molto importante del film è certamente "l'abuso di potere è l'essenza della tirannia".
Nixon e
Frost divengono così
protagonisti di una vera e propria battaglia, il comico rivendica le radici della democrazia e rivisita gli sbagli del presidente mentre
Nixon è abile a parlare bene di se’ rischiando di riuscire a passare indenne davanti al popolo Americano. La telefonata da parte di
Nixon a
Frost è il fulcro della battaglia, egli è ubriaco,
successivamente sarà sopraffatto da un dubbio su quella telefonata, questo lo porterà a farsi inchiodare quasi da solo.
Nixon in questa telefonata ripercorre ciò che lo ha portato a desiderare il potere e ciò che lo ha indotto a volerlo conservare a tutti i costi: il desiderio di rivalsa sui suoi vecchi colleghi del College,
superficiali rampolli dell’
aristocrazia americana abile a mortificare quanti, non provenendo dai propri ranghi, si accingesse nella difficile impresa di scalare la vetta del successo. Questo aspetto accomuna
intervistatore e
intervistato.
Il regista fa notare anche l'importanza che la televisione rivestiva già negli anni ’70 quale mezzo di
comunicazione di massa: grazie ad essa l’ex Presidente ha l’opportunità di usare la sua dialettica per essere assolto per le sue colpe di fronte all’opinione pubblica americana e mondiale, tuttavia la stessa
tv sortisce un effetto atrocemente ‘
restringente’, in una intervista si può scrutare il significato della restrizione che l'immagine dà, ad un certo punto
Nixon appariva dal volto contratto e faceva davvero compassione. Da questo si comprende l’essenza della “società mediatica” che proprio negli anni ’70 nasceva e all’interno della quale siamo immersi oggi: un mondo dell’immagine più che della sostanza, dell’apparire più che dell’essere (non è un caso che
Nixon, conscio della sua
colpevolezza, volesse essere assolto
pubblicamente apparendo come innocente), dove un gesto vale spesso molto di più di
innumerevoli discorsi o di profonde riflessioni.
Questo film mette dunque in risalto come l’apparenza tenda a divenire un bisogno primario dell’uomo
contemporaneo che vuole costruirsi una maschera
pirandelliana per sembrare più adeguato, o conforme e comunque meglio
amalgamabile alla società dell’immagine. Dalla conclusione della seconda guerra mondiale è iniziata una spinta maestosa ad indirizzare i consumi ed a spingerli in maniera
nettissima: le migliori condizioni di vita della popolazione permesse da stipendi più alti hanno dato la possibilità di acquistare più beni dando il via, attorno agli anni ’70, alla società dell’immagine. Con quella che è stata definita la terza rivoluzione industriale, ovvero quella del transistor, il mercato si è arricchito delle amatissime
apparecchiature elettroniche, ai primi personal computer ai
sofisticatissimi palmari di oggi.
Dovremmo però riflettere sul fatto che il culto dell’immagine (che negli anni ’70 stava nascendo e che si è sviluppato negli anni ’80-’90) si sia nutrito in buona parte con soldi quasi sempre presi in prestito nel mondo occidentale: quindi spese in futilità, ovvero in tutti quei beni di consumo, durevoli e non, acquistati
esclusivamente per la necessità di apparire, necessità indotta dalla pubblicità e dalle evoluzioni del mondo dei media...
Ora che la
pericolosità della corsa sfrenata al consumo sostenuta dal credito è una questione assodata e non solo una
preoccupazione di quelli che erano chiamati “profeti di sventura” fino al settembre 2008, data fatidica della
manifestazione della crisi finanziaria dei derivati, poi divenuta crisi economica ed infine produttiva, sarebbe forse il momento per l’Occidente di analizzare le molteplici motivazioni che hanno spinto gli occidentali ad indebitarsi oltre ogni misura fino ad innescare una crisi economica senza precedenti, per acquistare
null’altro che futilità: futilità che la società dell’immagine e dell’apparire
evidentemente aveva connotato come
indispensabili.