Fuga senza fine dall’Italia per cervelli brillanti «I ricercatori non crescono sugli alberi» di DOMENICO RIBATTI
La ricerca scientifica nel nostro Paese vive una condizione sempre più critica, per una cronica mancanza e riduzione dei finan ziamenti pubblici. Le cronache quotidiane riferiscono dei deficit di bilancio che interessano la maggior parte dei nostri atenei con la non tanto remota possibilità che possa essere messo a rischio anche il pa gamento degli stipendi dei dipendenti.
L’età media dei nostri ricercatori è una delle più alte nel panorama internazionale (una percentuale bassissima di giovani con una età media minore ai 40 anni ed una elevata percentuale di ultrasessantenni) e viene ali mentato una sorta di precariato scientifico che rende sempre più incerto l’avvenire dei più giovani, anche se questa considerazione in questa particolare contingenza storica si può estendere a tutto il mondo del lavoro. Così in Italia, l’unica opzione perseguibile per i giovani più brillanti e motivati pare essere quella di emigrare in altri Paesi.
In questa cornice si inscrive il saggio pubblicato da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi intitolato I ricercatori non crescono sugli alberi(Laterza ed., pp. 117, euro 12) che compiono una disamina su quelle che possono essere le motivazioni, facilmente intuibili in questo contesto così drammatico, che spingono molti dei nostri migliori ricercatori a lavorare all’estero ed ad incrementare la già numerosa colonia dei cosiddetti «cervelli in fuga».
Oramai la ricerca scientifica ha assunto una connotazione esclusivamente internazionale, la maggior parte delle riviste ed in ogni caso quelle più prestigiose sono scritte in lingua inglese, così come la ricerca di qualità viene svolta in uno spirito collaborativo coinvolgendo gruppi di diversa nazionalità (si pensi ad esempio ai progetti europei). Tutto questo contrasta con il localismo esasperato delle nostre università e dei nostri enti di ricerca, nel quale la mobilità dei ricercatori è frequentemente osteggiata e la carriera scientifica si compie in ambito locale, all’ombra del collega anziano, talvolta impropriamente definito maestro. Leonardo da Vinci, che di scienza pare se ne intendesse abbastanza, sosteneva che «tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro».
Gli autori di questo saggio sostengono che una vera riforma della nostra università e della ricerca scientifica nel nostro paese può cominciare solo attraverso una valutazione obiettiva dell'attività svolta dai singoli all'interno dei nostri atenei, avvalendosi di criteri riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale.
Questa valutazione costante dovrà costituire la base per la erogazione di finanziamenti e per l'attribuzione di nuovi posti di ricercatore, e solo in questo modo si potrà dare l'avvio ad circolo virtuoso che consentirà una volta per tutte di premiare i migliori e di contribuire alla creazione di una classe dirigente preparata e in grado di competere sullo scenario internazionale. Si auspica che tutto questo potrà servire a spingere finalmente la classe politica ad un intervento di riforma strutturale e risolutivo.