(Fumetti contro tutti – prima parte – continua…)
“Non sono nessuno per giudicare so soltanto che ho un’antipatia innata verso i censori e i probiviri…”
Corto Maltese in Tango-y todo a media luz-
Come scrisse Cesare Medail sul “Corriere della Sera” il 25 gennaio del 1996 , sin dall’inizio della diffusione di comics già “si intravedevano i nemici che la trasgressiva nuvoletta avrebbe incontrato, tra pedagogia retriva e autoritarismi, nell’ arco del secolo.“
Così , quando gli spaziali Buck Rogers o Flash Gordon, i selvatici Tarzan e Jungle Jim, i magici Phantom e Mandrake, gli esotici Cino e Franco o Terry dei Pirati giungono in Italia, allarmeranno l’ambiente politico pedagogico (fiero nemico delle strip fu Paolo Lorenzini, nipote di Collodi, che si dimise per protesta dalla Nerbini), ma non il pubblico che porterà a mezzo milione la tiratura dell’ Avventuroso”.
Quegli eroi sparirono con l’ autarchia: nel 1938, al congresso sull’ educazione di Bologna, Filippo Tommaso Marinetti tracciò in quindici punti le direttive del regime in tema di pubblicazioni per ragazzi, che avrebbero dovuto esprimere “la contentezza di vivere oggi da italiani, fascisti imperiali” .
Per la cultura fascista il fumetto americano veicolava una società corrotta e, dopo il 1941, rappresentava l’esaltazione dei valori del nemico.
Elio Vittorini seguiva con interesse tutto il panorama editoriale anche quello costituito dai fumetti e dalle pubblicazioni per ragazzi; la testimonianza viene dal racconto della sorella Jole, confluito in un libro diviso in due volumi [3] , e da alcuni commenti dello stesso Elio ritrovabili nell’intervista con Eco del 1965 e in un altro intervento sollecitato da un giornalista del “Giorno” nel 1964 dove l’autore di “Conversazione ìn Sicilia” parla di Topolino.
Palmiro Togliatti
Già nell’estate del 1945, comunque, Vittorini progettando “Il Politecnico” aveva inserito i “giornali pupazzati” e le “vignette” nel programma che rispettò con la pubblicazione di alcune strisce di comics nel 1946 e alcune vignette isolate nel 1945.
Fu proprio quando fu lasciato solo a dirigere, comporre e pubblicare la rivista culturale, divenuta prima mensile e poi trimestrale, che potè dare più spazio ai comics americani a partire dal numero doppio dell’estate del 1946.
Nello scambio di lettere fra Togliatti e Vittorini emergevano due punti di vista diametralmente opposti; per Togliatti “rinnovare la cultura italiana non spetta alla politica, ma il “Politecnico” è lontano dal popolo, esso esalta le avanguardie e l’arte decadente, alla continua ricerca del nuovo” inoltre manifesta una “strana tendenza a una specie di cultura enciclopedica” caratterizzata da “una ricerca astratta del nuovo, del diverso e del sorprendente” (forse si riferiva proprio alle nuvolette ndr.),
Vittorini replicò con questa celebre frase:
“Il compito dell’intellettuale non è quello di suonare il piffero per la rivoluzione dando una veste poetica alla politica, ma quello di raccogliere tutti gli stimoli culturali che la società offre, per rinnovarla dal profondo”.
Si assisterà nel 1950 a un rinfocolarsi della polemica sui fumetti, considerati per tutti gli anni Cinquanta, nonostante le strepitose parodie disneyiane dei Classici universali della letteratura e del teatro [4] , una forma di sottocultura se non addirittura diseducativi. Protagonisti del riaccendersi del dibattito sono Nilde Jotti, Palmiro Togliatti e Rodari che sovrappongono i loro interventi sulla rivista “Rinascita”.
