La natura non si piega mai alle nostre esigenze. Non lo fa nemmeno per noi fotografi, mannaggia. E' autunno (ve ne siete accorti?) e oltre ai bellissimi colori, noi amanti della macro cerchiamo uno dei soggetti più intriganti: i funghi (per fotografarli, non per farli trifolati, sia chiaro). Più velenosi e colorati sono, meglio è: gli slavati funghi mangerecci li lasciamo ai cercatori della domenica. Ma quest'anno pare che i funghi si facciano parecchio desiderare, almeno quelli belli. Nonostante diverse uscite in montagna e nei boschi, sembra proprio che le specie più interessanti se ne siano rimaste a sonnecchiare, come ife, nel sottosuolo, infischiandosene di noi che armati di fotocamere e accessori, ci aggiriamo speranzosi tra gli alberi alla disperata ricerca di soggetti da riprendere. E allora l'uscita fotografica si trasforma in una sorta di convention di esperti meteorologi impazziti: "Eh, quest'anno ha piovuto poco..." "ma insomma... a me non sembra. Anzi, si sono alternati giorni di pioggia a giorni di sole... condizioni ideali, no?" "vabbé, però l'acqua caduta era poca, ha bagnato appena il sottobosco. Ci vuole ben altro. Il clima sta cambiando, eccome", e così via. Generalmente a questo punto si incrocia il fungarolo di turno col suo cestino colmo di porcini, ma lasciamo perdere.
Quello di cui mi interessava parlare oggi è in realtà distante dal tema dei funghi, e riguarda le opportunità fotografiche e dunque i soggetti da riprendere, perché è su questo che nel corso degli anni si è innestata una lunga e tesa polemica tra coloro che ritengono la fotografia sia un'arte, e coloro che pensano non lo sia affatto. Il nostro "collega" pittore potrebbe dipingere un fungo basandosi sulla fantasia, o su schizzi fatti qualche anno fa, o anche (argh!) su una foto trovata su qualche rivista micologica: anche in piena estate, o durante il più tempestoso degli inverni, potrebbe starsene al calduccio nello studio a dipingere un grandioso bosco con i colori autunnali più accesi e, ai piedi degli alberi, metterci una sfilza incongrua di diverse specie fungine, anche le più improbabili. La sua creatività (e la capacità tecnica) sono gli unici limiti. Noi fotografi non possiamo fare altrettanto. Se vogliamo fotografare una Amanita muscaria (il classico fungo dal cappello rosso a puntini bianchi) dobbiamo trovare il fungo e organizzare la ripresa. Non ci sono alternative. In altre parole, dipendiamo dal soggetto, cioè non siamo totalmente liberi di gestire le nostre immagini. In effetti, lo riconosco, si tratta di un limite piuttosto serio, che le altre forme di espressione artistica non possiedono. E' sufficiente per sostenere che la fotografia non sia arte?
Per rispondere, credo che dovremmo ribaltare il concetto stesso di soggetto. E' il soggetto a rendere grande una fotografia, o sono le capacità del fotografo? In altre parole: se vogliamo realizzare un libro di riconoscimento dei funghi, e abbiamo necessità di metterci una foto della Amanita muscaria, beh dovremo per forza attendere l'occasione giusta. Ma una simile foto è semplicemente una illustrazione, nata per uno scopo ben preciso. Può essere ben fatta, alto artigianato, ma tendenzialmente non è una foto artistica. Ciò che manca è un ulteriore elemento, la creatività del fotografo. Tale creatività si esprime nel momento stesso in cui l'artista fotografo ne sente la necessità, e si concentra sui soggetti disponibili. E' tale creatività a fare di una foto un'opera d'arte, mentre il soggetto diviene un semplice accessorio, che si utilizza nei tempi e nei modi necessari. Io non so se la fotografia sia arte, certo il fotografo può essere un artista, e dare vita ad opere degne di stare in un museo. L'esempio migliore che mi viene in mente è quello di Minor White, grande e controverso fotografo americano, seguace della filosofia Zen. Ispirandosi al Koan (breve poesia "filosofica" giapponese) che recita: "conosci il suono di due mani che applaudono. Qual è il suono di una mano che applaude?", realizzò una serie di immagini che rappresentavano, in realtà, il ghiaccio formatosi sui vetri delle finestre della sua casa, in inverno. La serie si intitola, ovviamente, "suono di una mano che applaude" e comprende immagini bellissime, astratte e piene di emozione. White probabilmente avrebbe potuto dar vita a questa opera fotografando anche altro, ma...aveva a disposizione i vetri ghiacciati della sua casa! Ha utilizzato un soggetto disponibile, né più né meno di come un pittore ricorre ai colori che sono disposti sulla sua tavolozza. Ecco come nasce un'opera d'arte fotografica. Che siano funghi o ghiaccio poco importa. Basta avere un'emozione da esprimere, un concetto da comunicare e la capacità di mettere tutto questo all'interno del piccolo rettangolo (o quadrato) di una fotografia!