Dev'esserci un ingranaggio che s'inceppa, tra il pensiero e l'azione. Qualcosa che fa si che i due ambiti non siano mai completamente sovrapponibili, o che sembrino, talvolta, ascrivibili a due persone diverse. E invece sono sempre io. Il mio bipolarismo si esplica nella difficoltà di coniugare mentale e fattivo.E' come uscire per ricomprare il latte e il caffè e rientrare a casa con un pacco di biscotti, un chilo di mele, una crema al baobab e il caffè. C'è qualcosa che torna come dovrebbe. C'è qualcosa di assolutamente superfluo. E c'è qualcosa che manca. Ed è sempre così. Perciò, fintanto che succede un paio di volte, si può archiviare il tutto sotto "disattenzioni ed eventuali"; ma quando diventa la norma, l'autogiustificazione si prosciuga, e in lontananza, si sente il rumore che fanno le dita in attrito con uno specchio da arrampicata.
Rendersi conto della quotidiana e ingombrante presenza di queste sfocature tra pensiero e azione, mi ha portata a chiedermi cosa ci sia di normale e giusto in tutto ciò. E con normale e giusto, non intendo nè l'essere al sicuro nella media, in mezzo alla maggioranza, nè l'essere moralmente inattaccabile dal buon senso comune. Intendo l'essere fedeli a se stessi, a ciò che si ritiene essere giusto, a ciò in cui si crede, intendo l'agire in conseguenza ai propri pensieri con l'integrità di chi non si lascia fuorviare dagli eventi, sedurre dalle circostanze.
Il fatto che, notte dopo notte, quando mi stendo spossata in quel letto così familiare, senta di aver qualcosa da rimproverare a me stessa, la dice lunga sullo stato precario e funambolico in cui versa il mio equilibrio interiore. Mi sono ritrovata a riflettere su ciò che lega la costanza alla legittimità di una determinata cosa. Qualcosa che accade di frequente, non è necessariamente una cosa giusta. Un ladro che, ogni giorno, scippi una vecchietta, non fa nè una cosa giusta, nè una cosa buona, tantomento equilibrata. Allo stesso modo, io che ogni giorno sembro riuscire ad escogitare nuovi espedienti per tradirmi, non posso comunque dire di fare qualcosa di normale, di equilibrato.
Checchè ne dicano gli esperti, la consapevolezza della salute cagionevole del mio equilibrio, non porta conseguentemente alla soluzione del problema. Conoscere il problema, in questo caso, non è essere a metà della sua risoluzione, è aver visto appena la punta dell'iceberg e rimanere inermi a fissarla con lucido terrore, con la certezza che quel coso abnorme di ghiaccio, sarà profondo più o meno quanto la tua anima e che il punto non è aggirarlo, ma riuscire a scioglierlo prima di schiantartici contro. Per farlo, avresti bisogno di aiuto, peccato che tu sia l'unico li dentro, dentro a quell'irripetibile coagulo di membra e pensieri, in grado di sciogliere tutto quel ghiaccio.Magari non sarà oggi, magari non sarà domani, ma ho fiducia nella possibilità di ridurre in polvere tutta quell'acqua gelata e stratificata. E, chi lo sa, forse troverò anche il modo per farla diventare neve che scende inattesa a guarire tutto, proprio come la polverina bianca ha fatto nel bicchier d'acqua.