Nilde Jotti
Intervenne anche Giovanni Guareschi a favore dei comics contro gli attacchi che sul finire degli anni Quaranta venivano portati da cattolici e conservatori e, da un’altra visuale, dai comunisti. Se Togliatti e la Jotti vedevano nei fumetti l’apologia dell’America capitalista e gangsteristica, sull’altro versante i fumetti erano accusati di esaltare e proporre un modo di vita basato sulla violenza, sull’adulterio, sul nudismo e sul delitto.
Guareschi, al contrario, su “Candido” n. 51 del 18 dicembre 1949 scriveva: “Come antico e attento lettore di tutti i giornali e giornaletti a fumetti che dal 1915 sono usciti in Italia, posso assicurare (…) che tutti immancabilmente i racconti terminano con la sconfitta del mascalzone e la vittoria dell’onesto, del buono, del giusto”.
Nel 1951, intanto, si discute alla camera una legge per la moralizzazione della stampa per ragazzi ed è a questo riguardo che Nilde Jotti scrive su “Rinascita” un articolo dove viene contestata la legittimità e l’efficacia di una legge simile attaccando, però, la capacità educativa o culturale del ” fumetto” accusandolo di distogliere dalla lettura.
Vediamo nel dettaglio il botta e risposta fra Jotti, Togliatti, direttore di “Rinascita” e Rodari, direttore del “Pioniere” periodico per ragazzi emanazione de “L’Unità”.
Per la Jotti nei fumetti “il racconto è sempre avventuroso e vi si esaltano la violenza, la brutalità, la lotta fra gli uomini e l’istinto sessuale” (sic) [5] .
Partendo poi dalla similitudine impostata fra fumetto e scrittura antica ideografica la Jotti sottolinea gli esagerati attributi delle donne dei fumetti (natiche a semiluna, seni che sporgono), l’esaltazione unica di comportamenti aggressivi ( dare uno schiaffo, un calcio e sparare un colpo), la semplicità e ripetitività del racconto a fumetti dove le immagini sono ridotte come tipo e come numero e finisce per scrivere che :
“ si dice che i fumetti piacciono ai bambini ed è naturale , appunto, perché la mente del bambino è primitiva. (…) Il fumetto afferra la mente attraverso poche immagini e sostituisce una serie violenta di queste immagini alla ricerca dei particolari, di una logica e di un processo discorsivo”.
L’articolo procede in modo sempre più agguerrito concludendo che
“i fumetti narrano a preferenza ed esclusivamente , anzi, storie orripilanti di gente che corre la stupida avventura della violenza e della brutalità, che è continuamente in guerra con i propri simili, che ogni contrasto tende a risolvere con la frode, col pugno al plesso solare o con la pistola”.
Difficile veramente leggere queste parole pensando a Paperino con Qui Quo Qua ed a Topolino e Minnie. Siamo lontani anni luce. Comunque la Jotti conclude il suo intervento con il suo vero bersaglio, che non sono i fumetti ma l’America, “un mondo dominato dalla preoccupazione del successo materiale, che consente di viver bene e infischiarsi del resto” [6] incarnata da Hearst, imperialista e fascista.
Contributo importante alla polemica fu dato un mese dopo da Gianni Rodari.
Gianni Rodari
“Caro Direttore- scrive Rodari- ho letto nell’ultimo numero di Rinascita un articolo di Nilde Jotti sulla questione dei fumetti, desidero esprimere la mia opinione dicendo subito che l’articolo della Jotti non mi convince”. [7]
Rodari concorda con la Jotti sul giudizio negativo nei confronti dei comics “figli” di Hearst ma aggiunge che la Jotti “estende questo giudizio negativo al fumetto come genere, come modo di raccontare, escludendo implicitamente la possibilità di fare “fumetti”diversi da quelli americani con forme, contenuti, spirito e intendimenti diversi”. [8]
Rodari aggiunge poi alcune considerazioni inerenti la necessità per i giovani di “avere un loro cinema”e avverte che non bisogna spostare il punto della questione che deve vertere sul problema della lettura dei ragazzi che è veramente “grosso”. Si deve risolvere questa situazione facendo fronte alla nascita di una letteratura per l’infanzia. L’intervento si conclude con questa frase :
“Accanto ai libri possono i fumetti essere uno strumento, anche secondario, in questa lotta, oggi? Se non possono smettiamo di stamparli!”.
