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“Frozen”: disturbing thriller dal cuore di ghiaccio

Creato il 23 ottobre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

L’estate sta finendo, e il caldo (si fa per dire) se ne va… La bella stagione ci saluta, dopo averci deliziato con mesi di maltempo ed un clima da tundra siberiana; le spiagge chiudono i battenti, gli scolaretti si accingono a ripopolare i (tanto adorati) banchi scolastici mentre i lavoratori reimpostano la “depression mode: on” ritornando alla routine lavorativa… Ma per i cine-maniaci, oh, inizia il vero divertimento: lasciata alle spalle la solita estate all’insegna di blockbuster di dubbio gusto e titoli dalle tiepide potenzialità, ora si può tornare a sperare. Riposti costume da bagno nell’armadio ed infradito in scarpiera, il cineamatore medio torna ad armarsi di copertina (forse per quella conviene aspettare) ed occhiali da riposo, tuffandosi a capofitto su nuove pellicole in uscita ed eventuali (si spera) compiti arretrati. E chi odia le mezze misure come il sottoscritto, carpirà al volo l’occasione di tuffarsi in un gelido drama-thriller sui ghiacci, quale Frozen.

No signori, non parliamo di principesse danzanti e deliziose (?) canzoncine disneyane, quindi placate il fanciullino (pascoliano) che c’è in voi e smettetela di intonare “Let it go”. Superato il misunderstanding omonimico (mai così poco calzante), la strada si presenta impervia e tortuosa, raccomandata solo agli amanti del genere: perché la pellicola firmata Adam Green, e presentata al Sundance Film Festival 2010, è un boccone di cellulosa, difficile da buttar giù. Il giovane regista (e sceneggiatore) statunitense cerca di risvegliare dal torpore l’universo thriller-horror americano, impantanato in cliché e stereotipi stantii e lamentosi. Sceneggiatura e plot minimale: poca carne al fuoco, ma cotta a puntino.

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Tre ventenni sbarbati e sì, un po’ troppo caricaturali, fuggono dalla monotona quotidianità, regalandosi un week-end in montagna, all’insegna di distese nevose, scii e snowboard;  ma il “fattore S” si presenta sempre quando meno te l’aspetti (e Max Pezzali lo sa bene!). Il divertimento si trasforma in incubo ad alta quota, che rischia di condannare i malcapitati ad una fine orribile. Difficile una collocazione univoca del prodotto: un survival horror ricco di sfumature spesso antitetiche, ma caparbie ed argute. Qualche scivolone non manca, ed il rischio del banale ed usitato spunta fuori qui e là. Pericolo (in parte) sventato, grazie soprattutto ad un ritmo narrativo dannatamente serrato: dopo 10 minuti di (doverosa) prefazione, non c’è più tempo per rilassarsi. I muscoli si tendono, gli occhi si stringono e le palpitazioni aumentano all’inverosimile. L’angoscia attanaglia stomaco e gola dello spettatore, rapito da un grottesco cocktail di suspense ed adrenalina. L’escamotage dello shock estetico-semantico da i suoi frutti, tanto da provocare più di qualche svenimento durante la proiezione al Sundance. Ora, certo, gridare al miracolo sarebbe iperbolico e decisamente inappropriato: Green deve ancora farsi le ossa; un disegno semplice ed apprezzabile il suo, ma troppe le sbavature che impediscono al film di raggiungere la serie A. Inquadrature e scelte tecniche fin troppo canoniche e scontate: seguendo dogmaticamente l’”ubi maior…”, Green opta per una direzione piatta e scabra a favore di una narrazione semplice e d’impatto.

Frozen

Cast sbarazzino, assemblato seguendo l’assioma hollywoodiano: “bei visini, bei quattrini”; tre facce  giovani e fresche pseudo-semi(s)conosciute; promossi o bocciati? Diciamo, rimandati tutti (a settembre). Emma Bell, unica presenza femminile del trio, non brilla per intensità ed originalità; prova d’attrice degna di puntata di “Screen Queens”: la poveretta, oltre a qualche esasperato (ed esasperante) urlaccio ed un pregevole portfolio di espressioni sofferenti, ha ben poco da dare; una bionda che fa la bionda! Accanto a lei Shawn Ashmore, ex X-Man prezzemolino, disseminato per n-mila tv series americane; il ragazzo ci prova e ci crede. Apprezzabile l’impegno; sicuramente il migliore della combriccola (“ti piace vincere facile?!”). Kevin Zegers chiude il terzetto: che dire… Bel ragazzo, senza dubbio; poi comincia a recitare, ed il risultato, beh… comunque bel ragazzo davvero. Demerito da spartire con copioni e battute scontati più di un maglione ai saldi invernali. Ma lo vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno per una volta? Ecco, e allora dobbiamo riconoscere una location maledettamente funzionale, una colonna sonora ben amalgamata al background, ed alcune pregevolissime scene davvero disturbanti, capaci di decuplicare gli ordini per il Diazepam in molte farmacie. Per apprezzare Frozen  al meglio il segreto è uno e uno solo: aspettative moderate e predisposizione (quasi genetica) ad un sottogenere cinematografico destinato a rimanere di nicchia.

(S)consigliato a sciatori e snowboarder di tutte le età; chi invece, come il sottoscritto, da anni progetta di avvicinarsi alla disciplina, farebbe bene a posticipare la visione della pellicola. Io ormai l’occasione me la sono giocata, salvatevi almeno voi!

Simone Filippini


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