Oltre ai 1.656 decessi 'indiretti' causati dalla fuga radioattiva, l’incidente alla centrale nucleare sta dissanguando le casse giapponesi
A distanza di quattro anni e mezzo dalla catastrofe nucleare dell’11 marzo 2011, è ancora impossibile indicare il costo economico definitivo del disastro di Fukushima. Di recente, la compagnia elettrica Tokyo Electric Power (Tepco), che gestisce la centrale, ha chiesto un nuovo aiuto finanziario al fondo pubblico per il risarcimento delle vittime.
La richiesta è stata di 950 miliardi di yen, poco meno di 7 miliardi di euro, giustificata con l’estensione degli indennizzi relativi ai danni morali causati ai privati e agli imprenditori colpiti. Il gruppo nipponico, inoltre, ha spiegato di dover far fronte a un lavoro di decontaminazione più esteso del previsto.
Si tratta della nona richiesta di fondi avanzata da parte della Tepco in quattro anni e mezzo: la somma di tutto il denaro ricevuto fino ad ora – comprese le iniezioni dirette di capitale effettuate dal governo di Tokyo – è pari ormai a 6.886 miliardi di yen (più di 50 miliardi di euro). Un’immensa mole di denaro cui vanno aggiunti i mancati introiti per lo Stato causati dal blocco forzato della produzione di energia e quelli relativi a tutte le attività di decontaminazione della regione. Non a caso, un anno dopo la catastrofe fu proprio la Tepco a dichiarare di non poter quantificare i costi complessivi.
DANNI NON SOLO ECONOMICI
Per gli stessi lavori nella centrale serviranno ancora anni e anni. Alla fine del 2014 è stato evacuato il combustibile depositato nella piscina del reattore numero 4, il che ha scongiurato un ulteriore, grave rischio di contaminazione dell’ambiente circostante.
Ma il processo di raffreddamento dei nuclei è ancora in corso e la Tepco è obbligata a costruire cisterne supplementari per stoccare l’acqua radioattiva (200mila tonnellate solo dall’inizio del 2015). Mentre il sistema di decontaminazione idrica denominato ALPS risulta bloccato ormai da mesi e, secondo quanto riferito dal quotidiano francese Sciences et Avenir, potrebbe rimanere fermo fino al 2016.
Accanto alle questioni economiche, ci sono poi quelle sociali: 160mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Solo recentemente, il governo giapponese ha disposto la riapertura di alcune aree (come, ad esempio, nel caso della città di Naraha), suscitando peraltro le forti proteste di Greenpeace. Il premier Abe ha stabilito in effetti che i rientri saranno autorizzati laddove la radioattività risulterà inferiore a 20 milliSivert/anno. Il bilancio del disastro non può poi prescindere dalla macabra conta delle vittime.
Il giorno della catastrofe nella centrale i morti furono diciassette, ma tutti imputabili allo tsunami (e non, dunque, alle esplosioni dei reattori). Ma nella provincia di Fukushima sono centinaia le patologie associate all’evento e – prosegue Sciences et Avenir – i decessi indiretti (riconosciuti cioè ufficialmente dalle autorità) erano a marzo scorso 1.656. Se si considera che lo tsunami ne provocò 1.607, vuol dire che le conseguenze del disastro nucleare sono ormai più ampie di quelle del terremoto. E nelle province limitrofe – Iwate e Migayi – i morti ammontano rispettivamente a 434 e 879.
RIPARTE IL PARCO ATOMICO?
Ma non è tutto. Come è ovvio in casi di questa gravità, anche l’agricoltura ha subito conseguenze non indifferenti. L’università di Vienna ha analizzato circa 900mila campioni di alimenti prelevati dall’amministrazione giapponese tra il 2011 e il 2014. Ne è derivato uno studio, pubblicato dalla rivista Environmental Science and Technology, che dimostra come il 3,3% dei prodotti agricoli provenienti dalla regione di Fukushima presenti tassi di radioattività superiori alle norme, e dunque illegali.
Ciò nonostante, il governo di Shinzo Abe sta tentando in tutti i modi di riavviare al più presto il parco nucleare del Paese. Oggi i 48 reattori presenti nell’arcipelago sono infatti fermi; la prefettura giapponese di Kagoshima ha tuttavia annunciato il via libera alla riattivazione di due reattori, i Sendai 1 e 2, presenti sul territorio di propria competenza (entrambi giudicati «sicuri» dall’autorità di vigilanza). Altri due reattori – i Takahama 3 e 4 – hanno ricevuto un via libera dalle autorità, ma sono stati “congelati” dalla magistratura.
Secondo i giudici, infatti, i due impianti non sono stati ancora equipaggiati con sufficienti sistemi antisismici: per questo ne è stata bloccata la riapertura. La corte ha accolto in particolare le richieste avanzate da alcuni cittadini, preoccupati per i rischi che la centrale nucleare può comportare per la regione: l’operatore che gestisce i reattori, la compagnia Kansai Electric Power, ha tuttavia deciso di depositare un ricorso contro la sentenza.