Togliatti d’altro canto, in una postilla, collocata sotto l’intervento di Rodari, scrive “non ci sentiamo di condividere la posizione del Rodari” poi critica coloro che vogliono dare funzione educativa al fumetto citando la trasposizione a fumetti di storie educative da parte di giornali clericali.
Sottolinea poi con forza: noi…”non metteremo in fumetti la storia del nostro partito o della rivoluzione”.
La sua postilla continua spiegando la possibilità di dare dignità letteraria ai racconti per immagini per i quali menziona le stampe cinesi per poi concludere con una critica ai giornali di sinistra che pubblicano fumetti che, tuttavia, a suo avviso non sono distribuiti attraverso le edicole ma attraverso “reti proprie propagandistiche”; importante l’ultimo passaggio delle risposta a Rodari nel quale Togliatti rimarca:
“nemmeno accettiamo l’affermazione che il fumetto sia una forma nuova di cultura popolare (…) il fumetto strozza, soffoca nel suo sviluppo ciò che potrebbe venir fuori di positivo da questa ricerca (di cose da leggere, da vedere) , cioè impedisce che da essa germogli una più diffusa cultura di popoli”.
La distanza intellettuale fra Togliatti e Vittorini, dal punto di vista della comunicazione e dell’apertura culturale, era, come si è visto, profonda: Vittorini, convinto della forza del racconto per immagini, delle vignette e dei comics, aveva proprio inserito nel Politecnico numero 6 (3 novembre 1945), due pagine dedicate a La Rivoluzione Russa raccontata ai bambini con le illustrazioni del pittore Poret, aveva utilizzato i fumetti per spiegare l’ONU e i suoi compiti e aveva provato a realizzare una Storia illustrata dell’America.
Vittorini era “così avanti” nei confronti della Nona Arte da esser difficile stargli dietro. Nel 1964 quando gli fu chiesto di indicare un ” futuro erede
dei Faulkner e degli Hemingway” Vittorini così rispose:
“Rifiuto la categoria dell’ erede; e poi non vedo nessuno. Sono più significativi certi fumetti. A parte Topolino, che prima era un eroe liberatore tipico della leggenda USA, ed ora è un conformista, un aiuto poliziotto, ci sono i Peanuts e B.C.. Li guardo sempre quando non scrivo e leggo libri di matematica.”
Note:
- F.FOSSATI, Topolino, Gammalibri, Milano 1980 [↩]
- ivi, p.57 [↩]
- “Mio fratello Elio”, Ombre editrice, Siracusa [↩]
- Le Grandi Parodie Disney . Nella storia di Topolino un posto d’onore non può che essere riservato alle grandi parodie, ovvero alle rivisitazioni in chiave Disney di immortali capolavori letterari o cinematografici. Protagonisti ovviamente topi e paperi, che di volta in volta si prestano a interpretare personaggi leggendari. Probabilmente la più celebre rivisitazione mai comparsa sulle pagine di Topolino “scomoda” addirittura la Divina Commedia: stiamo parlando dell’Inferno di Topolino, dove il nostro eroe ripercorre le orme di Dante nel suo viaggio fino al fondo degli inferi assieme proprio al Sommo Poeta (1949). Notevoli inoltre anche i Promessi Topi di manzoniana memoria, i racconti di Edgar Allan Top, la Paperodissea e le Avventure di Top Sawyer. [↩]
- RINASCITA, VIII, 12, p.584 [↩]
- ivi, p. 585 [↩]
- RINASCITA, IX, 1, p.51 [↩]
- ibidem [↩]