What you waiting for to sing another fuckin’ Shalalala
È da questo verso degli Artic Monkeys che nascono i Fucking Shalalalas, duo romano nato più o meno un anno fa e composto da Sarah Cecchetto e Alex Lepre. Un nome senza troppi fronzoli che riassume in pieno l’estetica del progetto, un accostamento tra l’allegro “shalalala” delle canzonette e il duro “fucking”, retaggio delle esperienze rock che indirettamente hanno ispirato la loro produzione.
Perfettamente aderenti allo spirito della rassegna I-N-T-I-M-I-S-M-I, i Fucking Shalalalas si sono esibiti in Calzoleria proponendo, oltre alle canzoni del loro EP, brani inediti e cover alle quali sono molto legati. È nell’atmosfera rarefatta e partecipata che hanno saputo creare che sta il punto di forza di questo giovane duo.
Una musica molto essenziale, con poche sfumate differenze tra la performance live e l’EP registrato in studio, che, a detta di Sarah e Alex, andrebbe ascoltata distesi su un prato in primavera. “L’album contiene tutto quello che siamo”, dalla durata ai testi e alle melodie, tra i quali c’è sempre una forte sinergia.
Il brano di apertura è Blade of grass, il primo pezzo in assoluto che hanno creato insieme, nato per l’ormai inflazionato ukulele e anche per questo in seguito eseguito con la chitarra, accompagnata da un delicato e preciso violino, presente in tutto il disco, e dal piano. E proprio come foglie d’erba, note essenziali e pungenti all’unisono con una voce melodiosa ci avvolgono nella sognante primavera dei Fucking Shalalalas. Tutto è possibile in maggio, ce lo ricorda May, metafora velatamente malinconica del mese della rinascita. Lying on a hill è invece un pezzo scritto da Alex, tenuto nel cassetto per anni, dal testo e dalla melodia sognanti che rievoca l’atmosfera sospesa del tramonto della domenica pomeriggio. Da un omaggio a Burt Bacharact, Tiramisù ci rimane in testa per quel riff alla Raindrops keep falling on my head, ma al tempo stesso ci lascia anche qualcosa di estremamente personale. Il pezzo più funk del disco è sicuramente Let’s shalalala in cui una chitarra esuberante sembra quasi scontrarsi con dei violini alla Jhon Cale che lasciano scoprire la forte influenza dei Velvet Undergound e le melodie delicate dei primi brani lasciano il passo a un cantato maschile più sporco, con qualche effetto distorsivo che ricorda vagamente gli Strokes. L’EP si chiude con Jenny, una canzone-filastrocca in cui spicca l’utilizzo dell’autoharp.
Già dal primo ascolto ci rendiamo conto che si tratta di un lavoro spontaneo, che non si perde in inutili formalismi ma che rappresenta la sintesi della solida conoscenza musicale del gruppo. Un duo alla Moldy Peaches con influenze come Bob Dylan, Neil Young e Lou Reed, del quale hanno realizzato un tributo con una commovente cover di Femme Fatale cantata dall’intero pubblico, ma capace di guardare anche al nuovo come è giusto che sia.
Tra gli anni ’90 dei Belle and Sebastian e l’alternative dei Raveonettes, i Fucking Shalalas nella loro immediatezza non sembrano mai scontati proprio perché, come il nome stesso testimonia, rappresentano, senza mai lasciare che si sovrappongano, due aspetti molto distanti tra loro. Sono l’immagine della delicatezza e della fermezza, della pacatezza e dell’irruenza che sanno modellare a proprio vantaggio all’interno di ogni momento musicale. Quello che a mio avviso ci lascia questo EP è ben più di una sequela di brani da ascoltare su un prato in primavera, perché, a voler andare fino in fondo all’ascolto e alle sensazioni che suscita, l’album nasconde un velato significato, quello di dimostrare, o quantomeno di provarci, che melodie sofisticate, se sapute tenere, non per forza debbano cadere nel melanconico, così come si possono creare innesti rock anche in sonorità dolci senza usare forzature. I Fucking Shalalalas, con un genere che amano definire “low-fi dream folk”, ci dimostrano proprio questo con un album che non è la ricerca di se stesso ma la risposta di chi si è trovato, e si è trovato nelle sfumature più disparate e che a suo modo, senza pretese e con naturalezza, ci insegna che un’indole versatile non ha certo bisogno di scegliere un’unica via, di arroccarsi su castelli per aria né tanto meno di cucirsi addosso dei panni troppo stretti.
Così i Fucking Shalalalas, parafrasando il testo che li ha ispirati, tolgono le batterie al misticismo e le mettono nel cappello del pensiero, come un eterno ritornello ci ricordano che in noi possono convivere le anime più diverse e che molto spesso la risposta è più vicina di quanto immaginiamo. E allora cosa aspettate? Disfate i castelli, scucite i vestiti e cantate un altro fucking shalalala!
Di Elisabetta Rapisarda
“Tiramisu” è il primo singolo estratto da The Fucking shalalalas’ EP
realizzato da Umberto Petrocelli
Ecco il Videoclip Ufficiale:
Sito internet The Fucking Shalalalas
Fan page facebook The Fucking Shalalalas
SCHEDA TECNICA a cura di Enzo Bello
STRUMENTI:
SARAH:
– Violino
usato in Blade of grass e Let’s Shalalalas
– Diamonica a fiato
– Tamburello
usato in Lying on a hill e Tiramisù
– Voce
ALEX:
– TAKAMINE PRO-SERIES: chitarra ascustica
usata in quasi tutte le canzoni dell’album
– Voce
SIMONE OLIVIERI:
– Produttore e arrangiatore del gruppo
– Piano
usato in May e nel finale di Let’s shalalalas
– Farfisa (organo elettrico)
usato in Tiramisù e May
– Basso
– Autoharp
usato in Jenny
(usato anche da altri gruppi come Afterhours, Luci della centrale elettrica e June Carter)
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La Calzoleria
La Calzoleria apre il portoncino di via Prenestina 28 a the Freak. Il luogo dove per anni ha vissuto e lavorato uno dei migliori calzolai di Roma, da aprile 2012 si è trasformato in un Circolo di promozione sociale. Un ambiente dal gusto retrò ma che ospita l’arte in tutte le sue forme, un luogo in cui assistere a rassegne di musica accompagnate da esposizioni di artisti emergenti, assaggiando birra o degustando del buon vino. Ma soprattutto, una volta aperto il portoncino, La Calzoleria si presenta da sola perché “ogni scarpa è una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo”.
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