Federico è un uomo “oltre i cinquanta” che davanti allo specchio prende la decisione di andare tre giorni da solo sul monte, tra i boschi, dove è appena nevicato. La sua è una decisione ponderata, pensata da tempo, perché da tempo Federico riflette sulla sua vita, sul senso della sua vita e per arrivare al cuore di quella verità che va cercando ha bisogno di isolarsi, di uscire dalla quotidianità. Di immergersi nella natura incontaminata e inospitale in quel periodo dell’anno per riuscire a vedere più chiaro dentro di sé. Solitudine e silenzio per ascoltarsi.
Da questo auto esilio di tre giorni inizia “fuga da Firenze” di Massimo Pacetti (Lepisma Editore). Già poeta e autore di racconti Massimo Pacetti approda con questo romanzo a una prosa di più ampio respiro in cui la vicenda di Federico, alter ego dell’autore, si snoda lungo la storia non solo italiana, con le stragi degli anni settanta, ma anche con i conflitti del medio oriente in cui il protagonista si trova direttamente coinvolto. Nelle pagine di questo romanzo, strutturato in una alternanza di piani, da quello interiore in cui Federico è in dialogo con se stesso a quello più narrativo, si dipana il percorso di una vita, dai ricordi d’infanzia all’età adulta, passando per gioie e delusioni, per incanti e disincanti, per la fede nella forza delle idee, dei valori e dei principi che rendono la vita degna di essere vissuta all’impatto con la cruda realtà dei fatti che in Federico si materializza in particolare con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. Il tutto narrato attraverso uno stile che molto ha del racconto orale, tanto che in alcuni passi sembra di sentire la viva voce dell’autore che ci trasmette la sua inquietudine, un’inquietudine profonda, intima che ha pervaso tutta la sua esistenza e in qualche modo anche le sue scelte. Inquietudine accompagnata, tuttavia, da un positivo e ironico spirito toscano (l’autore è di Sesto Fiorentino) che dona una certa leggerezza a tutto l’impianto narrativo anche nei momenti più intensi e drammatici, Oltre che sul senso della vita in generale e della propria in particolare, l’autore si pone una domanda che potrebbe sembrare oziosa e pretenziosa, nonché preclusa ad ogni risposta o dotata di infinite possibili risposte, ossia: “Ma la felicità che cos’è?”. E della felicità Massimo Pacetti ci parla sia all’inizio del suo romanzo dandocene una descrizione in positivo, cioè dicendoci cos’è, sia alla fine dicendoci cosa non è. Probabilmente perché al nostro affacciarci alla vita siamo capaci di cogliere la felicità in ogni più piccola cosa ed evento, capacità che perdiamo crescendo e facendoci più esigenti e complicati. Comunque l’autore dà della felicità una definizione molto bella e pregnante: “La felicità è un uccello migratore” perché “… la felicità non può rimanere a lungo posata sulla nostra testa. Essa vola e ritorna, si allontana e poi un giorno riappare”. E forse l’esistenza è tutta spesa in questa attesa e/o in questa ricerca. Massimo Pacetti attraverso la scrittura cerca il “senso del cammino” che trova espresso nella lettera “y” che somiglia al delta di un fiume e le cui due “diramazioni” confluiscono nel gambo proteso verso il mistero o, se percorsa dal basso all’alto, ai bivi di fronte a cui la vita ci pone per ritornare comunque a quell’unità che alla fine dell’esistenza di ognuno ci aprirà uno spiraglio di luce sul suo senso, o meglio sul senso che saremo riusciti a darle cercando di essere il più possibile fedeli a noi stessi. C’è da aggiungere che la lettera “y” è carica di significati simbolici, in matematica rappresenta un’incognita, una variabile, Jung attribuisce alla “y” il significato di unione degli opposti: maschile e femminile, inoltre secondo le varie scuole esoteriche, La Y rappresenta : 1) un grado o livello di iniziazione; 2): l’uomo che elevandosi verso l’alto, attraverso la conoscenza, deve superare la visione dualistica (il cui simbolo è la Y) e acquisire il giusto distacco per capire qual è la strada da seguire; 3): nel Cristianesimo è il simbolo di resurrezione; l’uomo attraverso la scintilla divina che è in lui supera i limiti della morte fisica. Significative, dunque le riflessioni dell’autore su questa lettera che a Federico rammemora luoghi fisici da lui visitati e vissuti e ricorda la bacchetta che il rabdomante usa per cercare l’acqua e lo scrittore usa accanto alla penna per cercare il senso della sua esistenza conclude il percorso esistenziale di Federico, almeno del Federico racchiuso nelle pagine di “fuga da Firenze”. Chè la vita continua…
Lucianna Argentino
Massimo Pacetti è di Sesto Fiorentino, vive a Roma. Giornalista è stato direttore e fondatore della rivista della CIA Toscana “Dimensione Agricoltura” e direttore della rivista della CIA Nazionale “Humus” e della rivista della CIA Nazionale “Nuovo Diritto Agrario”. Dirigente anche del giornale dell’Associazione Olivicoltori Chietini. E’ stato Consigliere Provinciale per la Provincia di Firenze, Presidente Nazionale della CIA del CNO, e Consigliere del CNEL.
Ha pubblicato: sei raccolte di poesia: “Cammineremo tenendoci per mano” (Roma 2002), “Sogni e segreti” con prefazione di Walter Veltroni (Roma 2005), “La risalita” (Roma 2007), “Lo spirito del tempo tra musical e manga” (Roma 2009), “La danza della notte” (Milano 2010), “Tempo massimo” (Roma 2011); la silloge poetica “Estremità strappate” (Roma 2010); la raccolta di racconti: “Saltando sopra gli steccati” (Roma 2006); il romanzo “Fuga da Firenze “ (Roma 2012). Nel 2012 ha vinto il premio di poesia “Città di Livorno.”.