Full of Life è un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1952 negli Stati Uniti, inedito in Italia fino al 1998. Se avessi a disposizione una sola parola per esprimerne un giudizio, direi icastico. John Fante non è un narratore prolisso, anzi: il romanzo è breve e pregno di realismo, non si perde in descrizioni minuziose di uno stato psicologico o in lunghi monologhi interiori. L’impressione che quanto racconta potrebbe accadere a chiunque legga, l’empatia che si prova nei confronti dei personaggi emerge proprio dalla brevità e dalla rapidità con cui si accumulano i pensieri del protagonista-narratore. John – si chiama così anche il personaggio – non esita a confessare le sue impressioni più intime e la sua inadeguatezza, l’impreparazione a vivere la prima gravidanza di sua moglie: deve affrontare il suo nuovo e strano modo di essere, tutta presa dalla sua «sporgenza» e da una serie di piccole manie; deve fare i conti con i genitori, che desiderano un nipote maschio a ogni costo e s’impegnano, nella loro saggezza superstiziosa, a propiziarne la nascita.
La narrazione è spesso inframezzata da conversazioni essenziali, e nasce proprio dai dialoghi l’icasticità delle scene raccontate: battute brevi, pungenti, ironiche, non appesantite da commenti. Non si può fare a meno di parteggiare per qualcuno dei personaggi, spesso per John, che a volte sembra la vittima dei malumori degli altri.
Molto sbozzato è il profilo dei genitori di John, soprattutto del padre, contadino abruzzese che afferma con prepotenza il ruolo di burattinaio della vita di suo figlio: non può che rimanere deluso e ferito dall’intolleranza di John per un tale stato di cose.
Full of Life, titolo ironico e antifrastico, è insomma un bel modo di raccontare un tentativo di fuga dalle proprie responsabilità, che comunque non si lasciano aggirare facilmente.
Paolo Ottomano