- Anno: 2016
- Durata: 107'
- Distribuzione: 01 Distribution
- Genere: Documentario
- Nazionalita: Italia, Francia
- Regia: Gianfranco Rosi
- Data di uscita: 18-February-2016
Di un film documentario che tratteggia la morte e vive a stretto contatto con la fine dell’umanità non credo che si possa dire “è bellissimo”. Però il lavoro di Gianfranco Rosi è più di un cosiddetto pugno allo stomaco, perché magari ci sono persone che hanno uno stomaco fortissimo e che se la sentono di ributtare a mare questi “poveri cristiani” che scappano dalla guerra e dalla fame. Ecco, l’espressione “Poveri Cristiani”, che Zia Maria (una delle abitanti di Lampedusa) devota a Padre Pio e devota alle faccende di casa pronuncia nell’apprendere alla radio la tragedia dei naufraghi, è un’espressione tipica del Sud che si esclama con un misto di rassegnazione e sottile speranza…quel “cristian” sta sempre a indicare che siamo tutti uguali, figli di quel Cristo che preghiamo nelle chiese, intrecciando le mani, e poi tornando a casa magari quelle mani non sono buone nemmeno a tendere un aiuto dove il Cristo si è dimenticato di buttare un occhio. Del documentario fa impressione quasi tutto, intanto sembrava che Lampedusa non fosse italiana. Un senso di alienazione e di estraneità da una situazione a due passi da noi, a casa nostra. Eppure ho quasi riconosciuto solo il mare all’inizio. Poi il verde, le tradizioni culinarie e quelle religiose. Poi ti accorgi che la tragedia di Lampedusa è tua, anche nel fatto che riconosci il dialetto di quelle persone e che non hai nemmeno bisogno di una traduzione. Il mare appunto, che segna la distanza, che può rappresentare un inizio e una fine.
La scelta di Gianfranco Rosi è quella di spostare e vivere la tragedia attraverso un bambino e chi sta intorno a lui. Samuele ha 12 anni e per paradosso soffre di mal di mare. Ama tirare con la fionda, e lo stesso Rosi ha raccontato che lo ha conosciuto mentre giocava con una fionda in mano e rivolgendosi al regista gli ha detto: “ci vuole passione”. Anche questa espressione di un ragazzino di 12 anni rimane quasi come un eco. Tutto in Samuele è in Lampedusa negli sbarchi. Dal distacco alla passione. Il volere stare a terra, il volere arrivare ad ogni costo da qualche parte, purché sia terra ferma. Samuele ha un occhio pigro, ma lui si allena, mette la benda, vuole vederci bene con entrambi gli occhi. Lui, come Lampedusa, fa uno sforzo abnorme per riuscire a vedere la realtà con tutti e due gli occhi. Combatte il mal di mare e si allena sulle barchette al porticciolo…tutto uno sforzo continuo pur di restare sulla terra ferma e guardare il mondo con gli occhi chiari. La tenerezza di Samuele è tagliata in due dalle voci delle navi militari, dai soccorsi, dalla gente che muore. Perché a Lampedusa, durante gli sbarchi, come mostra in maniera magistrale Rosi – questa forse è la parte fondamentale del documentario – arriva prima la morte e poi se si è fortunati ci si può salvare e magari rischiare di vivere. Ci sono scene di corpi ammassati, di medici che gioiscono e che cercando di comunicare alla migrante incinta che le nuove vite che si porta dentro stanno bene, che una è femmina, e l’altro, attraverso un gesticolare affettuoso, non si riesce ancora a capire perché è “tutto intrecciato”. C’è il medico contento e poi c’è Pietro Bartolo, direttore sanitario dell’Asl locale. Dalle sue parole traspare un senso di umanità, di pietà e di sensibilità che lacera perché pensi che uno come lui, che da trent’anni fa questo mestiere sia abituato, il gelo arriva quando “la gente pensa che io sono abituato ai morti, ma ditemi voi come faccio ad abituarmi a vedere un bambino morto”.
In questo cammino tra la speranza e la morte Gianfranco Rosi ha deciso di seguire abitanti di Lampedusa che rispecchiano totalmente tutte le contraddizioni di questa isola e che di fondo rispecchiano proprio l’animo umano. Franco Paterna, che scende a mare e pesca ricci e patelle. Non dice nulla, sta bene solo in mare, in profondità. Poi c’è Pippo, il dj di Radio Delta, fisso lì davanti alla radio che raccoglie le dediche dei suoi isolani. Ma è fisso, sembra che non si muova, sembra andare da nessuna parte. E in questo suo non muoversi dalla sua radio, dal suo allietare gli isolani, rimanda solo ad un senso di profonda tenerezza.
Infine Maria, la nonna di Samuele, che gli dice sempre che “ancora sii picculu” con una tenerezza infinta. E racconta a Samuele l’amore per il marito da quando gli portava il pane prima che lui andasse in mare. E’ quasi da favola l’inverno a Lampedusa, se visto dietro le finestre della casa di Nonna Maria, mentre racconta al nipote la bellezza e la tragedia del significato di Fuocoammare. La scelta del titolo del documentario l’ho trovata davvero significativa e mi ha fatto anche impressione come la nonna, mentre ricamava alla finestra guardando fuori lo racconta al nipote Samuele. Fuocoammare si riferisce a un fatto storico accaduto nel porto di Lampedusa durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Fu affondata La Maddalena, una nave militare, che di notte per il grande incendio illuminò tutta l’isola e la gente andava in giro gridando “chi focu a mmmari ca ce stasira” .
Ci sono delle riprese meravigliose, guardando proprio il lato estetico del documentario. Questa nave che attende gli elicotteri, questo mare immenso, agitato, calmo, sempre lì, sempre in attesa di qualcosa e qualcuno.
Una guerra mondiale, i bombardamenti, un incendio a mare, il fuoco a mare. Lo sbarco dei migranti, la guerra mondiale. La stessa identica cosa. Tutto un paradosso, tutte immagini una sull’altra, tutte storie una sull’altra, tutte vite una sull’altra, tutti uno sopra l’altro come l’immagine dei corpi nella stiva, da vivi, uno sopra l’altro, che è terrorizzante, perché se ci pensate durante la guerra mondiale i corpi venivano ammassati uno sopra l’altro da morti, ora che siamo nel 2016 ci siamo addirittura superati…li mettiamo da vivi uno sopra l’altro.
Spero tanto che Fuocoammare Di Gianfranco Rosi venga portato nelle scuole perché i bambini, come Samuele, hanno la volontà di guardare (nonostante l’occhio pigro) avanti e senza macchie sul cuore.
P.S.: Non ricordo se mi è stato detto da un anziano o l’ho letto da qualche parte, però guardando Fuocoammare e vedendo la tragedia di queste persone mi è venuto in mente una frase di quando ero piccola “ovunque andrai avrai sempre il mare dalla tua parte, il mare non è una strada, non si muore a mare, il mare non è cattivo. E l’uomo che lo ha sporcato”.
Graziella Balestrieri