Funny Girl di Nick Hornby
Creato il 20 gennaio 2015 da Laleggivendola
@LaLeggivendola
Io e Hornby ci siamo conosciuti un sacco di tempo fa. Andavo ancora alle superiori, quando circolava per casa Un ragazzo, quel libro da cui hanno tratto un film che non è malaccio, ma in cui i cambiamenti mi hanno vagamente inferocita. Cioè, come si fa a strappare via i Nirvana per appiccicarci sopra l'hip-hop più becero? Dio, che tristezza.E comunque, in tempi relativamente più recenti non ho mancato di leggere altro di Hornby. Alta fedeltà, Come diventare buoni, Non buttiamoci giù. È uno di quegli autori da cui difficilmente mi aspetto una delusione, e che non riesco a capire perché non raccolgano più consensi. Dunque, Funny Girl, tradotto da Silvia Piraccini e pubblicato da Guanda un paio di mesi fa. Ha iniziato a piacermi da subito, fin dalle prime pagine. Per il tono leggero con cui veniva raccontata la storia, per la protagonista che, lo ammetto, non sono riuscita a inquadrare del tutto, ma di cui comunque mi è piaciuto leggere le vicissitudini. Per l'ambientazione londinese, per il contesto in cui si destreggiano licenziosità e timore per lo scandalo. Gli anni Sessanta a Londra, il periodo della transizione.Barbara ha appena rifiutato il ruolo di Miss della sua città perché non vuole rimanervi incatenata. Ha sempre sognato di fuggire a Londra ed entrare nel mondo dello spettacolo per fare ridere le persone, anche se somiglia più a una pin-up che a una comica. E una volta giunta a Londra, dopo qualche mese da commessa nel reparto calzature di un grande magazzino, viene scoperta da un agente ben deciso a ricoprirla d'oro.Ora, da qui in poi la macchina della trama è più che in moto. Barbara cambia nome senza riuscirci del tutto. Fa conoscenza di due sceneggiatori, Bill Gardiner e Tony Holmes, omosessuali in incognito, che dapprima, tra ironie e frecciatine, un po' si confondono l'un l'altro, ma che poi diventano i personaggi forse più caratterizzati del libro. E poi conosce Dennis, produttore della BBC, col suo matrimonio incrinato, oggetto degli scherzi di Tony e Bill. E poi conosce Clive Richardson, attore belloccio e vacuo. Si ritrovano al centro di una produzione importante che li catapulta nel mondo della BBC e li lancia nei televisori di mezza Inghilterra.E non è che posso stare a dire tanto, temo di aver detto fin troppo. Funny Girl inizia come la storia di Barbara, e poi diventa la storia di tutti coloro che le si sono affiancati durante la serie televisiva di cui è stata protagonista.Dicevo, io Hornby lo leggo da tanto tempo. Abbastanza da poter dire che questo libro è diverso dagli altri. Qui Hornby ha un tono più calmo, leggero, meno cinico e ingrugnato. Più tè che birra, ecco. Mi ha ricordato molto Coe, soprattutto per una coincidenza che ho trovato piuttosto bislacca e che dopotutto, pur non disprezzandola, proprio non ho saputo farmi andare giù di questo libro.Tutte le storie hanno una fine. Tutte quelle che leggiamo ci lasciano coi personaggi a un certo punto della loro vita, più soddisfatti o più infelici rispetto all'inizio del racconto, sicuramente cambiati. Di solito la fine sopraggiunge alla conclusione di un ciclo, di un avvenimento importante e performativo, dopo poche ore o pochi giorni o perfino decenni. Quello che mi ha lasciata interdetta di Funny Girl, e lo stesso posso dire di Expo 58 di Coe, è che a vicenda perfettamente conclusa, gli autori hanno deciso di aggiungere un capitolo finale in cui vengono riproposti i personaggi nel momento del declino, alla fine della loro vita. Stanchi, anziani, provati. Non è una scelta che condanno o che “rovina la lettura”, questo no. Però non riesco a non storcere il naso. Tutti – o almeno, i più fortunati di noi – finiscono in questo modo, fragili e piegati dai decenni, con gli occhi acquosi e una curiosa voglia di semolino. È l'umana sorte e poco ci possiamo fare. Però perché ricordarcelo così, non lasciare che l'immagine ultima del romanzo sia quella della Barbara degli anni '60, alla fine di un ciclo perfettamente concluso? Non è un difetto, è una cosa che proprio non ho capito. Forse sono io, però mi ha fatto effetto “Memento Mori”.Ma nonostante questa scelta che un po' mi stride, il libro rimane bellissimo, frivolo e divertente, con picchi di intensità che raramente riguardano Barbara. E lo consiglio un sacco, un sacco davvero.(Forse dovrei accennare al fatto che i personaggi, così come la serie di cui parla, sono realmente esistiti. Ma non sapendone abbastanza, e non trovando l'aspetto poi così rilevante ai fini della lettura, mi limito a questa postilla.)
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