Eccoci all’ultima puntata del Deep Purple Affaire, trittico di scritti con unico argomento: il concerto che i succitati DP tennero all’Oratorio di Pontoglio. Dopo prologo e articolo di presentazione, di seguito vi propongo la cronaca del concerto pubblicata a suo tempo, nonché una foto scattata nientepopodimeno che dalla sottoscritta (dite la verità: non s’era capito, vista la qualità intrinseca… che vi debbo dire? prendetela come un reperto storico). Incredibilmente, la foto venne inserita a corredo dell’articolo; poco male: il bianco e nero della stampa appiattisce ogni difetto.
Cronaca breve, l’ammetto. A onor del vero, faccio notare che dal lato lettore spesso s’ignorano dettagli fondamentali, quali la perenne mancanza di spazio nella carta stampata. E infatti voialtri, soliti lettori, ignorate che per quell’uscita dovetti abilmente dividere le due colonne e mezzo assegnatemi tra due eventi: concertone dei Deep Purple, appunto, e tappa del Clusone Jazz (la sera prima, sabato 17 luglio) con la strana coppia Ernst Reijseger e i Tenore e Cuncordu de Orosei. Due eventi diametralmente opposti, come avrete notato: ma già sapete che Scribacchina è onnivora. Di più: ama gl’accostamenti arditi.
Mi pianse il cuore dover autotagliare i pezzi, ma tant’è: quello era lo spazio. E non potevo tacer né degli uni né degli altri.
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Luglio 1999
E chi ha mai detto che senza Blackmore i Deep Purple non sono più la grandiosa hard rock band di una volta? La smentita a quest’affermazione è arrivata, puntuale, la sera di domenica 18 luglio dal campo sportivo dell’oratorio di Pontoglio, dove i cinque musicisti hanno fatto la gioia di un foltissimo e composito pubblico: si andava da bambini di sei anni fino a distinti signori di sessanta e passa.
L’atmosfera era quella di un raduno hippie, stile Woodstock, tra erba, birra e suono potente; tutti fratelli nel segno dell’hard rock, tutti uniti nel saltare, gridare e cantare con i Deep Purple gli storici brani che ognuno, almeno una volta nella sua vita, ha ascoltato. Tra i primi pezzi proposti non potevano mancare Strange Kind Of Woman e Woman From Tokyo, seguiti a ruota da Speed King, Highway Star, Black Night e dalla celeberrima Smoke On The Water. Ian Gillan e compagni si sono cimentati anche con una manciata di cover: Cocaine versione Eric Clapton, Back In Black degli Ac/Dc, Starway To Heaven dei Led Zeppelin e – meraviglia delle meraviglie – You Really Got Me versione Van Halen.
Dicevo della mancanza di Blackmore sul palco; certo, la differenza tra lui e il sostituto Steve Morse si sente. Ma è come accostare due modi differenti di porsi di fronte allo strumento; impossibile dire quale sia il migliore. Entrambi hanno un fascino intrinseco che è impossibile giudicare: si può soltanto sentire con il cuore.
Roger Glover al basso e Ian Paice alla batteria hanno dato il loro ottimo contributo con un suono energetico e con degli apprezzati soli, mentre Jon Lord ha dimostrato ancora una volta quali siano le sue inclinazioni: parlo ovviamente della passione che nutre per la musica classica, un amore che ha in comune con Ritchie Blackmore e che lo ha spinto ad eseguire al piano, solitario menestrello con lo sguardo alzato al cielo pontogliese, una splendida Per Elisa.
Il ritardo iniziale del concerto (tre quarti d’ora di attesa) è stato ampiamente ripagato dal lancio di plettri e bacchette della batteria, trofeo per pochi fortunati. E il grazie di Ian Gillan, sentito e… divertito (“You are amazing, fantastic!”), è stato il filo che ha cucito le anime di esecutori e spettatori. Grandiosa sensazione per un indimenticabile concerto.